Reati tributari: la irregolarità formale della fattura per operazioni inesistenti utilizzata per abbattere l’imponibile non fa venire meno la frode fiscale.
E’ il principio di diritto enunciato dalla sezione terza penale della Corte di Cassazione con la sentenza numero 5699/2025 (udienza 13.11.2024 – data di deposito 12.02.2025), segnalata per l’annotazione all’Ufficio del Massimario, che ha affrontato l’inedita questione giuridica della configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti quando queste risultano irregolarmente formate (in specie mancanti nell’oggetto della specifica descrizione della prestazione).
- L’imputazione e l’esito dei processi di merito.
Nel caso di esaminato i giudici del doppio grado di merito, giudicando con il rito abbreviato, avevano, concordemente, condannato l’imputato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, quale titolare di una ditta individuale ed al fine di evadere le imposte, indicato elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni IVA e imposte dirette relative agli anni dal 2015, 2016 e 2017, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti.
- Il ricorso e la questione di diritto esaminata dalla Cassazione.
Per quanto di interesse per la presente nota si segnala che con un motivo di ricorso per cassazione la difesa aveva denunciato il travisamento della prova e vizi della motivazione, in particolar modo nella valutazione del processo verbale di constatazione, in riferimento alla riconosciuta genericità dell’oggetto delle fatture e alla ritenuta regolarità delle stesse rispetto all’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, con conseguente loro idoneità alla realizzazione dell’evento di evasione.
Di converso, secondo la difesa, si sarebbe trattato di documenti inidonei a sviare l’attività di accertamento, vista la loro irregolarità in relazione al citato art. 21, per la mancanza di certezza di quanto indicato nelle fatture stesse.
La presenza di una solo generica identificazione dell’oggetto della prestazione non renderebbe configurabile il reato di quell’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000.
- La decisione della Suprema corte.
La Corte di legittimità ha disatteso la superiore tesi difensiva per le ragioni indicate nel segmento di motivazione di seguito riprodotta:
“La tesi difensiva secondo cui la mancanza dei requisiti di cui all’art. 21, comma 2, del d.P.R. 633 del 1972 – nel senso che i documenti utilizzati al fine di esporre elementi passivi fittizi in dichiarazione non sarebbero fatture – impedisce la configurazione del reato dell’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 è manifestamente infondata.
L’irregolarità del documento, quanto alla generica indicazione dell’oggetto della prestazione, non fa venire meno la sua natura di fattura e, dunque, la sua utilizzazione in dichiarazione configura pienamente la fattispecie penale per la quale qui si procede
Nel caso di specie, i giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione, hanno pacificamente individuato la fittizietà delle operazioni, in quanto portate da fatture emesse da un’impresa priva di personale, di mezzi, di regolare contabilità, di dichiarazioni a fini di imposta, e in mancanza di prova del pagamento integrale, oltre che di una contabilità specifica da parte della ditta dell’imputato, a fronte di inverosimili e contraddittorie spiegazioni circa i rapporti commerciali asseritamente intercorsi.
Quanto alla prospettazione difensiva secondo cui le fatture sarebbero grossolanamente false e, come tali, non idonee a costituire il presupposto per la riduzione dei costi ivi indicati, la Corte d’appello evidenzia con chiarezza come tale grossolanità sia meramente asserita della difesa, a fronte di documenti pienamente riconducibili alla categoria dell’art. 21, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, posto che gli stessi riportavano espressamente la data, il numero progressivo, la denominazione e la partita Iva delle parti, l’oggetto, ancorché generico, della prestazione, i corrispettivi, l’aliquota applicabile.
Nessuna grossolanità è dunque riscontrabile nel caso di specie, in cui i documenti sono stati considerati quali fatture anche dallo stesso ricevente e usati come tali ai fini frodatori”.
Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA