Condanna per accesso abusivo a sistema informatico e violazione della corrispondenza per l’ex convivente che produce in giudizio messaggi privati presenti sul telefono della controparte.
E’ il principio di diritto fissato dalla Corte di cassazione – sezione quinta penale con la sentenza numero 3025/2025 (udienza 30.10.2024 – data di deposito il 22.01.2025) che è tornata a pronunciarsi sulla questione giuridica dell’illiceità della condotta della parte processuale che nell’ambito di una causa civile produca comunicazioni telematiche – nella fattispecie intercorse tramite WhatsApp – riservate, perché aventi come destinatario l’antagonista processuale.
Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, condannato l’imputato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di accesso abusivo a sistema informatico e violazione della corrispondenza, rispettivamente previsti e puniti dagli artt. 615 ter e 616 cod. pen., per avere versato agli atti del giudizio civile alcune comunicazioni inviate alla controparte dal proprio datore di lavoro tramite il noto programma di messagistica istantanea.
Secondo la tesi difensiva articolata con il ricorso per cassazione i reati addebitati e riconosciuti dalle due sentenze conformi erano da ritenersi insussistenti in quanto non vi era stato alcun accesso abusivo, né violazione della corrispondenza, da parte dell’imputato.
Invero con l’impugnazione di legittimità si è sostenuto che:
(i) l’imputato era a conoscenza del PIN perché a lui rilevato dall’avente diritto durante la convivenza poi cessata;
(ii) lo stesso giudicabile non l’aveva comunque utilizzato, in quanto si era limitato ad acquisire quanto visualizzato direttamente sullo schermo dello smartphone della ex convivente – poi divenuta controparte processuale – senza la necessità di utilizzare il PIN per accedere ai dati del telefono
(iii); a prescindere dai precedenti rilievi l’acquisizione delle mail sarebbe stata comunque scriminata dall’esercizio del diritto poi esercitato incardinando la causa civile (art.51 cod. pen.) al fine di salvaguardare la salute del comune figlio minore durante la pandemia Covid -19.
La Suprema Corte ha ritenuto infondate le superiori doglianze, rigettando il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi estratti dalla parte motiva della sentenza in commento di interesse per la presente nota:
- La sussistenza della condotta materiale dell’accesso abusivo a sistema informatico
“….Quanto al primo profilo, come ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico ex art. 615 -ter cod. pen., non rileva la circostanza che le chiavi di accesso al sistema informatico protetto siano state comunicate all’autore del reato, in epoca antecedente rispetto all’accesso abusivo, dallo stesso titolare delle credenziali, qualora la condotta incriminata abbia portato ad un risultato certamente in contrasto con la volontà della persona offesa ed esorbitante l’eventuale ambito autorizzatorio (Sez. 5, Sentenza n. 2905 del 02/10/2018, dep. 2019, Rv. 274596 – 01).
- Assenza di cause di giustificazione rispetto agli illeciti commessi.
Quanto al secondo profilo, immune da vizi di illogicità è la motivazione della Corte territoriale che ha escluso la ricorrenza della giusta causa della violazione di corrispondenza o della scriminante dell’esercizio del diritto alla salute del minore in quanto l’esibizione delle comunicazioni telefoniche sarebbe stata possibile con un provvedimento del giudice civile, anche in via di urgenza, e più che di esercizio del diritto alla salute avrebbe potuto parlarsi di diritto alla difesa o stato di necessità, ma nessuna delle due cause di giustificazione sussiste nella fattispecie concreta.
Non lo stato di necessità, che richiede il pericolo di un danno grave alla persona, non altrimenti evitabile e nemmeno l’esercizio del diritto, attesa la possibilità di un provvedimento istruttorio del giudice, anche d’urgenza.
- La necessità di ricorrere al giudice civile per ottenere l’esibizione del documento ex art.210 c.p.c.
In questa ottica questa Corte ha affermato che integra il delitto di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, la condotta di colui che sottragga, al fine di produrla nel giudizio civile di separazione, la corrispondenza bancaria inviata al coniuge, non ravvisandosi, in tal caso, la giusta causa di cui all’art. 616, comma secondo, cod. pen., posto che il giudice, ex art. 210 cod. proc. civ., può ordinare, d’ufficio o su istanza di parte, al coniuge o al terzo l’esibizione della documentazione di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo.
La giusta causa presuppone che la produzione in giudizio della documentazione sia l’unico mezzo a disposizione per contestare le richieste del coniuge controparte. Nè l’imputato ha dedotto elementi di sorta in tal senso. Può, dunque, ragionevolmente ipotizzarsi, come ha fatto il giudice di merito, che il [omissis]potesse a mezzo del difensore, esplicare la propria difesa (Sez. 5, n. 7359 del 24/10/2023 – dep. 2024, P., Rv. 286016 – 01; ez. 5, Sentenza n. 35383 del 29/03/2011, Rv. 250925 – 01).
- La sussistenza del reato previsto e punito dall’art. 616 cod. pen.
Più in generale integra il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza (art. 616 cod. pen.) e non la fattispecie prevista dall’art. 617, comma primo, cod. pen., la condotta di colui che prende cognizione del contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra la ex convivente e un terzo soggetto, conservata nell’archivio di posta elettronica della prima (Sez. 5, n. 12603 del 02/02/2017, Segagni, Rv. 269517 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 52075 del 29/10/2014, Rv. 263227 – 01). Situazione sovrapponibile all’ipotesi di accesso alle chat di whatsapp della persona offesa protette da PIN.
- Il concorso tra i reati di cui agli artt. 616 e 615 te cod. pen.
Il delitto concorre con quello di accesso abusivo ad un sistema informatico nel caso di accesso abusivo ad una casella di posta elettronica protetta da “password”, in relazione all’acquisizione del contenuto delle “mail” custodite nell’archivio (Sez. 5, n. 18284 del 25/03/2019, Zumbo, Rv. 275914 – 01).
Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.