Condannato per evasione fiscale il chirurgo estetico che non versa l’Iva sui compensi ricevuti per le prestazioni non finalizzate a riabilitazione e cura del paziente.
E’ il principio di diritto affermato dalla terza sezione penale della Cassazione con la recente sentenza n.37239/2024, chiamata a pronunciarsi sulla sussistenza del reato di omessa dichiarazione contestato e ritenuto provato dai giudici del doppio grado di merito a carico di un chirurgo estetico reo di non aver presentato la dichiarazione Iva per un importo superiore alla soglia di punibilità prevista dall’art. 5 d.lgs. n. 74/2000 (attualmente fissata in € 50.000)
Con il ricorso per cassazione e per quanto di interesse per la presente nota, si evidenzia che la difesa del giudicabile aveva denunciato vizio di legge della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello aveva confermato la condanna per il reato in parola, nonostante, si è sostenuto, le prestazioni fornite dal ricorrente fossero di medicina estetica finalizzate a cura e riabilitazione, come tali rientranti nell’esenzione dall’IVA prevista dall’art. 10, n. 18, d.P.R. n.633 del 1972.
La Suprema Corte, facendo applicazione dei principi giuridici già fissati dalle sezioni civili, non ha accolto la tesi difensiva per le ragioni espresse nella parte motiva della sentenza in commento di seguito riportate:
“Va premesso che, in tema di imposta IVA, le prestazioni mediche e paramediche di chirurgia estetica si distinguono dalle prestazioni a contenuto meramente cosmetico e sono esenti di imposta, ex art. 10, n. 18, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei limiti in cui sono finalizzate a trattare o curare persone che, a seguito di una malattia, di un trauma o di un handicap fisico congenito, subiscono disagi psico-fisici e, dunque, sono rivolte alla tutela della salute, gravando sul contribuente l’onere di provare la sussistenza dei suddetti requisiti soggettivi e oggettivi (Sez. 5 civ., n. 27947 del 13/10/2021, Rv. 662473; Sez. 5, civ. n. 21272 del 02/11/2005, Rv. 584576 — 01).
La pacifica giurisprudenza civile ha reiteratamente affermato che in tema di Iva, l’onere di provare la sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi richiesti per godere dell’esenzione cui all’art.10 del d.P.R. n. 633 del 1972, grava sul contribuente, con la conseguenza che, se non viene fornita tale prova, i corrispettivi accertati devono ritenersi operazioni imponibili (da ultimo Sez. 5, n. 25440 del 12/10/2018, Rv. 650802 2,- 01; Sez. 5,n. 13138 del 24/06/2015; Sez. 5, n. 17656 del 06/08/2014). E con riguardo alle prestazioni di natura puramente estetica, anche se rese da personale infermieristico o medico, una volta accertato che il trattamento non abbia contenuto intrinseco di prestazione sanitaria medica o paramedica, non spetta l’esenzione (da ultimo Sez. 5, n. 19178 del 17/07/2019).
Come richiamato anche dalla sentenza impugnata, anche mediante richiamo alle decisioni della Corte di Giustizia in tema (Corte di Giustizia, 21 marzo 2013, C-91/12), i trattamenti di carattere estetico, nei limiti in cui abbiano lo scopo di trattare o curare persone che a seguito di malattia o di handicap fisico congenito abbiano bisogno di intervento estetico, potrebbero rientrare nella nozione di “cure mediche” o di “prestazioni mediche” esente da Iva ai sensi degli ant. 10 e 18 del D.P.R. n. 633 del 1972, ma che l’onere della destinazione del trattamento a cure mediche, ai fini dell’esenzione Iva, grava sul contribuente che effettua le prestazioni.
La Corte territoriale ha condiviso e fatto corretta applicazione di tale consolidato principio giurisprudenziale, rilevando l’assenza di puntuale allegazione di documentazione sanitaria (cartella clinica e prescrizione medica), attestante il carattere terapeutico in relazione alle singole prestazioni rese, implicitamente escludendo la possibilità di formulare ex post una valutazione globale delle medesime”
By Claudio Ramelli RIPRODUZIONE RISERVATA