Per escludere la bancarotta distrattiva il compenso all’amministratore deve essere dovuto e congruo rispetto all’attività gestoria effettivamente svolta.

Con la sentenza numero 32161/2024 – depositata il 07/08/2024 (udienza pubblica 13/04/2024), la Corte di cassazione – sezione quinta penale, è tornata ad affrontare il tema giuridico del discrimine tra la bancarotta fraudolenta per distrazione e quella preferenziale quando l’amministratore (di fatto o di diritto) della società  (poi fallita),  attingendo risorse dalla cassa sociale, dispone in proprio favore dei pagamenti privi di giustificazione formale.

Nel caso di specie, i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità dell’amministratore di diritto e dei domini occulti della società, tutti rinviati a giudizio per i delitti di bancarotta fraudolenta distrattiva in relazione ad una serie di pagamenti eseguiti in favore degli imputati perché ritenuti depauperativi del patrimonio sociale.

La difesa dei prevenuti interponeva ricorso per cassazione sostenendo, per quanto di interesse per la presente nota, che, in realtà, i pagamenti eseguiti in favore dei giudicabili erano stati eseguiti a titolo di compenso dell’attività svolta per conto della società, richiamando il più recente orientamento di legittimità secondo il quale la bancarotta per distrazione può essere esclusa anche nell’ipotesi di auto – liquidazione del proprio compenso in assenza di delibera societaria, integrando tale fatto il meno grave reato di bancarotta preferenziale.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso fornendo sul punto di diritto la seguente motivazione:

Il tratto distintivo tra la bancarotta distrattiva e la bancarotta preferenziale.

Dunque, il punto centrale per stabilire se ricorra o meno il delitto di bancarotta fraudolenta, è stabilire se la somma prelevata dalle casse sociali dall’amministratore trovi fondamento effettivo in un’attività svolta nell’interesse della società e se essa sia o meno congrua rispetto al lavoro prestato (Sez. 5 n. 21570 del 16/04/2010, Rv. 247964), congruità la cui valutazione può essere rimessa al giudice o agli organi societari ( Sez. 5 n. 48017 del 10/07/2015, Rv. 266311).

Cosicché, secondo quanto, anche recentemente, ribadito da questa Corte (sezione 5 n. 32378 del 12/04/2018, Rv. 273576), risponde di bancarotta preferenziale l’amministratore che disponga in proprio favore il pagamento del compenso proporzionato alla quantità e alla qualità dell’attività svolta, ma in assenza di una corrispondente delibera societaria, mentre ricorre il delitto di bancarotta fraudolenta nel caso in cui l’amministratore si auto-attribuisca un compenso sproporzionato all’attività svolta (conf. Sez. 5 n. 28077 del 15/04/2011, Rv. 250461; n. 5186 del 02/10/2013, dep. 2014, Rv. 260196; n.48017 del 10/07/2015, Rv. 266311).

Questo perché, il dato formale della assenza di una delibera assembleare o di una previsione statutaria, che fissi il compenso per l’amministratore della società di capitali, deve pur sempre confrontarsi con la circostanza che il prelievo possa essere comunque dovuto nell’«an» ed essere congruo, nel quale caso la condotta risulta non più distrattiva, in quanto determinante il pericolo di una riduzione della garanzia patrimoniale per i creditori ma, a fronte della legittima sussistenza del credito, deve ritenersi lesiva del principio della par condicio creditorum, integrando così la fattispecie della bancarotta preferenziale. (Sez. 5 n. 36416/ 2023 cit., in motivazione, fol.4).

 

L’applicazione del principio di diritto alla fattispecie in disamina.

Calando i richiamati principi nella fattispecie in esame, è agevole rilevare che, dalla ricostruzione operata dalla sentenza impugnata, i compensi invocati dai ricorrenti non hanno trovato alcun riscontro documentale, poiché i crediti lavorativi, non deliberati dal C.d.A. né in qualche modo contrattualizzati, non risultano in alcun altro modo provati. Anzi, la dedotta circostanza che i prelevamenti per cassa fossero corrispondenti a emolumenti maturati nei pochi mesi di attività gestoria svolta in favore della società, dopo avere acquisito la società, prima del fallimento, è stata solo prospettata dai ricorrenti, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, in cui i Giudici di merito hanno, invece, segnalato come gli imputati “si siano limitati a incassare, senza versarli nelle casse sociali, i crediti residui che la società vantava nei confronti dei committenti dei lavori che erano stati eseguiti dalla s.r.l. [omissis] prima che [omissis]  e coi coimputati ne diventassero amministratori”, attività che ” non solo non è stata svolta nell’interesse della società, a vantaggio della quale non ha portato alcuna utilità, ma che ha distratto tali rediti dal patrimonio della [omissis], privando i creditori della relativa garanzia”

La Corte territoriale ha, pertanto, correttamente ricostruito il fatto secondo lo schema legale della bancarotta fraudolenta, dal momento che, risultando smentita la tesi che i prelevamenti fossero corrispondenti ad attività svolta nell’interesse della società – avendo la Corte di appello ampiamente spiegato come gli imputati, invece, abbiano solo incassato i crediti maturati nella vecchia gestione – non è concretamente prospettabile la qualificazione della condotta quale bancarotta preferenziale”.

Sulla medesima questione giuridica segnalo il seguente arresto giurisprudenziale: https://studiolegaleramelli.it/2023/09/04/bancarotta-preferenziale-e-non-per-distrazione-allamministratore-della-societa-che-preleva-il-proprio-compenso-se-lemolumento-e-congruo-rispetto-allattivita-gestoria-svolta/

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA