Condannato per bancarotta fraudolenta l’amministratore dell’impresa responsabile del sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie.

Con la sentenza numero 36574/2024 – depositata il 02/10/2024, la sezione quinta penale della Corte di Cassazione, si è nuovamente pronunciata sulla responsabilità penale dell’amministrazione della società che, in dispregio agli obblighi di legge, omette, sistematicamente, il pagamento delle imposte dovute dall’impresa, cagionandone il dissesto ed il successivo fallimento (sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza).

Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito avevano condannato l’imputata in ordine al reato previsto e punito dall’art. 223, comma 2, n. 2) legge fall. contestato in riferimento al reiterato inadempimento tributario protrattosi per un lungo periodo (circa dieci anni) causa dell’insolvenza posta a fondamento della sentenza dichiarativa di fallimento.

La difesa dell’imputato interponeva ricorso per cassazione contro la sentenza resa in grado di appello denunciando vizio di legge e di motivazione in ordine all’accertamento dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato in esame.

La Corte di legittimità ha ritenuto destituita di fondamento la tesi difensiva ricordando quanto segue in linea con la stabile giurisprudenza di legittimità:

“È altresì opportuno ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, in tema di bancarotta fraudolenta, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente  non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore  complessità  strutturale  riscontrabile  in  qualsiasi  iniziativa  societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini, Rv. 261684).

In tale ottica, si ritiene corretta applicazione del principio la qualificazione di operazione dolosa data al protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società  (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, cit.; Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014,Rv. 260492;  Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, Rv.261446; Sez. 5 n. 12426 del29/11/21013,  dep.  2014,  Rv.  259997;  Sez.5,  n.  17355  del  12/03/2015,  Rv.264080; Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Rv.270046).

Con specifico riferimento all’omesso versamento delle imposte dovute, si è affermato che tale condotta integra il reato di fallimento cagionato per effetto di operazioni dolose, dal momento che in tal modo si viene a gravare la società da ingenti debiti nei confronti dell’erario (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, De Mattia, Rv. 273337 – 01).

Nel caso in esame, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, la sentenza impugnata – anche attraverso il richiamo alla decisione di primo grado – ha compiutamente ricostruito le vicende finanziarie della società, evidenziando che l’inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali era stato il frutto di una consapevole scelta gestionale della amministratrice, posta in essere fin dal 2004, che aveva determinato una situazione debitoria crescente, protrattasi fino al fallimento, e che pertanto si caratterizzava come estesa e sistematica.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA