Indebita compensazione: legittimo il sequestro della liquidità del prestanome che non dimostra l’impossibilità di controllare la gestione della società.

Con la sentenza numero 41245/2024 – depositata l’ 11/11/2024, la sezione terza penale della Corte di Cassazione, si è nuovamente pronunciata sul tema giuridico della  responsabilità penale dell’amministrazione di diritto della società tramite la quale vengono consumati delitti fiscali.

Nel caso di specie il ricorrente aveva subito gli effetti del decreto di sequestro preventivo eseguito sul proprio concorrente per un importo pari al profitto del reato di indebita compensazione per avere,  in  qualità  di  legale  rappresentante della [omissis] s.r.l., omesso  il  versamento  delle  somme  dovute  a  titolo  di  imposta, utilizzando fatture per operazioni inesistenti formalmente emesse per progetti di ricerca e sviluppo.

La difesa dell’indagato, con il ricorso di legittimità aveva sostenuto, tra l’altro,  che le somme giacenti presso l’istituto bancario erano relative agli stipendi ricevuti per l’attività svolta come cameriere e come tali non potevano essere sequestrate, considerato anche il ruolo solo formale assunto dal prevenuto come amministratore di diritto dell’impresa collettiva, in realtà gestita da altri soggetti.

La Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondata la superiore tesi giuridica ricordando quanto indicato nel segmento di motivazione sotto riprodotto che si pone in linea con la stabile giurisprudenza di legittimità:

“Il ricorso, pur facendo incidentalmente riferimento al ruolo  di  mero prestanome ricoperto dall’indagato, non evidenzia elementi emergenti  ictu oculi, gli unici in grado di incrinare la configurabilità dell’elemento soggettivo in materia di misure cautelari reali (Sez. 2, Sentenza n. 18331 del 22/04/2016,Iommi, Rv. 266896) – dove è esclusivamente demandata al giudice una valutazione sommaria in ordine al “fumus”  del  reato ipotizzato  relativamente  a tutti gli elementi  della fattispecie contestata -, che consentissero di ritenere di fatto precluso al [omissis] l’esercizio del dovere di controllo che gli competeva ex lege, argomento questo del tutto tralasciato, e che invece sarebbe stato l’unico spendibile al fine di sostenere che era privo di qualunque potere di ingerenza nella gestione delle società dallo stesso formalmente  amministrata.

Ed invero, secondo l’univoco orientamento giurisprudenziale, il prestanome che, accettando la carica ha anche accettato i rischi ad essa connessi, risponde comunque a titolo di dolo eventuale esponendosi alle conseguenze dell’operato dei gestori reali e dunque alla possibilità che questi pongano in essere, attraverso il paravento loro prestato con la carica ricoperta, attività non legali, in base alla posizione di garanzia di cui all’art. 2392 cod. civ., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi (cfr. Cass. 26 gennaio, 2006 n. 7208; Cass. 26 novembre 1999 Dragomir Rv 215199; Sez. 3, n. 22919 del 06/04/ 2006 – dep. 04/07/ 2006, Furini, Rv. 234474;  Sez.  3,  n.  47110  del 19/11/ 2013 – dep. 27/11/ 2013, PG in proc. Piscicelli, Rv. 258080 che ha precisato che in tema di reati tributari il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società)”

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA