Bancarotta fraudolenta per l’amministratore che sottrae beni la cui pregressa esistenza nel patrimonio sociale è attestata dalle scritture contabili.

E’ il principio di diritto enunciato con la sentenza numero 1923/2025 (udienza 16.10.2024 – data di deposito 16.01.2025) resa dalla Corte di cassazione – sezione quinta penale, che è tornata ad affrontare il tema della responsabilità penale dell’amministratore che non giustifica nella competente sede processuale  il mancato rinvenimento di beni già facenti parte del patrimonio dell’ente, la prova della cui esistenza viene ricavata dalle annotazioni nelle scritture contabili.

Nel caso di specie (e per quanto di interesse per la presente nota) i giudici del doppio grado di merito, avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità dell’imputato per il reato previsto e punito dall’art. 216 legge fallimentare, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, in quanto – nella sua qualità di amministratore unico – avrebbe distratto dal patrimonio della società fallita  immobilizzazioni materiali dal valore complessivo di euro 211.709,45, risultanti dalle scritture contabili.

La difesa del giudicabile con il ricorso per cassazione aveva dedotto, tra i vari motivi di doglianza,  il vizio di legge e di carenza di motivazione in ordine all’affermata responsabilità per il reato fallimentare, stigmatizzando la circostanza che la Corte territoriale aveva, erroneamente, ritenuto  dimostrata la condotta distrattiva sulla base delle scritture contabili e delle dichiarazioni dell’amministratore contenute nella nota integrativa al bilancio e, di converso, non aveva considerato l’ipotesi che la società potesse avere avuto la disponibilità di attrezzature e di beni strumentali non di sua proprietà, in quanto acquisiti a titolo di leasing.

La Suprema corte, dando ulteriore continuità ad un orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto infondata la superiore doglianza validando l’operato dei giudici del merito per le ragioni che seguono:

[…La Corte di appello, invero, sulla base delle scritture contabili e delle stesse dichiarazioni dell’amministratore, ha ritenuto provata la disponibilità da parte della società di immobilizzazioni materiali, per il complessivo importo di euro 211.709,45, che non erano state rinvenute in sede di inventario.

Ha poi rappresentato, senza incorrere in alcun vizio logico, che non appariva verosimile che la società potesse avere operato senza disporre di beni strumentali.

Quanto  alla  possibilità  che  la  società  avesse  ottenuto  in  leasing  i  beni strumentali  necessari allo svolgimento  dell’attività  di impresa, deve rilevarsi che si tratta di una mera ipotesi, che il ricorrente prospetta senza corredarla di alcun elemento di concretezza.

Sotto altro profilo, deve essere ricordato che, in ogni caso, «integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale la sottrazione o dissipazione di un bene pervenuto alla società fallita a seguito di contratto di “leasing“, anche se risolto dopo la dichiarazione di  fallimento, in quanto la perdita del valore del bene, suscettibile di riscatto, e l’onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione verso il concedente determinano un pregiudizio per la massa fallimentare»  (Sez. 5, n. 15403 del 13/02/2020, Ceravolo, Rv. 279212)”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA