E’ illegittima la confisca per equivalente del patrimonio del legale rappresentante della società se nella fase esecutiva viene provato l’avvenuto pagamento del debito tributario da parte dell’Ente.
E’ il principio di diritto fissato con la sentenza numero 6588/2025 (udienza 26.11.2024 – data di deposito 18.02.2025), resa dalla Corte di cassazione – sezione terza penale, che ha affrontato l’interessante questione giuridica della rilevanza che assume l’avvenuto pagamento del debito tributario successivamente al passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna che ha disposto la confisca diretta (sul patrimonio della società) e per equivalente (sul patrimonio personale del legale rappresentante del medesimo Ente) del profitto del reato tributario.
La condanna definitiva, l’esecuzione della confisca ed il giudizio di opposizione.
Nel caso in disamina la Corte di appello aveva rigettato l’opposizione interposta dal condannato (ex artt. 676 e 667, comma 4, cod. proc. pen.) contro l’ordinanza resa dalla medesima Autorità giudiziaria, in funzione di giudice dell’esecuzione, di rigetto della richiesta di revoca della confisca della somma di Euro 922.006,28, disposta con sentenza di condanna definitiva per il reato di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000.
La confisca era stata emessa per equivalente sui beni personali del legale rappresentante della società che si era avvantaggiata del mancato pagamento dell’Iva, in quanto, nel giudizio di merito, il patrimonio dell’ente risultava incapiente rispetto alla pretesa dell’Erario.
La Corte di appello investita dell’incidente di esecuzione aveva rigettato la richiesta di revoca della confisca sul presupposto che la predetta misura ablatoria era ormai divenuta efficace per effetto dell’irrevocabilità della sentenza che avrebbe reso irrilevante il successivo pagamento.
Sempre secondo la CDA nel caso in disamina non ricorreva una ipotesi di duplicazione sanzionatoria eccepita dalla difesa, perché l’art. 12-bis, comma 2, del d.lgs.74 del 2000, è una disposizione di favore che troverebbe applicazione solo prima del passaggio in giudicato della sentenza.
Il ricorso per cassazione.
La difesa del ricorrente a mezzo di ricorso per cassazione impugnava la sentenza di rigetto dell’opposizione deducendo, tra i vari motivi di doglianza, il vizio di legge per erronea applicazione degli artt. 240 cod. pen. e 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, sull’assunto che la Corte d’Appello, quale giudice dell’esecuzione, non aveva attribuito rilievo all’integrale pagamento del debito fiscale intervenuto prima che la confisca delle somme depositate sui conti del ricorrente fosse eseguita.
Ha opinato quindi la difesa che tale circostanza della quale era stata fornita prova documentale nella fase esecutiva rendeva illegittima la confisca della liquidità del legale rappresentante della società, ancorché condannato con sentenza definitiva, trattandosi di inammissibile, ingiustificato, arricchimento dell’Amministrazione finanziaria.
La decisione della Suprema Corte ed il principio di diritto.
La Suprema Corte, applicando al caso di specie principi già elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto fondata la superiore doglianza, annullando con rinvio la sentenza impugnata per le ragioni che seguono:
[…Il provvedimento impugnato muove dall’assunto che il pagamento del debito tributario da parte della società, nel cui interesse il reato è stato commesso, successivo al passaggio in giudicato della sentenza che dispone la confisca per equivalente del profitto del reato in capo al legale rappresentante della società stessa, sia irrilevante ai fini dell’eseguibilità o dell’ammontare della confisca stessa. Si afferma, in particolare, che non vi è alcuna duplicazione sanzionatoria, in conseguenza di quanto stabilito dall’art. 12-bis, comma 2, del D.Lgs. 74 del 2000, disposizione di favore che troverebbe applicazione solo prima del passaggio in giudicato della sentenza.
Tali affermazioni si pongono in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, la quale evidenzia come, nei reati tributari, il profitto suscettibile di confisca, corrispondente alla somma non versata, deve essere calcolato avuto riguardo al momento in cui tale somma avrebbe dovuto essere versata, potendo determinare la corresponsione postuma della somma non versata una mera riduzione del quantum oggetto di confisca e la sterilizzazione dell’operatività della stessa, ove il contribuente si impegni a versare il dovuto entro i termini ammessi dalla legislazione tributaria di settore (ex multis, Sez. 3, n. 23962 del 10/02/2023, Rv. 284687).
In generale, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Rv. 263409; Sez. 3, n. 6635 del 08/01/2014, Rv. 258903).
La confisca per equivalente, dunque, non può riguardare somme superiori all’effettivo profitto conseguito, quantificato decurtando dal valore del patrimonio sottratto le somme recuperate dal fisco a seguito di versamenti effettuati (Sez. 3, n. 4097 del 19/01/2016, Rv. 265843).
E non osta a tale conclusione la natura sanzionatoria della confisca per equivalente disposta nei confronti del legale rappresentante di una società che non si sia avvantaggiato personalmente del profitto del reato. Se, infatti, è indubbio che la confisca possa essere disposta anche nei confronti di un soggetto che non ha conseguito alcun profitto e che, perciò, possa portare a un depauperamento netto del patrimonio di tale soggetto, nondimeno la stessa è pacificamente subordinata all’impossibilità di operare una confisca diretta nei confronti della società (explurimis, Sez. 5, n. 6391 del 04/02/2021, Rv. 280535; Sez. 3, n. 29862 del 01/12/2017, dep. 03/07/2018, Rv. 273689; Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258648).
Tale subordinazione risponde all’esigenza di contemperare la finalità sanzionatoria legittimamente perseguita dall’ordinamento con la natura necessariamente ripristinatoria della confisca; con la conseguenza che, una volta operato il ripristino, la confisca viene meno nella misura corrispondente e può venire meno in tutto e per tutto, qualora il ripristino sia stato totale.
In altri termini, il depauperamento economico del soggetto destinatario della confisca è consentito solo nella stretta misura in cui risponda ad un’esigenza recuperatoria.
Si tratta di un principio generale che trova applicazione anche nella fase esecutiva e che va oltre il disposto dell’art. 12bis , comma 2, del D.Lgs. n. 74 del 2000, il quale ha una portata limitata alla disciplina dell’impegno del contribuente a versare all’erario le somme e alle conseguenze del mancato versamento.”].
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA