Reati omissivi colposi del medico: la Cassazione fa il punto sulle regole applicative del giudizio controfattuale nei giudizi penali a carico del sanitario.
Nell’ambito della disamina della questione giuridica del nesso di causalità nei reati omissivi colposi di evento (lesioni colpose ed omicidio colposo), segnalo la sentenza numero 547/2025 (udienza 09.10.2024 – data di deposito 08.01.2025) per la completezza della trattazione del tema della prova che il giudice penale può ritenere raggiunta in termini controfattuali sul rapporto causale tra la contestata inerzia o errata diagnosi (come nella fattispecie in disamina) del medico e l’evento avverso procurato al paziente, onde poter affermare la penale responsabilità dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio.
- Il caso clinico, l’imputazione e l’esito dei giudizi di merito.
Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito, avevano, concordemente, sulla base di quanto sostenuto dai nominati periti dal Tribunale, affermato la penale responsabilità dell’imputato condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, per avere, colposamente, omesso di diagnosticare l’infarto miocardico acuto che aveva colpito il paziente, desumibile dai tracciati elettrocardiografici eseguiti in sede domiciliare e nell’ambulanza durante il trasferimento e poi presso il Pronto Soccorso, formulando l’erronea diagnosi di l’errata diagnosi di “poliartromialgie diffuse”
Conseguentemente, a causa del suddetto errore, secondo quanto emerso nel corso del dibattimento, erano stati ritardati il trasferimento dell’anziano presso il vicino ospedale, attrezzato con unità coronarica, e l’esecuzione dell’intervento di angioplastica, finalizzata al ripristino del flusso ematico coronarico.
Il ritardo aveva determinato l’ingravescenza della patologia, mediante la progressione dell’infarto e la causazione di una necrosi irreversibile, rendendo vano l’intervento di angioplastica che, sebbene correttamente effettuato ed idoneo a ripristinare parzialmente Il flusso ematico, non era riuscito a scongiurare la morte, sopraggiunta il giorno successivo al ricovero per shock cardiogeno.
In sintesi, quindi, l’originaria diagnosi errata, era stata fatale per il paziente e ne aveva compromesso la possibilità di sopravvivenza che sarebbe stata assicurata con alte percentuali qualora l’angioplastica fosse stata tempestivamente eseguita.
- Il ricorso per cassazione e la questione di diritto sopposta allo scrutinio di legittimità.
La difesa del giudicabile con il ricorso per cassazione aveva dedotto, tra i vari motivi di doglianza e per quanto rileva per la presente nota, la violazione dell’articolo 40 cod. pen. ed il correlato vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’accertamento del rapporto di causalità fra le condotte colpose ascritte all’imputato e l’evento.
A sostegno della sua tesi il ricorrente ha richiamato l’orientamento espresso dalla Corte di cassazione secondo cui in tema di nesso di causalità, il giudizio controfattuale, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, ove eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento, richiede il preliminare accertamento di ciò che è naturalisticamente accaduto (giudizio esplicativo), al fine di verificare, sulla base di tale ricostruzione, la rilevanza della condotta omessa e la sua idoneità ad evitare l’evento, ovvero la verificazione dello stesso in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello non si sarebbe attenuta a tale principio, avendo effettuato il giudizio controfattuale esclusivamente in relazione alla verifica se l’evento si sarebbe o meno verificato, e con quale probabilità, a quarantottore di distanza dall’intervento, senza tuttavia indagare se, valutando il dato della mortalità del paziente a 30 giorni dall’insorgenza della patologia, l’evento si sarebbe o meno verificato e con quale probabilità.
- La decisione della Suprema corte e le ragioni del rigetto del ricorso.
La Suprema corte, pur dichiarando l’estinzione del reato per l’intervenuta prescrizione, ha rigettato il ricorso agli effetti civili non ritenendo fondate le censure difensive incentrare a stigmatizzate il malgoverno da parte dei giudici del merito dei principi giuridici che informano il giudizio controfattuale in sede penale.
Di seguito si riportano ampi passaggi della motivazione della sentenza in commento.
3.1. Le regole del giudizio controfattuale nei reati omissivi colposi di evento.
“Un’adeguata trattazione della problematica in disamina non può prescindere dalla focalizzazione di alcuni profili di essenziale importanza, in tema di causalità, nel peculiare contesto della responsabilità del medico.
Le Sezioni Unite che, con la sentenza Sez. U, n. 30328 del 10-7-2002, Franzese, Rv. 222138-222139 hanno fissato, specificamente in una fattispecie concreta di causalità omissiva impropria, alcuni snodi logico-giuridici fondamentali per la verifica del nesso di causalità nei reati colposi, confermati dalla giurisprudenza successiva (tra le tante, riferite a ipotesi di responsabilità del sanitario, Sez. 3, n. 5460 del 4-12-2013, dep.2014, Grassini, Rv. 258847; Sez. 4, n. 9695 del 12-02-2014, S., Rv. 260159; Sez. 3, Sentenza n. 10209 del 07-10-2020, dep.2021, Ceriani, Rv. 281710, nonché – in diverso ambito fattuale – Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24-04-2014, Espenhahn, Rv. 261103).
Le Sezioni Unite hanno stabilito che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
Allo stesso modo, l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del nesso causale tra condotta ed evento – e cioè il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo – comportano l’esito assolutorio del giudizio.
Va quindi rilevato che causalità omissiva e causalità commissiva nei reati colposi rispondono a regole identiche ai fini della verifica della sussistenza del nesso di causalità, poiché i comportamenti che le realizzano sono strettamente connessi, dato che, nella condotta omissiva, nel violare le regole cautelari, il soggetto non sempre è assolutamente inerte, ma, frequentemente, pone in essere un comportamento diverso da quello dovuto, cioè di quello che sarebbe stato doveroso secondo le regole della comune prudenza, perizia, attenzione.
La distinzione attiene, quindi, soltanto alla necessità, in caso di comportamento omissivo, di fare ricorso, per verificare la sussistenza del nesso di causalità, ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico (dandosi per verificato il comportamento invece omesso), anziché fondato sui dati della realtà, come nella causalità commissiva; infatti, nel caso di comportamento omissivo, è solo con riferimento alle regole cautelari inosservate che può formularsi un concreto rimprovero nei confronti del soggetto e verificarsi, con giudizio controfattuale ipotetico, la sussistenza del nesso di causalità (Sez. 4, n. 3380 del 15-11-2005, dep.2006, Fedele, Rv. 233237).
Ne consegue che, seguendo l’impostazione della citata sentenza delle Sezioni Unite, al fine di stabilire la sussistenza del nesso di causalità, occorre un duplice controllo, ovvero: la verifica sul nesso causale tra la condotta e l’evento sulla base di una legge statistica o universale di copertura sufficientemente valida e astrattamente applicabile al caso concreto; la successiva verifica, attraverso un giudizio di alta probabilità logica, dell’attendibilità, in concreto, della spiegazione causale così ipotizzata.
Occorre cioè verificare – sulla base delle evidenze processuali – che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione doverosa omessa (nel reato colposo omissivo improprio) o al contrario non compiuta la condotta commissiva assunta a causa dell’evento (nel reato commissivo colposo), ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non si sarebbe verificato (oppure sarebbe avvenuto successivamente, o avrebbe comunque avuto minore intensità lesiva).
D’altra parte, l’interpretazione di tale criterio passa attraverso la delimitazione del concetto di ‘probabilità logica’, il quale – a propria volta – muove dalla divisione, nell’ambito delle leggi scientifiche, tra leggi di carattere universale e leggi di carattere statistico; le prime che asseriscono, nella successione di determinati eventi, invariabilità regolari mentre le seconde si limitano ad affermare che il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi e con una frequenza relativa (si vedano sul punto le considerazioni spiegate in parte motiva, pure qui integralmente condivise, da Sez. 4, n. 9705 del 15-12-2021, dep. 2022, Pazzoni, Rv. 282855).
A proposito di tale distinzione, questa Corte ha affermato che il ricorso alle leggi statistiche da parte del giudice è più che legittimo perché il modello della sussunzione sotto leggi sottende, il più delle volte, necessariamente il distacco da una spiegazione causale deduttiva che implicherebbe una impossibile conoscenza di tutti i fatti e di tutte le leggi pertinenti; affermando quindi le Sezioni unite che, ove si ripudiasse la natura eminentemente induttiva dell’accertamento giudiziale e si pretendesse comunque una spiegazione causale di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, secondo criteri di utopistica certezza assoluta, si finirebbe col frustrare gli scopi preventivo-repressivi del diritto e del processo penale in settori nevralgici per la tutela di beni primari, stabilendo conseguentemente che la spiegazione causale dell’evento può essere tratta da leggi scientifiche, universali o statistiche, enuclea bili anche da rilevazioni epidemiologiche (Sez. U, 10 luglio 2002, Franzese, cit.).
Per colmare le carenze derivanti da parametri che, di per sé stessi, non assicurano la certezza del nesso causale, le Sezioni Unite hanno quindi elaborato il concetto di probabilità logica, a propria volta da distinguere da quello di probabilità statistica; difatti, mentre quest’ultima attiene alla misura della frequenza nella successione degli eventi, la probabilità logica contiene la verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilità dell’impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilità dell’accertamento giudiziale.
Il concetto di probabilità logica impone di tener conto di tutte le caratteristiche del caso concreto, integrando il criterio della frequenza statistica con tutti gli elementi idonei a modificarla, di talchè, è possibile pervenire ad una valutazione, in un senso o nell’altro, connotata da un elevato grado di credibilità razionale, non più espresso in termini meramente percentualistici.
Le caratteristiche del caso concreto da prendere in considerazione potranno inerire all’età, al sesso del paziente, allo stadio cui era pervenuta la patologia, alla tempestività dell’accertamento della malattia, alle condizioni di salute generale del soggetto, alla presenza di altre patologie, alla necessaria assunzione, da parte del paziente, di altri farmaci che interferiscono con la terapia praticata e, in generale, a tutte le circostanze che possono aumentare o diminuire le speranze di sopravvivenza.
Sul punto le Sezioni unite, nella sentenza Franzese, hanno affermato che anche coefficienti medio-bassi di probabilità c.d. frequentista per tipi di evento, rivelati dalla legge statistica o da generalizzazioni empiriche del senso comune o da rilevazioni epidemiologiche, pur imponendo verifiche particolarmente attente sia in merito alla loro fondatezza che alla specifica applicabilità alla fattispecie concreta, possono essere utilizzati per l’accertamento del nesso di condizionamento, ove siano corroborati dal positivo riscontro probatorio circa la sicura non incidenza, nel caso di specie, di altri fattori interagenti in via alternativa.
Il procedimento logico, non dissimile, secondo le Sezioni unite, dalla sequenza del ragionamento inferenziale dettata, in tema di prova indiziaria, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., deve pertanto condurre alla conclusione, caratterizzata da “un alto grado di credibilità razionale“, quindi alla “certezza processuale”; che, esclusa l’interferenza di decorsi alternativi, la condotta omissiva dell’imputato, alla luce della cornice nomologica e dei dati ontologici, sia stata condizione “necessaria” dell’evento, attribuibile perciò all’agente come fatto proprio.
L’ulteriore passo sarà costituito, nell’ottica del giudizio di probabilità logica, dalla ricerca ed, eventualmente, dall’esclusione di decorsi causali alternativi.
Dunque, l’attività investigativa del pubblico ministero prima, e quella istruttoria del giudice poi, non devono essere dirette soltanto ad ottenere la conferma dell’ipotesi formulata ma devono riguardare anche l’esistenza di fattori causali alternativi, che possano costituire elementi di smentita dell’ipotesi prospettata.
L’impossibilità di escludere, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’esistenza di fattori causali alternativi non consente di ritenere processualmente certo il rapporto di causalità e dunque di attribuire, sotto il profilo oggettivo, l’evento all’imputato. In giurisprudenza, si è, in proposito, precisato però che il giudice deve adeguatamente motivare la conclusione sulla possibile esistenza di fattori alternativi di spiegazione dell’evento e che lo stesso non può contrapporre ai dati di fatto accertati mere congetture per ipotizzare tali spiegazioni alternative (Sez. 4, Sentenza n. 20560 del 02-03-2005, Herreros, Rv. 231356); mentre le Sezioni Unite hanno ribadito che il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sulla base dell’analisi delle connotazioni del fatto storico e delle peculiarità del caso concreto. (Sez. U, n. 38343 del 24-04-2014, Rv. 261103″ sopra citata).
In tale contesto, il principio dell’oltre il ragionevole dubbio segna il limite del ragionamento probatorio, non il requisito di validità della legge scientifica di copertura; difatti il principio stesso rappresenta nient’altro che, a contrariis la verifica del grado di probabilità logica attribuibile al ragionamento sulla base delle prove raccolte, nonché del collegamento tra il fatto concreto e l’ipotizzata spiegazione causale.
Ed invero, intanto tale ragionamento può ritenersi dotato di elevato grado di probabilità logica e idoneo, pertanto, a supportare il convincimento della sussistenza del nesso causale con “elevato grado di credibilità razionale”, in quanto non permanga un “dubbio ragionevole” (ossia, non meramente congetturale) che l’evento possa essere stato determinato da una causa diversa.
Non è possibile, dunque, invocare il principio dell’oltre il ragionevole dubbio per determinare la validità della legge di copertura, poiché in tal modo si confonde il piano processuale con quello sostanziale e si attribuisce valenza probatoria fattuale ad una regola di giudizio che rappresenta, appunto, un canone logico di ragionamento e non un’evidenza concreta (in tal senso si esprime la richiamata sentenza n. 9695 del 2014).
In altre parole, il giudice ha il dovere di verificare il nesso di causalità secondo le regole della sussunzione della causalità entro leggi scientifiche universali sufficientemente valide e in tale operazione deve lasciarsi guidare dal criterio di alta probabilità logica della spiegazione causale ipotizzata, ma non può usare, per validare la propria verifica, il canone logico del ragionevole dubbio, che, invece, si manifesta all’esito di tale verifica, come piano di sintesi logico-giuridica degli accertamenti di fatto già svolti, alla luce dell’art. 533 cod. proc. pen.
Consegue quindi, dalle predette considerazioni, la conclusione in base alla quale in tema di responsabilità del sanitario per omissione, l’accertamento del nesso causale, ed in particolare il giudizio controfattuale necessario per stabilire l’effetto salvifico delle cure omesse, deve essere effettuato secondo un giudizio di alta probabilità logica, tenendo conto non solo di affidabili informazioni scientifiche ma anche delle contingenze significative del caso concreto, ed in particolare, della condizione specifica del paziente (Sez. 4, n. 10175 del 04-03-2020, Bracchitta, Rv. 278673; Sez. 4, n. 33230 del 18-11-2020, Campo, Rv. 280074; Sez. 4, n. 28182 del 06-07-2021, R., Rv. 281737), conseguendone che l’esistenza del nesso causale può essere ritenuta quando l’ipotesi circa il sicuro effetto salvifico dei trattamenti terapeutici non compiuti sia caratterizzata da elevata probabilità logica, ovvero sia fortemente corroborata alla luce delle informazioni scientifiche e fattuali disponibili (Sez. 4, n. 32121 del 16-06-2010, Chiodo, Rv. 248210).
3.2. L’applicazione dei superiori principi di diritto al caso in disamina e le ragioni del rigetto del ricorso agli effetti civili.
Nella cornice del quadro concettuale così delineato, deve ritenersi che i giudici di merito si siano adeguatamente confrontati con i predetti principi; mentre, d’altro canto, le considerazioni poste alla base del motivo di ricorso appaiono fondate sulla configurazione meramente ipotetica – e non sostenuta da adeguati elementi logici – in ordine alla presenza di un decorso causale alternativo rispetto a quello configurato nella pronuncia impugnata.
In particolare, deve ritenersi che, nel caso di specie, le sentenze di merito – con motivazione immune dal denunciato vizio di illogicità – abbiano dato compiutamente conto del nesso di causalità sussistente tra la condotta omissiva addebitata all’imputato e l’evento letale, con un complessivo percorso argomentativo pienamente aderente ai suddetti postulati.
E tutto ciò, con specifico riferimento ai principi applicabili in caso di responsabilità derivante da un’omissione diagnostica, in relazione alla quale il giudizio controfattuale, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, ove eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento, richiede il preliminare accertamento di ciò che è naturalisticamente accaduto (cd. giudizio esplicativo), mentre il giudizio controfattuale (c.d. giudizio implicativo) implica la necessaria valutazione sul potenziale carattere salvifico della condotta doverosa omessa, sulla base di un giudizio ipotetico fondato alla luce del paradigma indiziario disponibile imperniato sulla verifica, anche empirica, ma scientificamente condotta, di tutti gli elementi di giudizio disponibili, criticamente esaminati (Sez. 4, n. 29889 del 05-04-2013, De Florentis, Rv. 257073; Sez. 4, Sentenza n. 16843 del 24-02-2021, Suarez Cardenas, Rv. 281074; Sez. 4, n. 416 del 12-11-2021, dep. 2022, Castriotta, Rv. 282559).
Nel caso di specie, in ordine all’accertamento di ciò che è accaduto (c.d. giudizio esplicativo), va rilevato come i giudici di merito abbiano ricostruito, con precisione, la sequenza fattuale che ha condotto all’evento.
Infatti, hanno univocamente ricondotto – con argomentazioni immuni da vizi logici – il decesso del paziente alla progressione dell’infarto acuto del miocardio seguito da choc cardiogeno, sia sulla scorta di quanto riferito dai consulenti e periti e sia sulla base della diagnosi formulata presso il nosocomio dove fu effettuato l’intervento di angioplastica; e del resto, il dato non è oggetto di specifica contestazione.
Anche il giudizio controfattuale, soprattutto nella sentenza di primo grado, la quale, in virtù della conformità degli esiti dei due gradi di giudizio, concorre a integrare il quadro motivazionale con cui devono essere confrontati i motivi di ricorso, è formulato in termini logici, e non scalfito dalle censure.
Il primo giudice, attraverso il richiamo della perizia collegiale, ha evidenziato che, oltre al parametro della mortalità a distanza di 30 giorni dal trattamento di angioplastica, è stata considerata anche la mortalità “in hospital”, ovvero la mortalità a 48 ore dall’intervento medico.
Incidentalmente, si rammenta che, per consolidata giurisprudenza, in tema di controllo sulla motivazione, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del consulente; conseguentemente, può ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen., solo qualora risulti che queste ultime siano tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali recepite dal giudice (Sez. 5, n. 18975 del 13-02-2017, Cadore, Rv. 269909; Sez. 3, n. 17368 del 31-01-2019. Giampaolo, Rv. 275945).
Lo stesso giudice, nel richiamare la perizia, ha sottolineato che i dati di letteratura disponibili consentono di affermare che, in caso di tempestivo intervento di angioplastica primaria, la percentuale di mortalità “in hospital” di soggetti anziani di età superiore a 75 anni si attesti al 9-13%.
Dopo aver spiegato che dette percentuali di mortalità intraospedaliera tengono conto anche dei casi in cui l’intervento di angioplastica primaria non risulti efficace nel ripristinare il circolo e-o il medesimo sia gravato da complicanze in corso di intervento”, è stato evidenziato che, con particolare aderenza al caso concreto, i periti avevano escluso le complicanze o cause di morte che avrebbero potuto condizionare il dato statistico; infatti, l’intervento di angioplastica ebbe successo perché riuscì a ripristinare, seppure parzialmente ma in modo soddisfacente, il flusso e non si verificarono complicanze intraoperatorie.
Non si sono pertanto verificati nel caso di specie alcuni eventi avversi che sono responsabili di una quota parte della mortalità intra-ospedaliera: non avvenne infatti né il fallimento della riperfusione (che, secondo i periti, interessa il 2,4% dei pazienti di età superiore a 75 anni), né alcuna complicanza iatrogena intra procedurale (che possono condurre a decesso circa l’1% dei pazienti della medesima platea).
Pertanto, è stato logicamente ritenuto, che, con alta probabilità logica, la tempestiva diagnosi di infarto miocardico acuto nella sera dell’1.6.2016, facilmente ricavabile dai tracciati effettuati, avrebbe consentito di anticipare significativamente l’intervento di angioplastica, così da evitare il decesso con probabilità elevatissima (90-95%) entro le 48 ore, e con probabilità comunque elevata (70-80%) a 30 giorni dall’intervento. A
Alla luce di tale ricostruzione, appaiono infondate la censure secondo cui sarebbe stata considerata solo la probabilità di morte entro le 48 ore dall’intervento e non anche nel più ampio arco temporale di un mese e che non siano state indicate specifiche leggi di copertura; e ancora, che non sarebbe stata adeguatamente valutata l’incidenza – causale delle condizioni della vittima (di età avanzata e affetto da comorbilità), in quanto esse sarebbero comunque prive di efficacia interruttiva della sequenza causale innescata dall’errore nella diagnosi.
I giudici di merito hanno escluso l’esistenza di decorsi casuali autonomi che avrebbero interrotto il nesso fra l’errore dovute a macroscopica negligenza e l’evento letale.
Infatti, hanno evidenziato che l’intervento di angioplastica eseguito era stato effettuato in maniera corretta e che solo il ritardo provocato dall’errore del sanitario, il quale non aveva saputo leggere i dati emersi dai tre tracciati elettrocardiografici, aveva impedito che lo stesso intervento esplicasse efficacia salvifica, con criterio di elevata probabilità prossimo alla certezza, nei termini sopra illustrati.
Orbene, secondo la giurisprudenza di legittimità, nei reati omissivi impropri, l’effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare (Sez. 4 n. 22691 del 25-02-2020, Romagnolo, Rv. 279513; Sez. A n. 20270 del 06-03-2019, Palmieri, Rv276238). I Giudici hanno fatto corretta applicazione di tale principio e hanno rilevato che, nel caso in esame, non erano emersi decorsi causali sopravvenuti, o comunque fattori alternativi, idonei ad interrompere il nesso eziologico innescato dalla omessa diagnosi.
Deve quindi ritenersi che la motivazione oggetto di censura, sia immune dal denunciato vizio di illogicità, avendo compiutamente evidenziato – sulla base del sapere scientifico acquisito nel corso del procedimento – sia il tenore della condotta doverosa omessa e sia, in applicazione dei principi in tema di giudizio controfattuale, la sua concreta incidenza sull’evento ascritto, come verificatosi hic et nunc, con una valutazione pienamente calata nelle specifiche contingenze del caso concreto.
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Per approfondimenti sul tema giuridico della prova sul nesso causale e relativo giudizio controfattuale nei reati omissivi impropri si segnalano le seguenti note a sentenza:
(i) https://studiolegaleramelli.it/2020/04/07/la-condotta-omissiva-ed-il-giudizio-controfattuale/
Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA