Bancarotta per distrazione: legittima la condanna se la vendita del bene immobile è avvenuta ad un valore inferiore rispetto a quello accertato (e non contestato) dall’Agenzia delle Entrate.
E’ questo il principio di diritto stabilito con la sentenza numero 34698/2024 – depositata il 13/09/2024 (udienza pubblica 17/07/2024), dalla Corte di cassazione – sezione quinta penale, tornata ad affrontare la ricorrente questione giuridica dei criteri utilizzabili dall’Autorità giudicante per la valutazione della congruità del prezzo di vendita dei beni immobili già facenti parte del patrimonio sociale della società fallita, al fine di stabilire se l’atto negoziale possa integrare o meno l’ipotesi di reato di bancarotta fraudolenta per distrazione o dissipazione.
Nel caso di specie e per quanto di interesse per la presente nota i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità dell’amministratore della società per avere alienato al fratello un immobile di proprietà della società insolvente ad un prezzo notevolmente inferiore rispetto a quello determinato dall’Agenzia delle Entrate.
Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che nel corso del processo era emersa la circostanza secondo la quale all’esito di una trattativa stragiudiziale con la curatela fallimentare era stato raggiunto un accordo transattivo con rinuncia all’azione revocatoria, fissando il valore dell’immobile in conformità alle determinazioni dell’A.D.E., non impugnate nelle sedi competenti.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso per ragioni indicate nel segmento della parte motiva che segue:
“…..Ma, anche a superare tale punto, risulta evidente che neanche le affermazioni circa il diverso valore attribuito da parte ricorrente siano tali da scardinare la logica motivazione qui censurata.
Invero, a fronte del valore indicato in contabilità (sulla base di una stima fatta da chi la amministrava, evidentemente, non certo di un soggetto estraneo agli imputati) ed a fronte di una transazione con la curatela fallimentare per chiudere l’azione revocatoria (che è del tutto neutra, potendo la scelta della curatela dipendere dai più svariati fattori di opportunità e, anzi, dimostra che lo stesso acquirente il cespite abbia ammesso che il valore trasferito alla società non fosse congruo, almeno per € 9.000,00), la Corte d’appello ed il Tribunale hanno (giustamente) valorizzato un dato di ben più rilevante pregnanza: la valutazione del valore di mercato del cespite fatta dall’Agenzia delle Entrate e l’adesione ad essa, ai fini fiscali, da parte dello stesso imputato e dell’acquirente il bene.
Invero, acquietarsi ai fini fiscali sul detto valore significa non avere elementi utili da opporre ad un eventuale accertamento fiscale che lo determini (laddove ne fosse stato indicato un altro): significa accettare, dunque, maggiori costi tributari, perché, evidentemente, si reputa (dalle stesse parti contraenti) non impugnabile siffatta valutazione”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA