Nessuna rilevanza può essere riconosciuta alla crisi di impresa per escludere la frode fiscale.

E’il principio di diritto enunciato con la sentenza numero 33280/2024 – depositata il 29/08/2024 (udienza pubblica 09/07/2024), dalla Corte di cassazione – sezione terza penale, come corollario della natura fraudolenta del reato previsto e punito dall’art.2 d.lgs. n.74/2000, qualificabile giuridicamente come fattispecie incriminatrice di pericolo e di mera condotta.

Nel caso di specie, i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità e condannato alla pena ritenuta di giustizia l’imputato per avere utilizzato nella dichiarazione fiscale fatture per operazioni oggettivamente inesistenti delle quali non erano stati rinvenuti in contabilità tracce del pagamento.

La difesa del giudicabileinterponeva ricorso per cassazione censurando, per quanto di interesse per la presente nota, il vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere la Corte territoriale omesso la disamina degli elementi di prova allegati nell’interesse del giudicabile (crisi di liquidità, assenza di nuove linee di credito e abbandono del proprio commercialista) che se correttamente valutati avrebbe dovuto condurre all’esclusione del dolo di evasione.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, statuendo quanto segue:

Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato ed anche in parte generico là dove non si confronta specificatamente con le ragioni della decisione.

Non assume rilievo, nella fattispecie di dichiarazioni fraudolente mediante uso di fatture inesistenti, la crisi economica che ha colpito la società del ricorrente, né la sua condotta volta a farvi fronte, neppure l’abbandono del professionista.

Il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti si connota come reato di pericolo e di mera condotta, che si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione è presentata agli uffici finanziari e prescinde dal verificarsi dell’evento di danno, né rileva l’effettività della evasione che invece connota il dolo del reato (Sez. 3, n. 16459 del 16/12/2016, Santoni, Rv. 269652 – 01).

Va evidenziato che nella c.d. frode fiscale il nucleo centrale della fattispecie è costituito dalla dissimulazione di componenti positivi o dalla simulazione di componenti negativi del reddito, attuate in forme artificiose, ovvero mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ed il reato si perfeziona nel momento nel quale la dichiarazione dei redditi è presentata agli uffici finanziari, traducendosi in un atto che esce dalla sfera soggettiva del contribuente, per porsi quale elemento strutturale della fattispecie, la cui realizzazione segna la consumazione del reato.

Ne consegue che la condotta è compiutamente attuata ed esaurita con la presentazione della fraudolenta dichiarazione dei redditi, senza che i successivi sviluppi del rapporto tributario abbiano incidenza sul reato ormai perfezionato. Essendo, dunque, il reato di frode fiscale un reato di mera condotta e di pericolo, la cui consumazione prescinde dal verificarsi dell’evento di danno, che specifica, come elemento finalistico, il dolo (Sez. 2, n. 5656 del 11/01/2007, Perrozzi, Rv. 236126), non rileva l’effettività dell’evasione, né, tanto meno, l’esito dell’accertamento amministrativo, né questo è escluso dalla crisi di liquidità e dal comportamento del commercialista in presenza di una dichiarazione presentata dal contribuente”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA