Bancarotta distrattiva per l’amministratore che riceve pagamenti dalla società prima del fallimento senza giustificarne la natura di compenso.
Con la sentenza numero 46980/2024 (udienza 11/11/2024 – data di deposito 19.12.2024) la sezione quinta penale della Corte di cassazione, si è nuovamente pronunciata sulla qualificazione giuridica della condotta dell’amministratore della società il quale, prima del fallimento, riceve dei pagamenti da parte della società dei quali viene chiamato a giustificare il titolo in sede penale per difendersi dall’accusa di bancarotta fraudolenta per distrazione.
Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità del giudicabile, rinviato a giudizio per il reato previsto e punito dall’art. 216 legge fallimentare, in relazione alla distrazione dell’importo complessivo di euro 38.650,00, ricevuto mediante plurimi bonifici effettuati in suo favore, senza alcuna causale, dalla società fallita nel limitato periodo in cui ne era stato amministratore.
La Corte di legittimità ha ritenuto destituita di fondamento la tesi difensiva – perché rimasta indimostrata – che mirava a sostenere l’insussistenza del reato fallimentare, ovvero, in subordine, la derubricazione nel meno grave reato di bancarotta preferenziale, sul presupposto che i pagamenti ricevuti, in realtà, fossero compensi per l’attività gestoria svolta nel periodo (sei mesi) durante il quale il prevenuto aveva assunto la carica di amministratore unico.
Di seguito si riporta il segmento della motivazione di interesse per la presente nota:
“…Ad ogni modo, è noto che non basti dedurre il diritto al compenso di amministratore e neppure la sua formale delibera e/o previsione statutaria per rendere lecita o, al più, qualificabile come bancarotta preferenziale la condotta dell’amministratore che si attribuisca emolumenti per tale carica.
Infatti, il rapporto che nasce con l’assunzione di detta carica non è, ex se, qualificabile come di lavoro subordinato e neppure di prestazione d’opera continuativa e coordinata di cui all’art. 409, numero 3, cod. proc. civ., dovendo essere ricondotto nell’ambito di un rapporto professionale autonomo: sicché, fermo restando il teorico diritto al compenso, all’amministratore di società non si applica certamente l’art. 36, comma 1, Cost., sulla retribuzione da garantire a chi presta lavoro subordinato o ad esso assimilabile (in tal senso Sez. 5, n. 36416 del11/05/2023, Rv. 285115-01 e la giurisprudenza richiamata nella sua motivazione).
Dunque, la valutazione di congruità dei compensi di chi sia amministratore di una società si deve basare su dati ed elementi, anche di confronto, che ne consentano un’adeguata e oggettiva valutazione, quali gli eventuali emolumenti riconosciuti ai precedenti amministratori dall’assemblea, quelli garantiti da società del medesimo settore e della stessa dimensione, gli impegni orari osservati, i risultati conseguiti, gli eventuali compensi corrisposti ai dirigenti di vertice della società (Sez. 5, Sentenza n. 17792 del 23/02/2017, Rv. 269639-01; Sez. 5, n.3191 del 16/11/2020, Rv. 280415-01; Sez. 5, n. 14010 del 12/02/2020, Rv.279103-01)”.
Sulla stessa linea interpretativa per eventuali approfondimenti si segnalano i seguenti arresti giurisprudenziali oggetto di precedenti commenti:
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA