La mancata comunicazione all’Ispettorato del Lavoro delle informazioni sull’organizzazione del lavoro non sempre costituisce fatto di reato.
La Corte di cassazione con la sentenza n.39659/2024 – depositata in data 29/10/2024, è tornata a definire il perimetro punitivo dell’art.4, comma 7, legge n.628 del 1961 che punisce la condotta di coloro che legalmente richiesti dall’Ispettorato del Lavoro di fornire notizie circa l’organizzazione del lavoro, non le forniscano o le diano scientemente errate ed incomplete
Nel caso in disamina, il Giudice di prime cure, aveva condannato alla pena di euro 500 di ammenda l’imputato rinviato a giudizio in qualità di Direttore del punto vendita di una s.p.a., perché ritenuto responsabile di avere fornito all’organo di vigilanza notizie ed informazioni scientemente errate ed incomplete sullo svolgimento dell’attività all’interno dell’esercizio commerciale con particolare riferimento ai dipendenti occupati nel negozio.
Secondo la difesa che sul punto interponeva ricorso per cassazione (sentenza inappellabile per la natura della pena inflitta) la decisione era viziata per violazione di legge in quanto l’addebito di avere fornito consapevolmente informazioni errate ed incomplete avrebbe dovuto comportare l’accertamento del dolo in capo al giudicabile, vale a dire la coscienza e volontà della reticenza e non la mera colpa omissiva ritenuta in sentenza.
La suprema Corte ha ritenuto fondata la censura afferente la (in)sussistenza della componente psicologica del reato, ritenuta non compiutamente accertata rispetto all’effettivo tenore idell’mputazione elevata nei confronti del giudicabile ed annullato con rinvio la sentenza impugnata.
Di seguito si riportano i passaggi della motivazione di interesse per la presente nota che mettono bene in evidenza il diverso atteggiarsi dell’elemento psicologico del reato in parola in relazione all’addebito concreto elevato dal P.M.:
“……Occorre premettere che il reato di cui all’art. 4, comma 7 della legge n. 628 del 1961, consiste nel fatto di colui il quale, legalmente richiesto dall’Ispettorato del lavoro, di fornire notizie sulle materie indicate nel medesimo articolo, non le fornisca o le dia scientemente errate od incomplete. La norma incriminatrice, dunque, sanziona l’inosservanza di obblighi di informazione strumentali a consentire alla competente autorità amministrativa di esercitare le funzioni di vigilanza e controllo alla stessa attribuite dalla legge.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, il reato contestato può essere realizzato sia in forma commissiva, allorché il soggetto richiesto dia informazioni mendaci o non pertinenti ovvero trasmetta documentazione diversa da quella a lui richiesta, sia in forma omissiva, allorché il soggetto legalmente richiesto ometta sic et simpliciter di fornire le risposte o la documentazione che gli erano state richieste (Sez. 3, n. 43702 del 12/06/2019, Ascani, Rv. 277983).
La fattispecie in esame configura, nella sua forma omissiva, un reato permanente (Sez. 3, n. 13204 del 23/11/2016, dep. 2017, Meloni), la cui consumazione si protrae fino all’osservanza della disposizione oppure, secondo un certo orientamento, sino alla data della relativa denuncia penale in danno del responsabile (Sez. 3, n. 12722 del 17/01/2019, De Bona; Sez. 3, n. 4687 del 10/12/2002, dep. 2003, Parmegiani, Rv. 22717), mentre, secondo altro e prevalente indirizzo, sino alla notificazione del decreto penale di condanna o sino alla pronuncia della sentenza di primo grado (Sez. 3, n. 43702 del 12/06/2019, Ascani, Rv. 277983, cit.; Sez. 3, n. 4221 del 25/06/2018, dep. 2019, Sorri; Sez. 3, n. 753 del 21/02/1997, Saracino, Rv. 207639).
Tanto premesso, il ricorrente sostanzialmente lamenta che, a fronte della contestazione di una condotta dolosa – l’aver fornito notizie ed informazioni scientemente errate ed incomplete -, il giudice di primo grado lo aveva ritenuto responsabile di una grave negligenza nel non aver assunto informazioni tramite l’ufficio personale dell’azienda.
La censura coglie nel segno, non essendo sufficiente, ai fini dell’affermazione di responsabilità, un atteggiamento di negligenza, seppur grave, nel recupero delle notizie da fornire all’organo ispettivo richiedente, quando la contestazione formulata dal pubblico ministero presupponga che le notizie siano state invece fornite e che lo siano state, “scientemente”, in forma errata ed incompleta.
E’ pur vero che, nella descrizione dei fatti sviluppata in sentenza, si sottolinea che il ricorrente, acquisite informazioni telefoniche, avesse tenuto un comportamento reticente, dichiarando agli ispettori INPS che solo un lavoratore dipendente della [omissis] s.r.l. aveva prestato lavoro nel punto vendita da lui diretto.
Tuttavia, il primo giudice perviene alla conclusione che la condotta deve essere punita a titolo di colpa, ravvisando, nella specie, una condotta gravemente negligente nel non essersi, il ricorrente, adoperato per reperire le informazioni richieste. Diversamente, come sopra esposto, la lettura del capo di imputazione restituisce l’addebito di una condotta dolosa, ovverosia l’aver fornito notizie ed informazioni scientemente errate ed incomplete.
In altri termini, la responsabilità del ricorrente è stata affermata sulla base di un elemento psicologico – grave negligenza nel non aver assunto informazioni tramite l’ufficio personale dell’azienda – completamente diverso da quello originariamente ascritto – l’aver fornito notizie ed informazioni scientemente errate ed incomplete – ed anche sulla base di una motivazione all’evidenza contraddittoria, poiché lo sviluppo argomentativo della sentenza impugnata ha preso le mosse dalla descrizione di un comportamento reticente assunto dal ricorrente innanzi agli ispettori INPS che chiedevano informazioni, per poi approdare, senza alcuna coerenza logica, ad addebitare all’imputato un comportamento negligente su cui fondare la pronuncia di responsabilità penale”.
Per la pertinenza con l’argomento trattato si segnalano due arresti giurisprudenziali relativi alla diversa ipotesi di condotta omissiva prevista e punita dall’art.4, comma 7, legge n.628 del 1961:
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