Il sequestro del patrimonio personale del commercialista indagato con altri per il reato di indebita compensazione non può essere disposto per l’intero valore dell’imposta sottratta all’Erario.
E’ il principio di diritto stabilito dalla sezione terza penale della Corte di cassazione con la sentenza numero 9973/2025 (udienza 19.11.2024 – data di deposito 12.03.2025) che si è pronunciata sulla questione giuridica dell’entità del sequestro preventivo che legittimamente può attingere il patrimonio del consulente fiscale concorrente con altri nel delitto tributario di indebita compensazione.
L’ipotesi di reato ed il giudizio cautelare.
Secondo l’ipotesi accusatoria il ricorrente, unitamente ad altri professionisti, tramite alcune società di servizi riconducibili ai correi, aveva fornito ad un numero indeterminato di imprese loro clienti documentazione non rispondente al vero per accedere al credito di imposta formazione 4.0 previsto dalla legge n.205 del 2017.
I documenti ideologicamente falsi attestavano l’avvenuta formazione del personale così che il relativo credito di imposta veniva utilizzato in compensazione dalle imprese che si avvalevano di tale documentazione per risparmiane sul gettito fiscale.
Dalla lettura della sentenza risulta, altresì, che i professionisti operavano dietro corrispettivo del 15% del credito utilizzato in compensazione, che veniva suddiviso tra loro.
Su richiesta del PM il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto per l’intero ed a carico di ciascun professionista il sequestro preventivo del profitto del delitto di cui all’art.10 quater cod. pen., di importo pari alle imposte illecitamente sottratte all’Amministrazione finanziaria dello Stato per effetto del credito compensato dalle varie imprese, in realtà inesistente.
Il Tribunale cautelare rigettava l’appello proposto contro il decreto del GIP confermando la misura cautelare reale anche per quanto concerne l’entità del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, applicando il principio solidaristico passivo secondo il quale ciascun concorrente del reato subisce il sequestro per equivalente per l’intero ammontare
Il ricorso per cassazione.
Per quanto di interesse per la presente nota si segnala che con un motivo di ricorso per cassazione la difesa aveva eccepito l’illegittimità del sequestro perché disposto ed eseguito nei confronti del ricorrente per una somma di gran lunga superiore a quella ascrivibile pro-quota a ciascuno dei tre concorrenti.
La decisione della Cassazione ed il principio di diritto.
La Corte di legittimità ha ritenuto fondata la superiore doglianza per le ragioni indicate nel segmento di motivazione di seguito riprodotta:
[“Ha maggior pregio la questione (di diritto) relativa all’entità del profitto confiscabile nei confronti dei singoli concorrenti nel reato (necessariamente o eventualmente) plurisoggettivo e che è stata oggetto di contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo un primo indirizzo, in caso di illecito plurisoggettivo, la confisca per equivalente ex art. 322-ter cod. pen. può essere disposta per l’intera entità del profitto del reato nei confronti di ciascuno dei concorrenti, in applicazione del principio solidaristico, solo qualora non sia possibile definire la misura della effettiva partecipazione di ciascuno alla formazione e acquisizione del profitto del reato, mentre, ove tale misura sia ricostruibile, l’ablazione, nel rispetto del canone di proporzionalità, non potrà eccedere quanto conseguito da ciascuno (Sez. 3, n. 24350 del 21/02/2024, Ricco, Rv. 286548 – 01; Sez. 6, n. 10612 del 05/12/2023, Bianco, Rv. 286168 – 01; Sez. 6, n. 33757 del 10/06/2022, Primitivo, Rv. 283828- 01; Sez. 6, n. 6607 del 21/10/2020, Venuti, Rv. 281046 – 01; Sez. 1, n. 4902del 16/11/2016, dep. 2017, Giallongo, Rv. 269387 – 01).
Un secondo orientamento sostiene, al contrario, che il vincolo può essere disposto nei confronti di uno dei concorrenti nel reato, per l’intero importo del prezzo o profitto dello stesso, nonostante le somme di illecita provenienza siano state incamerate, in tutto o in parte, da altri concorrenti, salvo l’eventuale riparto tra i medesimi, che costituisce fatto interno a costoro, privo di rilievo penale, stante il principio solidaristico che uniforma la disciplina del concorso di persone e che, di conseguenza, implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa a ciascun agente, nonché la natura della confisca per equivalente, a cui va riconosciuto carattere eminentemente sanzionatorio (Sez. 2, n. 22703 del 17/03/2023, Fiordigigli, Rv. 284740 – 01; Sez. 2, n. 9102 del 24/11/2020, dep. 2021, Mottola,Rv. 280886 – 01; Sez. 5, n. 36069 del 20/10/2020, Carbone, Rv. 280322 – 01, secondo cui l’esecuzione della misura per l’intera entità del profitto accertato nei confronti del concorrente che materialmente ha ricavato una minore utilità dal reato o non ne abbia ricavato alcuna non si pone in contrasto con il principio di proporzionalità di cui all’art. 1, prot. 1, CEDU, posto a presidio del diritto di proprietà, dovendo questo essere parametrato alla produzione del profitto illecito e non alla sua effettiva disponibilità, sicché, nel caso di impossibilità di un suo recupero, tutti coloro che abbiano concorso a realizzarlo risponderanno con i propri beni; Sez. 5, n. 19091 del 26/02/2020, Buonpensiere, Rv. 279494 – 01).
Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite penali che all’udienza del 26 settembre 2024 hanno formulato il seguente principio di diritto: «In caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito. Il relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti.
Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali. I medesimi principi operano in caso di sequestro finalizzato alla confisca per il quale l’obbligo motivazionale del giudice va modulato in relazione allo sviluppo della fase procedimentale e agli elementi acquisiti».
La motivazione non è stata ancora depositata, ciò nondimeno è chiaro, anche dalla lettura della notizia di decisione, che il criterio decisionale adottato dal Tribunale è stato successivamente disatteso dalla Corte di cassazione nel suo massimo consesso, a favore dell’indirizzo ermeneutico propugnato dal ricorrente”].
Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA