Reati fallimentari: il patteggiamento con pena contenuta nei 2 anni di reclusione impedisce l’applicazione delle pene accessorie.
Questo è il principio di diritto ricordato dalla Corte di cassazione – sezione quinta penale con la sentenza numero 43703/2024 – depositata il 19/11/2024, che ha riformato la sentenza impugnata elidendo il capo relativo alle pene accessorie inflitte al condannato.
Nel caso di specie il Giudice dell’udienza preliminare aveva applicato alla giudicabile la pena concordata tra difesa e PM di anni uno e mesi otto di reclusione, con la sospensione condizionale, per i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e di bancarotta fraudolenta impropria da determinazione del fallimento per effetto di operazioni dolose.
Con la medesima sentenza, tuttavia, lo stesso magistrato, aveva applicato le pene accessorie previste dall’art. 216, ultimo comma L.F.; tale statuizione veniva impugnata dalla difesa con ricorso per cassazione sotto il profilo dell’illegalità della pena.
La Corte regolatrice ha accolto il ricorso per le ragioni che seguono, ponendosi in linea con quanto affermato dalla stabile giurisprudenza di legittimità:
“……L’art. 445, comma 1, cod. proc. pen., nel disciplinare gli effetti dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, esclude che, con la sentenza pronunciata ex art. 444, comma 2, cod. proc. pen. che applichi una pena detentiva che, sola o congiunta a pena pecuniaria, non superi gli anni due, possa essere irrogata una pena accessoria, salve le eccezioni introdotte con il comma 1-ter dell’art. 445 cod. proc. pen. – che non vengono in rilievo nella fattispecie al vaglio -, o una misura di sicurezza, esclusa la confisca ex art. 240 cod. pen..
Trattasi, certamente, di disposizione che, in ragione del carattere di premialità attribuito dal legislatore all’istituto del patteggiannento di cui all’art. 444 cod. proc. pen., riconosce all’imputato, che se ne avvalga, una contropartita per l’economia processuale in tale guisa realizzata e costituisce, pertanto, una norma speciale, come tale prevalente rispetto a quella di cui all’art. 216, ultimo comma, L.F., che prevede l’applicazione obbligatoria di pene accessorie specificamente individuate in caso di condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta (Sez. 5, n. 15386 del 19/02/2016, Rv. 266470; Sez. 5, n. 17954 del 13/02/2014, Rv. 262094).
In tal senso, del resto, si è unanimemente espressa questa Corte, affermando, anche di recente, che, in tema di bancarotta fraudolenta, il patteggiamento di una pena detentiva non superiore ai due anni preclude l’applicazione delle pene accessorie obbligatorie per legge, non rientrando il reato di cui all’art. 216 L.F. tra le eccezioni previste dall’art. 445, comma 1-ter, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1, comma 4, lett. e) della legge 9 gennaio 2019, n. 3. (Sez. 5, n. 10988 del 28/11/2019, dep. 2020, Rv. 278882).
Ne viene che, nel caso al vaglio, il Giudice dell’udienza preliminare non avrebbe dovuto applicare all’imputata ricorrente le pene accessorie fallimentari, che, pertanto, sono illegali, in quanto inflitte al di fuori dei limiti consentiti dal legislatore, sicché devono essere eliminate direttamente dal giudice di legittimità, ricorrendo i presupposti previsti dall’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., come precisato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 3464 del 30/11/2017, Matrone, Rv. 271831.
L’autorevole Collegio ha chiarito, infatti, come la Corte di cassazione debba pronunciare sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all’esito di valutazioni discrezionali, possa decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando necessari ulteriori accertamenti”.
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