La sola delega ad operare sul conto corrente del terzo estraneo alla bancarotta non basta a giustificare il sequestro preventivo della sua liquidità.
Con la sentenza numero 34010/2024 – depositata il 06/09/2024, la Corte di Cassazione – sezione quinta penale, è tornata ad affrontare il tema giuridico della legittimità del sequestro preventivo eseguito sul conto corrente del terzo estraneo al reato sul presupposto della preventiva delega ad operare conferita alla persona sottoposta ad indagine destinataria del decreto di sequestro preventivo.
Nel caso di specie, il gip del locale tribunale, aveva disposto il dissequestro e la restituzione delle somme giacenti sul conto del genitore della persona indagata per il delitto di bancarotta per distrazione delegata ad operare sul conto intestato all’ascendente – estraneo alla consumazione del reato.
Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che la revoca del provvedimento cautelare reale era stata disposta in quanto, dalla disamina dei movimenti bancari, non erano emersi accrediti o pagamenti riferibili al reato fallimentare in provvisoria contestazione.
Il decreto del Gip veniva confermato dal Tribunale cautelare investito della questione dall’appello del PM che, successivamente, proponeva ricorso per cassazione, richiamando l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, dalla cointestazione del conto corrente o dalla mera delega ad operare, discende con automatismo la presunzione della disponibilità delle risorse economiche da parte dell’indagato, suscettibili di ablazione, quanto meno per equivalente.
Il Collegio del diritto ha rigettato l’impugnazione di legittimità validando l’operato dei giudici di merito per le ragioni riportate nel segmento di motivazione di seguito riportato:
“….. Orbene, da un lato, l’iter logico-giuridico seguito dall’ordinanza gravata risulta chiaro ed esauriente ed espresso in esito ad una ponderata analisi delle voci del conto corrente sequestrato – eseguita dal giudice per le indagini preliminari, il cui provvedimento è stato confermato – che per un verso ha restituito prova di un suo regolare utilizzo da parte della titolare nominale, estranea ai fatti o comunque alle incolpazioni del procedimento penale, e della riconducibilità delle movimentazioni registrate alla fisiologia di tale ordinaria destinazione; e, per altro verso, ha dato contezza dell’inesistenza di operazioni anomale, ragionevolmente connesse ad accrediti o trasferimenti di risorse in favore dell’indagata. Al giudice di legittimità non è dunque consentito un vaglio oltre modo penetrante delle argomentazioni spese dal provvedimento impugnato che, al di là della questione della natura giuridica dell’istituto della delega ad operare sul conto corrente altrui e della estensione o riduzione del concetto di “disponibilità di fatto” in base alla previsione, o meno, di limiti imposti dal delegante al suo esercizio, ha diffusamente e congruamente esplicitato le ragioni che comunque condurrebbero ad escludere l’attribuibilità delle risorse del conto corrente al patrimonio dell’indagata.
Dall’altro lato, la decisione impugnata si è congruamente occupata dell’inquadramento delconcetto di “disponibilità” ed “appartenenza” del denaro sequestrato alla persona indagata – presupposto indefettibile del sequestro preventivo funzionale alla confisca diretta, ex art. 321 comma 2 cod. proc. pen., che qualifica sempre l’ablazione del numerario corrispondente all’entità del profitto del reato (sez. U n. 42415 del 27/05/2021, Coppola, Rv. 282037) – ed ha declinato l’esegesi che l’ha orientata a propendere per la correttezza tecnico-giuridica dell’ordinanza di revoca del vincolo e di restituzione adottata dal giudice per le indagini preliminari. Come invero ripercorso nell’atto d’impugnazione, nella giurisprudenza di legittimità si rinvengono decisioni che mostrano di preferire la tesi secondo cui la delega a operare rilasciata dal titolare di un conto corrente all’indagato, ove non caratterizzata da limitazioni, sia sufficiente a dimostrare la disponibilità da parte di quest’ultimo delle somme depositate (Sez. 3, n. 23046 del 09/07/2020, Cavinato, Rv. 279821; Sez. 3, n. 13130 del 19/11/2019, dep. 2020, Cattaneo, Rv. 279377); ed altre che privilegiano una lettura più restrittiva della delega ad operare rilasciata alla persona sottoposta alle indagini dal titolare del conto corrente, in virtù della quale, quand’anche non caratterizzata da limitazioni, tale delega non sia di per sé sufficiente a dimostrare la piena disponibilità da parte di quest’ultimo delle somme depositate, occorrendo affiancare ulteriori indicatori che consentano di fondare il giudizio di una ragionevole probabilità di una loro personale attribuzione all’indagato (Sez. 2, n. 29692 del28/05/2019, Tognola, Rv. 277021). Il secondo indirizzo ermeneutico è stato recentemente ribadito da sez. 1, n. 19081 del 30/11/2022, Gasparro, Rv.284548, che – e sul punto non si conviene con quanto sostenuto dall’ufficio ricorrente – si è pronunciata sulla perimetrazione del concetto di “appartenenza” della res all’imputato o all’indagato, da intendersi come sostanzialmente corrispondente alla nozione del “possesso” di rilevanza civilistica (art. 1140 cod. civ.), modulandone tuttavia la portata con l’avvertita necessità di accertarne gli estremi non in astratto, ma in concreto, attraverso l’acquisizione di elementi che dimostrino l’effettività dell’esercizio del potere di fatto che lo caratterizza. L’ordinanza impugnata si è collocata nel medesimo solco interpretativo”.
By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.