Bancarotta fraudolenta per dissipazione per l’imprenditore che ristruttura lo stabilimento balneare e lo vende a ridosso del fallimento.
Con la sentenza numero 36856/2024 – depositata il 03/10/2024, la sezione quinta penale della Corte di cassazione, si è pronunciata sulla definizione del perimetro punitivo del reato di bancarotta fraudolenta per dissipazione mettendone in evidenza i tratti distintivi tra il reato in parola e la meno grave fattispecie di bancarotta semplice.
Nel procedimento sottoposto allo scrutinio di legittimità era stata affermata da parte dei giudici del doppio grado di merito la penale responsabilità degli imputati per plurime fattispecie di reati fallimentari.
Per quanto di interesse per la presente nota si segnala che la difesa degli imputati con l’interposto ricorso per cassazione, denunciava vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta consumazione del delitto di bancarotta fraudolenta per dissipazione connesso all’ingente impiego di risorse finanziarie (circa euro100.000) per la ristrutturazione di uno stabilimento balneare poi immediatamente venduto ad un terzo soggetto senza ricavarne una utilità pari all’esborso sostenuto per realizzare le migliorie.
Secondo la difesa il fatto contestato e ritenuto in sentenza come integrante il delitto di cui all’art. 216 legge fallimentare, doveva essere tutt’al più riqualificato come bancarotta semplice (art. 217, comma primo, n. 2, legge fall.) da ritenere estinto per la maturata prescrizione prima della pronuncia della sentenza di appello.
La Corte di legittimità sul punto ha rigettato il ricorso statuendo quanto segue:
“Come affermato dal costante e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, il delitto di bancarotta fraudolenta per dissipazione si distingue da quello di bancarotta semplice per consumazione del patrimonio in operazioni aleatorie o imprudenti sotto il profilo oggettivo, per l’inconciliabilità con lo scopo sociale e l’incoerenza con il soddisfacimento delle esigenze dell’impresa delle operazioni poste in essere, e soggettivo, per la consapevolezza, da parte dell’autore della condotta, di diminuire il patrimonio societario per scopi del tutto estranei all’oggetto sociale (cfr. Sez. 5, n. 34979 del 10/09/ 2020, Rv. 280321; Sez. 5, n. 47040 del 19/10/ 2011, Rv. 251218).
In caso di bancarotta fraudolenta, dunque, mentre la condotta di “distrazione” si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se in quel momento l’impresa versi in stato di insolvenza, quella di “dissipazione” consiste nell’impiego dei beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell’azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti (cfr. Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, Rv. 280550).
Non ricorre, pertanto, l’ipotesi di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma primo, n. 2, legge fall., integrata da operazioni di manifesta imprudenza, ma la più grave ipotesi di bancarotta fraudolenta, nel caso di operazioni che abbiano comportato, in pressoché totale assenza di vantaggi, un notevole impegno economico-finanziario della società, dichiarata poco dopo fallita, atteso che le operazioni imprudenti, realizzate pur sempre nell’interesse dell’impresa, sono quelle in tutto o in parte aleatorie o frutto di scelte avventate, tali da rendere palese a prima vista che il rischio affrontato non è proporzionato alle possibilità di successo (cfr. Sez. 5, n. 34292 del 02/10/ 2020, Rv. 279973).
Sicché la consumazione del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti integra il delitto di bancarotta semplice nel caso in cui tali operazioni si inquadrino nell’ambito di condotte tenute comunque nell’interesse dell’impresa, configurandosi, invece, il delitto di bancarotta fraudolenta nel caso in cui l’agente abbia dolosamente perseguito un interesse proprio o di terzi estranei all’impresa (Sez. 5, n. 7417 del 01/02/ 2023, Rv. 284230).
Di tali principi ha fatto buon governo la corte territoriale, in quanto non appare revocabile in dubbio la natura dissipativa dell’operazione contestata ne capo B) dell’imputazione, essendo stato dimostrato che la società fallita, poco prima della cessione del compendio aziendale alla [omissis] ha provveduto a effettuare lavori di ristrutturazione del lido balneare sito in precedenza indicato, sopportando la relativa spesa di 100.000,00 euro, senza trarne alcun vantaggio, perseguendo dolosamente, come ritenuto dai giudici di merito alla luce delle modalità della condotta, l’esclusivo interesse della cessionaria, che si è trovata nella invidiabile condizione di godere delle opere di ristrutturazione dello stabilimento balneare, senza averne pagato i relativi costi”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA