Annullata la condanna di bancarotta impropria da operazioni dolose se non è provata l’incidenza causale dell’operato del nuovo amministratore sul dissesto della società.

Con la sentenza numero 7261/2025 – depositata il 21/02/2025, la sezione quinta penale della Corte di cassazione si è nuovamente pronunciata sulla responsabilità penale dell’amministrazione della società, rinviato a giudizio per il reato di bancarotta fraudolenta per effetto di operazioni dolose, affrontando, in particolare, la specifica questione della prova sul nesso causale tra la contestata condotta inadempiente dell’organo gestorio e lo stato di decozione dell’impresa poi dichiarata fallita.

 

L’imputazione e l’esito dei giudizi di merito.

Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito avevano condannato l’imputato per il reato previsto e punito dall’art. 223, comma 2, n. 2) legge fall. contestato in riferimento al reiterato inadempimento tributario protrattosi per un lungo periodo (circa dieci anni) causa del dissesto che aveva condotto alla sentenza dichiarativa di fallimento.

 

Il ricorso per cassazione dell’imputato.

La difesa dell’imputato interponeva ricorso per cassazione contro la sentenza di appello denunciando vizio di legge e di motivazione in ordine all’accertamento dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato in parola.

In particolare al fine di escludere il contributo causale dell’imputato rispetto al dissesto societario e la ricorrenza della componente psicologica del reato veniva evidenziato che:

– l’imputato non  avesse  alcuna  funzione  amministrativa  nella  società nell’anno 2009, quando la fallita aveva ceduto, a titolo oneroso,  un ramo di azienda alla società [omissis s.r.l. ] di cui mai è stata messa in discussione la economicità dell’operazione;

– difettava la prova sull’efficacia causale della condotta del ricorrente rispetto al fatto addebitato di bancarotta, dal momento che, nel giudizio di merito, risultava accertato che l’imputato aveva cercato di ripianare i debiti sociali facendo ricorso, nell’anno 2010, a beni e risorse personali per circa 600.000 euro.

– l’intera debitoria tributaria e previdenziale – peraltro fisiologica almeno fino al 2011, ( 4%-16%) – fosse stata esposta in bilancio in coerenza con le risultanze degli estratti di ruolo, che nessun avviso di accertamento fosse stato notificato alla società e che non si trattasse di ammesso pagamento sistematico e pluriennale.

La decisione della Suprema Corte.

La Corte di legittimità ha ritenuto fondate le doglianze difensive per le ragioni che seguono:

  1. La carenza di motivazione sul contributo causale dell’operato dell’imputato rispetto al dissesto della società.

“……La sentenza impugnata non ha chiarito l’entità dello specifico contributo causale offerto dal all’aggravamento  del dissesto.

In merito al tema  della  prova  necessaria  per potere affermare la penale responsabilità dell’imputato, valutando l’effettivo ruolo causale svolto in ordine al dissesto della società che ne ha determinato il fallimento, va considerato che, nella bancarotta societaria per effetto delle operazioni dolose, la affermazione di responsabilità dell’amministratore presuppone la prova dell’incidenza causale del suo ruolo gestorio rispetto al debito preesistente ( cfr. sez.  5 n. 47376/2022 – depositata il 15/12/2022, n.m., in una fattispecie in cui la Corte di cassazione ha ritenuto che i giudici del doppio grado di merito che avevano, concordemente, ritenuto l’imputato responsabile del reato a lui ascritto, non avessero correttamente apprezzato la circostanza che il ricorrente per cassazione aveva assunto la qualità di amministratore subentrando quando la società era inattiva e decotta, per avere già accumulato un rilevante debito verso l’Erario al quale non poteva fare fronte.)

Nel caso  in esame, le sentenze  di merito non chiariscono quale sia il debito maturato nel periodo di amministrazione  del [omissis]a fronte di quello complessivo preesistente perché già maturato prima del suo insediamento quale A.U.,  tanto più che la società aveva cessato l’attività già  prima della  nomina  di   cosicché avrebbe dovuto essere spiegato se, nonostante l’inattività, permanessero, e in quali termini, ulteriori doveri previdenziali  e tributari  in capo alla società.

Questo perché, se pure anche il solo aggravamento del dissesto  rileva  penalmente, occorre però verificarne l’esistenza e la portata quanto al profilo causale, oltre che  l’incidenza rispetto al complessivo dissesto, dovendosi indagare in concreto la  sussistenza  del  nesso eziologico, anche per dare risposta – non intervenuta con la sentenza impugnata  – alla censura in ordine  alla  assenza  di  incidenza, sull’entità  del debito tributario,  delle condotte  del           [omissis] e quindi all’efficacia causale della sua condotta rispetto alla bancarotta della società, dal momento che,  nel  giudizio  di  merito,  risulta  accertato  che  il [omisssis]        aveva cercato di ripianare i debiti sociali  facendo  ricorso, nell’anno 2010, a  beni e risorse personali  per circa  600.000  euro”.

  1. Il vizio di motivazione sulla ricorrenza dolo generico in luogo della colpa quale criterio distintivo tra la bancarotta per operazioni dolose e la bancarotta semplice.

“……Nell’ambito di tali coordinate ermeneutiche la sentenza impugnata avrebbe dovuto confrontarsi con la circostanza, pacificamente emersa, che il  ricorrente ha tenuto un atteggiamento apparentemente salvifico, giacché, si è immesso nella società unipersonale saio nel 2010 ( a fronte di una esposizione debitoria risalente già a diversi anni prima), rimanendo in carica fino al 2013, prima del fallimento, ha immediatamente immesso 600.000 euro in contanti, ha poi ottenuto la rateizzazione del debito tributario e ha anche cercato di evitare il fallimento liquidando il creditore che lo aveva chiesto.

Il mancato scrutinio dell’elemento soggettivo ha comportato che la sentenza impugnata non si è neppure confrontata, pur sollecitata dall’appellante, con la eventualità che, in assenza di ricavi, la condotta contestata potesse al più assumere rilievo per avere ritardato il fallimento, a fronte di una ingente perdita e in assenza di entrate.

Nel rinnovato scrutinio, i Giudici territoriali dovranno, dunque, risolvere le segnalate aporie motivazionali, chiarendo in particolare la natura del contributo causale offerto dall’imputato al dissesto della società, indicando gli elementi di fatto che si reputano rappresentativi del dolo e spiegare perché non si sia ritenuto di riqualificare la condotta in quella prevista dall’art. 217 legge fall., potendo configurarsi il delitto di bancarotta semplice per  grave imprudenza, per operazioni manifestamente imprudenti, ovvero per aver aggravato il dissesto non avendo richiesto la dichiarazione di fallimento”.

Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA