Corretto il ragionamento del giudice di merito che ricava il dolo della bancarotta fraudolenta documentale specifica dalla volontà di occultare condotte distrattive.

Con la sentenza numero 37159/2024 – depositata il 09/10/2024, la sezione quinta penale della Corte di cassazione, si è nuovamente pronunciata sul tema giuridico della prova processuale  del coefficiente psicologico che deve ricorrere in capo all’imputato rinviato a giudizio per rispondere del delitto di bancarotta fraudolenta documentale  – cosiddetta specifica – che ricorre nell’ipotesi  prevista dall’art. 216, primo comma, n.2, quando l’amministratore dell’impresa  ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili.

Nel procedimento sottoposto allo scrutinio di legittimità i giudici del doppio grado di merito avevano affermato la penale responsabilità degli imputati per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.

Per quanto di interesse per la presente nota si segnala che la difesa di uno degli imputati, con l’interposto ricorso per cassazione, denunciava vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta documentale contestata in relazione alla mancata consegna dei libri e delle scritture contabili alla curatela fallimentare.

La Corte di legittimità ha rigettato il ricorso statuendo quanto segue in relazione al contegno generale tenuto dall’imputato rispetto alla gestione dell’impresa decotta :

“Effettivamente          è          principio         ormai  consolidato,    nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo  cui, in tema  di bancarotta  fraudolenta  documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – nell’ambito dell’art. 216, comma primo, n. 2), legge fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture che, invece, integra un’ipotesi di reato a dolo generico e presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (ex ceteris, Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020,  Martinenghi,  Rv. 279838  – 01;  Sez.  5,  n. 26379 del 05/03/2019,Inverardi, Rv. 276650 – 01).

Tuttavia, dalla lettura della sentenza si evince che il (omissis) era, come riferito dai testi esaminati nel corso del dibattimento, il “factotum” di  (omissis) -reale dominus della società e che è stato condannato per la distrazione di alcuni beni.

Ne deriva che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio in forza del quale, in tema di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito dall’idoneità del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023,  Rv. 284304 – 01).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA