Il collaudo statico del manufatto riguarda anche il cancello che dà accesso all’area di lavoro e l’incidente causato dal suo malfunzionamento viola la normativa antinfortunistica.

E’ il principio di diritto fissato con la sentenza numero 38887/2024  dalla Corte di Cassazione  – sezione terza penale depositata il 23.10.2024 che ha affrontato la questione giuridica del perimetro della posizione di garanzia che assume il professionista che certifica il collaudo statico di un manufatto.

Nel caso in disamina, secondo l’ipotesi accusatoria accolta dei giudici di merito, l’imputato si era reso responsabile di omicidio colposo contestato per il decesso del portiere di uno stabilimento avvenuto a seguito di gravissime lesioni riportate dal medesimo al cranio al torace e agli arti inferiori causate dallo schiacciamento provocato dall’anta destra di un pesante cancello  che lo aveva investito una voltauscito dalla guida.

Per quanto di interesse per la presente nota si evidenzia che con un motivo del ricorso straordinario per cassazione veniva denunciato l’errore percettivo in cui sarebbe incorsa la cassazione con la sentenza di rigetto dell’impugnazione ordinaria ritenendo, erroneamente, il reato colposo ascritto al giudicabile aggravato dalle norme antinfortunistiche.

In particolare, secondo la difesa,  l’aggravante in parola, poteva estendersi alla sola verifica concernente il  manufatto e non al cancello dal cui malfunzionamento era derivato il grave evento avverso, con conseguente estinzione del delitto di omicidio colposo da ritenere consumato nella forma non aggravata.

La Suprema corte ha dichiarato inammissibile la doglianza enunciando le seguenti coordinate ermeneutiche:

“…….Ed infatti, quanto alla tematica della prescrizione e della aggravante della normativa infortunistica (profilo su cui maggiormente si appunta la doglianza), a pagina 25 la sentenza impugnata precisa che «la normativa che attiene al collaudo statico delle strutture riguarda non solo la perfetta realizzazione a regola d’arte del manufatto ma anche il rispetto delle norme antinfortunistiche e di sicurezza del cancello anche quale luogo e attrezzatura di lavoro nel rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza del cancello imposta dalla direttiva prodotti da costruzione 89/106/CEE.

Il [omissis] -non verificò con la dovuta diligenza dovuta in esecuzione dell’incarico affidatogli il funzionamento del cancello in tutti i suoi aspetti soprattutto di sicurezza, stante la difformità dal Progetto edilizio, il disallineamento da quanto riportato nei disegni finali, l’assenza di indicazioni sul sistema di fermo corsa installato, l’assenza di un progetto esecutivo costruttivo del cancello conforme alle norme e alle leggi codificanti la regola d’arte, la evidente incapacità dei sistemi di ammortizzazione del cancello in chiusura di evitare “urti inopportuni” della piastre di fermo corsa, la mancata certificazione della conformità delle norme tecniche previste dalla Direttiva prodotti di costruzione come richiesto dal contratto, a garanzia della regolare costruzione a regola d’arte del manufatto e della sicurezza dei lavoratori e dei terzi.

Le omissioni anche del collaudatore [omissis]     hanno consentito, nella catena causale, al costruttore e ai subappaltatori di progettare non adeguatamente, di realizzare e mettere in servizio un cancello scorrevole manuale in realtà privo di un sistema di fermo corsa in chiusura delle ante mobili, in quanto non costruito a regola d’arte e ciò in disapplicazione delle norme antinfortunistiche di cui all’art. 3 d. lgs. 626/1994, delle norme di fabbricazione del cancello, attrezzatura di lavoro secondo le vigenti normative di sicurezza e le specifiche disposizioni sulla sicurezza dei prodotti di costruzione 89/106/CEE.

Conseguentemente è manifestamente infondato l’ottavo motivo che mira genericamente ad ottenere la esclusione dell’aggravante di cui alla violazione della normativa infortunistica la cui sussistenza incide sui termini di prescrizione, raddoppiandoli ai sensi di quanto previsto dall’art. 157 cod. pen.».

Il ricorso, che riporta solo la parte finale della motivazione, senza confrontarsi con la parte che precede, in cui viene evidenziata la violazione della normativa infortunistica, cui consegue il raddoppio dei termini prescrizionali, è pertanto inammissibile per genericità, oltre che – anche in questo caso – teso ad ottenere una rivalutazione non consentita della motivazione del giudice della legittimità in sede di impugnazione straordinaria”.

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.