La Cassazione detta la linea ai giudici di merito sull’onere di motivazione che deve sorreggere la condanna della testa di legno per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.

Con la sentenza numero 4329/2025 (udienza 12.11.2024 – data di deposito 03.02.2025), la Corte di cassazione – sezione quinta penale, è tornata ad affrontare il tema giuridico della responsabilità penale del prestanome rinviato a giudizio per rispondere di reati fallimentari, con particolare riferimento alla prova del coefficiente psicologico che deve ricorre per poter affermare la penale responsabilità dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e del correlativo obbligo giurisdizionale della puntuale motivazione.

Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito, decidendo con il rito abbreviato, avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità dell’imputata condannandola alla pena ritenuta di giustizia, quale amministratrice di una società di capitali dalla data della sua costituzione sino al fallimento in concorso con il fratello, condannato quale dominus occulto della medesima impresa collettiva.

In particolare erano stati ritenuti provati sia la distrazione dell’attivo di cassa e di alcuni macchinari, sia la bancarotta fraudolenta documentale per aver omesso di consegnare al curatore, nonché occultato in parte, i libri e le scritture contabili della fallita relativi in particolare, le fatture attive e passive, in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio complessivo e del movimento degli affari della società, anche al fine di occultare la distrazione di beni strumentali di cui al concorrente delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

La difesa della giudicabile con il ricorso per cassazione aveva dedotto, tra i vari motivi di doglianza, il vizio di legge e carenza di motivazione in ordine al dolo richiesto dalla norma incriminatrice.

Si è sostenuto, invero, che la ricorrente, in quanto mera “testa di legno”, non era a conoscenza dell’attività gestionale operata dal fratello condannato per i medesimi fatti quale amministratore di fatto dell’Ente fallito.

La Suprema Corte ha ritenuto fondata la superiore doglianza ravvisando il denunciato vizio di motivazione in ordine alla prova sulla consapevolezza dell’agito illecito in capo all’amministratrice di diritto per le ragioni che seguono:

  1. La decisione dei giudici merito.

[…E’ fondato il primo motivo di ricorso e il suo accoglimento determina l’assorbimento degli ulteriori motivi di censura.

I giudici di merito hanno riconosciuto l’imputata, quale amministratrice formale della fallita dalla costituzione alla data del fallimento, responsabile, in concorso con il fratello, amministratore di fatto nel medesimo periodo, dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.

La ricorrente, con il motivo in esame, ripropone censure già sviluppate in appello sostanzialmente riconducibili all’assenza dell’elemento psicologico dei reati a lei addebitati, rivestendo il ruolo di amministratore di diritto della società fallita solo in via formale.

Deduce di aver operato quale mera “testa di legno”, all’oscuro degli eventuali disegni criminosi del fratello, che l’aveva individuata quale amministratrice proprio per la sua totale estraneità ai fatti di gestione societaria.

La consapevolezza, da parte sua, del depauperamento del patrimonio da parte di altri sarebbe stata dunque affermata dalla Corte sulla base di mere presunzioni e comunque non fondata su obiettivi riscontri.

In tale prospettiva, la ricorrente deduce di non avere mai avuto un ruolo attivo nelle condotte distrattive in quanto, al di là del titolo formale, ella aveva sempre e solo svolto l’attività di operaia, non aveva mai tenuto alcun contatto con istituti bancari, fornitori, clienti e con il commercialista, non aveva mai percepito alcun compenso come amministratrice e non aveva alcuna competenza, né culturale, né professionale, per svolgere l’attività di amministratore.

Evidenzia, infine, che il Tribunale di Ascoli Piceno, con sentenza passata in giudicato, con riferimento al reato di cui all’art. 10-bis d.lgs n.74 del 2000 le aveva riconosciuto il ruolo di mero prestanome nella società fallita…].

 

  1. Le coordinate ermeneutiche sulla responsabilità della “testa di legno” nei reati fallimentari.

[….Orbene, la censura coglie nel segno.

Ed invero, non vi è dubbio che l’amministratore di diritto ancorché “testa di legno” può essere chiamato a rispondere dei reati fallimentari in quanto commessi, anche attraverso omissioni, in concorso con l’amministratore di fatto.

A norma dell’art. 40, comma secondo, cod. pen. infatti, «non impedire, un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo» e siffatto obbligo, nella vicenda in esame, scaturisce dal disposto di cui all’art. 2392 cod. civ. che individua gli obblighi e la responsabilità degli amministratori. Ne deriva, dunque, che «rientrando gli interessi tutelati dalle norme penali societarie e fallimentari tra quelli affidati alle cure degli amministratori, è correttamente configurabile il concorso ex art. 40, cpv., cod. pen. tutte le volte in cui l’amministratore di una società, violando l’obbligo di vigilanza e quello di attivarsi in presenza di atti pregiudizievoli, abbia consentito ad altri amministratori (o comunque a soggetti che di fatto abbiano compiuto atti di gestione) di perpetrare delitti (fattispecie in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione)». (Sez. 5, n. 15850 del 26/06/1990, Bordoni, Rv. 185887 – 01).

Quanto sopra affermato, però, esaurisce soltanto l’elemento oggettivo del reato, mentre in relazione all’elemento psicologico occorre effettuare le seguenti precisazioni.

 

2.1. Il dolo specifico nella bancarotta fraudolenta patrimoniale.

In tema di tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l’elemento soggettivo del dolo, in forma diretta o eventuale, dell’amministratore formale, postula almeno la generica consapevolezza, pur non riferita alle singole operazioni, delle attività illecite compiute dalla società per il tramite dell’amministratore di fatto (da ultimo, Sez. 5, n. 32413 del 24/09/2020, Loda, Rv. 279831).

Ed invero, costituisce principio ampiamente sostenuto dalla giurisprudenza di questa Corte e condiviso da questo Collegio, quello secondo cui, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, non legittima la presunzione del concorso nella dolosa sottrazione da parte dell’amministratore di diritto, mera testa di legno, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto. (Sez. 5, n. 54490 del 26/09/2018, C., Rv. 274166-01; Sez. 5, n. 19049 del 19/02/2010, Succi, Rv. 247251-01; Sez. 5, n. 28007 del 04/06/2004, Squillante, Rv. 228713- 01).

 

2.2. L’estensione del medesimo principio alla bancarotta fraudolenta documentale.

Tale principio, con gli opportuni adattamenti, si è fatto strada anche con riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale.

Ed invero, con riferimento all’ipotesi criminosa qui contestata, l’occultamento e la sottrazione delle scritture contabili richiede la sussistenza del dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta. (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Inverardi, Rv. 276650; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno e altro, Rv. 269904). Con particolare riferimento all’elemento psicologico, come ricordato in motivazione da Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Gualandri, Rv. 284677, «nei soli casi di sottrazione, distruzione, occultamento [ ], è richiesto un elemento ulteriore, ossia il pregiudizio per i creditori (o l’ingiusto profitto che l’agente intende raggiungere, per sé o per terzi), che integra il dolo specifico richiesto dalla norma».

Orbene, in tali casi, l’amministratore di diritto risponde di siffatto reato anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita, in quanto sussiste il suo diretto e personale obbligo di tenere e conservare le predette scritture, purché però sia fornita la dimostrazione dell’effettiva e concreta consapevolezza del loro stato (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Pastechi. Rv. 271754); in una più recente pronuncia (Sez. 5, Sentenza n. 44666 del 04/11/2021, La Porta, Rv. 282280), si precisa, pur in tema di bancarotta documentale “generica” (sul punto non si ravvisa però divergenza fra le due ipotesi contemplate nell’art. 216, comma 1 n. 2 legge fall.) che, per la sussistenza del dolo dell’amministratore solo formale, non occorre che questi si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità volti ad impedire o a rendere più difficoltosa la ricostruzione degli affari della fallita, ma è sufficiente che l’abdicazione agli obblighi da cui è gravato sia accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilità dell’alterazione fraudolenta della contabilità e dal mancato esercizio dei poteri doveri di vigilanza e controllo che gli competono.

In applicazione di siffatti principi, deve dunque affermarsi che siffatta consapevolezza deve emergere dai dati probatori ed essere oggetto di puntuale motivazione…].

 

  1. L’applicazione dei superiori principi al caso di specie, il ravvisato vizio di motivazione e l’annullamento della sentenza impugnata.

[……Nella vicenda che qui ci occupa, anche se non può sottovalutarsi la circostanza che l’amministratore di fatto, vero deus ex machina dell’intera operazione fraudolenta, abbia avvertito la necessità di far figurare quale amministratrice formale, già dalla costituzione della società, la sorella e che l’accettazione del ruolo di prestanome per l’intera vita della società possa far intravedere in capo a quest’ultima la consapevolezza di contribuire al disegno fraudolento del congiunto, tuttavia non può non evidenziarsi che si tratta di elementi di mero sospetto, come tali non sufficienti a ritenere provato che il contributo della donna fosse consapevole delle specifiche finalità perseguite dall’amministratore di fatto.

La Corte d’appello ha ravvisato tale consapevolezza nella mera circostanza che [omissis] aveva svolto le mansioni di operaia «nelle varie compagini che invariabilmente si sono succedute e già solo questo vale ad affermare che l’imputata sapeva qual era il modus operandi delle compagini di depauperamento del patrimonio sociale per effetto della lievitazione dei debiti e di creazione delle altre società che si diversificavano solo per la denominazione»; ella poi, ha evidenziato la Corte, è la sorella di [omissis] e « sempre in famiglia gli affari societari sono stati gestiti, comparendo come soci sempre familiari […] in due occasioni è stata […] presente negli incontri […] in cui si parlò delle condizioni contrattuali gravose per la stessa società conseguendone l’effettiva conoscenza da parte dell’imputata quantomeno di segnali d’allarme che avrebbero potuto condurre alla decozione e ciò nonostante non attivandosi e accettando il rischio».

Tali dati, a cui la Corte d’appello ha ancorato il riconoscimento della qualità, a pieno titolo, dell’amministratrice formale e della sua conseguente responsabilità, si appalesano di per sé soli insufficienti per ritenere in capo all’imputata la consapevolezza dei disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto anche là dove si abbia riguardo a quanto evidenziato nella sentenza di primo grado (pag. 41) ove è dato leggere che «durante l’esame nel corso del giudizio abbreviato, [omissis] ha più volte affermato che la sorella [omissis] era completamente estranea all’amministrazione della società, perché per tutta la vita aveva svolto l’attività di camiciaia ed era rimasta sostanzialmente una mera operaia; quando era necessario recarsi in banca o firmare comunque dei documenti, era lo stesso [omissis]  ad accompagnarla.

Al di là della scarsa credibilità di [omissis], si deve ritenere che tali sue dichiarazioni, almeno con riferimento alla sorella, che egli ha coinvolto nelle torbide vicende gestionali della “omissis srl”, siano veritiere, non solo valutando la personalità di [omissis] e il suo modus operandi, […], ma anche considerando il tenore delle intercettazioni telefoniche sopraindicate dalle quali appare in tutta evidenza che l’attività di amministratore era riconducibile ad [omissis]».

Orbene, è ovvio che l’assunzione solo formale della carica costituisce un importante indizio della configurabilità del dolo richiesto per la sussistenza dei reati addebitati, ma occorre altresì che vengano individuate, rifuggendo da rigidi automatismi probatori, le specifiche ragioni per cui sia possibile ritenere, nei termini suindicati, che l’amministratrice formale ha consapevolmente concorso nella realizzazione dei reati ad essa addebitati.

La Corte d’appello, pur investita di uno specifico motivo di impugnazione, non ha fornito sul punto adeguata motivazione”].

Per approfondimenti sullo tema giuridico della colpevolezza dell’amministratore di diritto nei reati fallimentari si segnalano i seguenti arresti giurisprudenziali già annotati:

  1. https://studiolegaleramelli.it/2020/12/16/risponde-di-bancarotta-semplice-documentale-la-testa-di-legno-che-ometta-di-tenere-le-scritture-contabili-risultando-irrilevante-la-mancanza-di-competenze-tecnico-contabili/
  2. https://studiolegaleramelli.it/2024/05/08/bancarotta-per-effetto-di-operazioni-dolose-anche-se-lamministratore-paga-i-dipendenti-della-societa-2/
  3. https://studiolegaleramelli.it/2025/01/10/bancarotta-semplice-documentale-risponde-anche-solo-per-colpa-il-prestanome-che-non-osserva-il-dovere-di-regolare-tenuta-della-contabilita/
  4. https://studiolegaleramelli.it/2020/10/17/la-responsabilita-penale-del-prestanome-nella-bancarotta-fraudolenta-documentale-discende-dalla-violazione-dei-doveri-di-vigilanza-e-controllo-connessi-alla-accettazione-della-carica/

Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA