La Cassazione annulla il sequestro probatorio di Bitcoin eseguito nei confronti del contribuente infedele per il profitto del reato tributario.

La Cassazione annulla il sequestro probatorio di Bitcoin eseguito nei confronti del contribuente infedele per il profitto del reato tributario.

E’ il principio di diritto fissato con la sentenza numero 1760/2025 (udienza 20.11.2024 – data di deposito15.01.2025) dalla Corte di cassazione – sezione terza penale, che ha affrontato l’interessante e quanto mai attuale questione di diritto connessa alla possibilità di disporre il sequestro probatorio delle criptovalute nell’ambito di un procedimento penale pendente per reati tributari.

Nel caso di specie il Tribunale cautelare aveva rigettato il riesame proposto dal ricorrente avverso il decreto di convalida del sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica, avente ad oggetto la somma di denaro pari ad euro 120.638,20 quale controvalore al momento del trasferimento in euro del BTC pari a 1,88805294, corrispettivo di imposte evase per l’anno di imposta 2021 corrispondente al  profitto del delitto tributario di dichiarazione infedele.

La difesa dell’indagato  con il ricorso per cassazione aveva dedotto il vizio di legge dell’ordinanza impugnata  deducendo che il sequestro probatorio per il reato in provvisoria contestazione punito dall’art. 4 d.lgs. n.74/2000, per essere legittimo, avrebbe dovuto avere ad oggetto esclusivamente l’ammontare dell’imposta considerata evasa, e cioè, nel caso in esame, l’indicata somma di euro  120.638,20.

Diversamente, nella fattispecie esaminata, il sequestro probatorio, era stato eseguito sostanzialmente per equivalente, ed ha avuto, illegittimamente, per oggetto un asset rappresentato da valuta virtuale bitcoin al posto dell’ammontare in euro dell’imposta ritenuta evasa.

Ha precisato inoltre la difesa  che le valute virtuali, tra cui bitcoin, sono una rappresentazione di valore non emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non necessariamente legata ad una valuta legalmente istituita, che non possiede lo status giuridico di valuta o moneta di tal ché la criptovaluta oggetto di provvisoria ablazione non poteva essere sequestrata.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso annullando con rinvio l’impugnata ordinanza per le ragioni che seguono:

 

(i) La natura giuridica  della moneta virtuale ed i corollari in sede penale.

[…Sul concetto di moneta virtuale Sez. 2, n. 44378 del 26/10/2022, Melis, Rv. 284124, precisa che, nella direttiva 2018/843/UE del 30 maggio 2018 (in modifica della c.d.IV direttiva antiriciclaggio), la criptovaluta viene definita come “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”; la ratio della norma vuole evidentemente disciplinare i rapporti tra moneta virtuale e moneta corrente, senza però correttamente definire il fenomeno (disciplinando “in negativo” le caratteristiche della moneta virtuale); il considerando n. 10 della Dir. antiriciclaggio dimostra l’assunto in quanto afferma che “sebbene le valute virtuali possano essere spesso utilizzate come mezzo di pagamento, potrebbero essere usate anche per altri scopi e avere impiego più ampio, ad esempio come mezzo di scambio, di investimento, come prodotti di riserva di valore o essere utilizzate in casinò online. L’obiettivo della presente direttiva è coprire tutti i possibili usi delle valute virtuali”.

La definizione che ne dà il legislatore italiano si rinviene nell’art. 1 del d.lgs. 231/2007 come modificato dal D.Lgs. 4 ottobre 2019, n. 125 dove la moneta virtuale viene definita (lett. qq) “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”; si nota subito che tale definizione aggiunge, rispetto a quella del legislatore comunitario, espressamente la finalità di investimento.

La richiamata pronuncia Sez. 2, n. 44378 del 26/10/2022, nel descrivere i soggetti che operano nell’ambito delle valute virtuali, rileva che per exchanger si intende il soggetto che gestisce le piattaforme exchange, intendendosi per exchange la piattaforma tecnologica che permette di scambiare questo prodotto finanziario, la cui funzione, quindi, è quella di poter permettere di effettuare l’acquisto e la vendita delle criptovalute e di realizzare un profitto; sono stati inclusi i “prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale” tra i cc.dd. soggetti obbligati (art. 3, comma 5, lett. i), D.Lgs. n. 231/07) ad iscriversi in apposito registro  tenuto  presso  l’OAM  –  Organismo  competente  in via  esclusiva  ed autonoma per la gestione degli Elenchi degli Agenti in attività finanziaria e dei Mediatori creditizi – con relativo obbligo di comunicazione al Ministero Economia e Finanze (art.17 bis, comma 8 bis, D.Lgs. n. 141/2010): con la IV e la V Direttiva UE Antiriciclaggio,  recepite rispettivamente con il d.lgs. n. 90/2017 e con il d.lgs. n. 125/2019, sono stati previsti specifici obblighi nei confronti dell’exchanger (cambiavalute di bitcoin et similia, definiti come ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi funzionali all’utilizzo, allo  scambio,  alla  conservazione  di valuta  virtuale  e alla  loro  conversione  da, comprese quelle convertibili in altre valute virtuali nonché i servizi di emissione, offerta, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all’acquisizione, alla negoziazione o all’intermediazione nello scambio delle medesime valute, art. 1, comma 2, lett. ff , d.lgs. n. 231/2007) e del  wallet provider (gestori di portafogli virtuali, definiti come ogni persona fisica o giuridica che fornisce, a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire  valute virtuali, art. 1, comma 2, lett. ff bis)), entrambi inseriti nella categoria  “altri operatori non finanziari”.

Si è, quindi, affermato che, ove le monete virtuali vengano utilizzate come strumenti di investimento finanziario, la negoziazione è soggetta al rispetto delle norme in materia di intermediazione finanziaria, ivi compresa la necessaria abilitazione del soggetto intermediario (Sez. 2, Sentenza n. 26807  del 17/09/2020, De Rosa, Rv. 279590.

Gli inconvenienti e i rischi collegati ai bitcoin sono, dunque, facilmente percepibili: essi non sono emessi da una banca centrale o da un’altra autorità pubblica e per essi non vige il principio nominalistico, essendo per lo più privi di regolamentazione, almeno di regolamentazione vincolante. Non svolgono  le funzioni tipiche della moneta, di unità di conto e riserva di valore, per via della mancanza di potere liberatorio nei pagamenti e dell’estrema volatilità: non vi è chi possa stabilizzarne in via autoritaria i corsi e da qui discendono le oscillazioni del cambio che generano incertezze in sede di conversione.]

 

(ii) L’applicazione dei principi  di diritto sopra enunciati al caso concreto e le ragioni dell’annullamento.

Tanto premesso,  l’ordinanza del Tribunale del riesame ha confermato il decreto di convalida del sequestro probatorio della somma pari a euro 120.638,20 qualificata come corpo di reato, in quanto profitto del reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000.

Tuttavia,  l’ordinanza è, per un verso carente di motivazione in ordine al presupposto della finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710), facendo  rinvio agli atti di P.G. richiamati nel decreto di convalida di sequestro probatorio, senza illustrarne il contenuto, e, per altro verso, nel qualificare come profitto del reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 l’ammontare dell’imposta evasa collegata alle plusvalenze derivanti da operazioni di trading di criptovalute attraverso account aperti presso diversi exchange, afferma la sussistenza del nesso di derivazione tra i bitcoin sottoposti a sequestro ed il reato, senza adeguatamente confrontarsi con le critiche contenute nell’atto di gravame.

Coglie nel segno, infatti, il rilievo della difesa allorquando rileva l’inconciliabilità delle motivazioni del Tribunale del riesame che, valorizzando la sussistenza del nesso di derivazione tra l’oggetto del sequestro (bitcoin) e il reato, rispetto ad un profitto del reato consistente in un’imposta evasa quantificata in euro 120.638,20, finiscono con il legittimare un sequestro probatorio del profitto del reato non diretto, ma per equivalente, perché ricadente non su moneta avente corso legale nello Stato, utilizzata per effettuare i pagamenti ed avente valore liberatorio delle obbligazioni contratte anche nei confronti dell’erario per l’estinzione del debito tributario, ma su un asset digitale rappresentato da valuta virtuale che non svolge le funzioni tipiche della moneta avente corso legale e che è soggetta a continue fluttuazioni di mercato.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA