La ristrutturazione del debito fiscale ex art. 182 bis l.f. dà diritto alla riduzione dell’importo della confisca disposta per il profitto del reato tributario.

Questo è il principio di diritto fissato dalla Corte di cassazione – sezione terza  penale con la sentenza numero 44519/2024 – depositata il 05/12/2024, che ha affrontato l’inedita questione giuridica della rilevanza che assume sull’importo della confisca l’accordo di ristrutturazione del debito tributario intercorso tra la società e l’Amministrazione finanziaria dello Stato, successivamente alla definizione del giudizio penale, concluso con sentenza di condanna  irrevocabile in danno dell’amministratore.

Nel caso di specie il ricorso per cassazione era stato interposto contro il provvedimento del Giudice dell’Esecuzione penale di rigetto della richiesta avanzata dal condannato definitivo per il reato previsto e punito di cui all’art. 10 ter d.lgs. n.74/2000, volta ad ottenere la riduzione della confisca disposta nel giudizio di cognizione e ciò in forza dell’accordo transattivo intercorso con l’Erario.

Secondo quanto si può ricavare dalla lettura della sentenza il ricorrente aveva richiesto al G.D.E. la riduzione della confisca a seguito dell’omologazione (ottenuta dal competente  Tribunale) dell’accordo di ristrutturazione del debito fiscale intercorso con l’Erario ex art. 182 bis legge fallimentare con obbligo del contribuente di pagare solo il 15% dell’imposta indiretta originariamente dovuta per la quale era stata disposta la misura ablatoria.

La questione in termini economici assumeva rilevante importanza trattandosi di ridurre l’importo della confisca disposto (per equivalente)  sul patrimonio personale del condannato da € 383.246,00 ad € 57.486,90.

La Corte regolatrice ha accolto il ricorso ponendo in evidenza la natura transattiva dell’accordo di ristrutturazione del debito tributario e la necessità di fare applicazione dei principi di proporzionalità ed adeguatezza delle misure cautelari reali anche in fse di esecuzione:

“……L’accordo di ristrutturazione del debito ha, invece, contenuto transattivo non limitato al solo termine di adempimento, in quanto con esso il creditore effettua una concessione al debitore in considerazione delle difficoltà finanziarie  e dello stato di crisi in cui lo stesso si trova, che si sostanzia nella rinuncia ad alcuni diritti (in particolare alla riscossione di tutto il credito). Tale accordo, quando intervenuto con l’Amministrazione finanziaria,  sotto forma di transazione fiscale ex art. 182-ter l.f., incide direttamente sull’entità del debito erariale, che subisce una modifica quantitativa, incidendo, di conseguenza, anche sul profitto  del reato.

Alla luce di tale differenza, allora, risulta chiaro come l’accordo di ristrutturazione del debito, ex art. 182-bis l.f.,  incidendo  direttamente  sul quantum della somma di denaro dovuta all’Amministrazione finanziaria per l’ iva non versata, che costituisce il profitto del reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. 74 del 2000, esplichi necessariamente i propri effetti anche sulla confisca  per equivalente del profitto di tale reato, nel senso di determinare una necessaria rivisitazione dell’ammontare del quantum del profitto del reato e, con esso, della somma da assoggettare  a confisca, quando  la misura di quella originariamente disposta risulti eccedente rispetto all’attuale debito tributario da estinguere (che costituisce il profitto del reato).

D’altronde,   è  principio   pacifico   in  giurisprudenza   che  la  confisca  “per equivalente”, per sua intrinseca natura, non può  avere a oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, imponendosi quindi una valutazione relativa all’equivalenza tra il valore dei beni e l’attuale entità del profitto del reato (quale risultante a seguito dell’accordo di ristrutturazione del debito,  per  effetto  del quale l’Amministrazione finanziaria ha rinunziato a parte della propria pretesa creditoria, determinando una riduzione dell’imposta dovuta e, quindi, anche del profitto del reato tributario, che non può essere superiore al debito fiscale).

Nel caso in esame, vertendosi in una ipotesi non già di mera rateizzazione del debito, bensì di ristrutturazione dello stesso, il  giudice  dell’esecuzione avrebbe dovuto tenere conto dell’intervenuto accordo di ristrutturazione del debito medio tempore intervenuto tra il debitore e l’Amministrazione  finanziaria, in conseguenza del quale è stato ridotto l’importo dovuto dal primo alla seconda per l’iva non versata e, quindi, è corrispondentemente diminuito anche il profitto del reato tributario commesso dal ricorrente medesimo.

La confisca non può che corrispondere al profitto del reato, sicché se, in forza di un accordo di ristrutturazione del debito, questo sia stato rideterminato, non  potrà  essere  mantenuta  la  confisca  nel suo quantum  originario,  pena la violazione del principio di proporzionalità.

Ragionando a contrario, quindi mantenendo inalterato il quantum della confisca anche dinanzi a una novazione del debito tributario, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (Sez. 3, n. 4097 del 19/01/2016, Tornasi Canova, Rv. 265843, cit.; Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263409, cit.), che è pari all’imposta effettivamente dovuta, da determinare anche sulla base degli accordi intercorsi con l’Amministrazione che ne abbiano comportato una rideterminazione.

L’ordinanza impugnata deve, quindi, essere annullata con rinvio per consentire un nuovo esame nel merito, affinché il giudice dell’esecuzione possa valutare compiutamente l’incidenza  dell’intervenuto  accordo  di  ristrutturazione del debito sul profitto del reato e sull’ammontare della confisca”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA