Il rateizzo del debito tributario ed il pagamento di alcuni ratei non salvano l’imprenditore dalla bancarotta impropria da operazioni dolose.
Con la sentenza numero 11740/2025 – depositata il 25/03/2025, la sezione quinta penale della Corte di cassazione si è nuovamente pronunciata sulla responsabilità penale dell’amministrazione della società, rinviato a giudizio per il reato di bancarotta fraudolenta per effetto di operazioni dolose, affrontando, in particolare, la specifica questione del dolo richiesto dalla norma incriminatrice.
- L’imputazione e l’esito contrastante dei giudizi di merito.
Nel caso di specie la Corte territoriale aveva assolto l’imputato condannato in primo grado per il reato previsto e punito dall’art. 223, comma 2, n. 2) legge fallimentare per avere, quale amministratore unico della società [omissis] s.r.l. in liquidazione, cagionato il fallimento della società per effetto di operazioni dolose consistite nel sistematico, protratto, omesso versamento delle imposte dirette e indirette per un importo di oltre cinque milioni di euro, costituente la quasi totalità del passivo fallimentare.
- Il ricorso per cassazione del Procuratore Generale.
Contro la sentenza assolutoria di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, dolendosi del capo di sentenza che aveva escluso la penale responsabilità dell’imputato per mancanza di prova certa sul dolo, dando atto delle richieste di dilazione e rateizzazione del debito erariale in capo alla società da lui amministrata, e della contestuale riduzione dello stesso debito prima del fallimento.
Secondo la prospettiva della Procura ricorrente, la conclusione cui era giunto il Collegio di appello era erronea in quanto, come correttamente opinato dal Tribunale con la sentenza di condanna inflitta nel primo grado di giudizio, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, era apparsa chiara la sussistenza del dolo, perlomeno eventuale, alla base della condotta di bancarotta impropria da operazioni dolose contestata.
Più specificamente, secondo il ricorrente, l’imputato non solo ha accettato l’eventualità del dissesto quale conseguenza della sua condotta omissiva, ma lo ha certamente previsto e voluto come conseguenza delle proprie rilevantissime omissioni fiscali, a fronte del quasi satisfattivo pagamento dei diversi debiti, di natura non tributaria, che hanno consentito all’impresa di decotta di continuare ad operare sul mercato nonostante il debito tributario
- La decisione della Suprema Corte.
La Corte di legittimità ha ritenuto fondate le doglianze del PG per le ragioni riprodotte nel segmento della parte motiva di seguito riportato che riassume i puù recenti approdi della giurisprudenza di legittimità:
3.1. Il quadro giurisprudenziale formatosi sul delitto di bancarotta impropria per effetto delle operazioni dolose.
[….Come premesso, la decisione assolutoria trova causa nella ritenuta insussistenza, in capo al dell’elemento soggettivo, fondandosi il ragionamento inferenziale del giudice a quo sulla presentazione dell’istanza di rateizzazione a Equitalia e sul successivo pagamento di alcuni ratei, nel senso che la Corte di appello ha ravvisato, nel ricorso a tale strumento giuridico, lecito e previsto dall’ordinamento, un modo per far fronte alla crisi di liquidità registrata dalla società, tale da escludere l’intento fraudolento.
3.1.1. La condotta materiale ed il nesso causale tra l’omissione ed il dissesto (ovveroil suo aggravamento) dell’impresa.
Come è noto, nella bancarotta impropria cagionata da operazioni dolose, le condotte dolose devono porsi in nesso eziologico con il fallimento; ciò che rileva, ai fini della bancarotta fraudolenta impropria, non è l’immediato depauperamento della società, bensì la creazione, o l’aggravamento, di una situazione di dissesto economico che, prevedibilmente, condurrà al fallimento della società (in tal senso, Se:. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv.262188).
Si tratta di reato a forma libera, integrato da condotta attiva o omissiva, costituente inosservanza dei doveri rispettivamente imposti ai soggetti indicati dalla legge, nel quale il fallimento è evento di danno, e si ritiene che la fattispecie si realizzi non solo quando la situazione di dissesto trovi la sua causa nelle condotte o operazioni dolose ma anche quando esse abbiano aggravato la situazione di dissesto, che costituisce il presupposto oggettivo della dichiarazione di fallimento ( Sez. 5, n. 40998, 20 maggio 2014, Rv. 262189, conf. Sez. 5, n. 8413 del 16/10/2013, Rv. 259051; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, RvV. 247316; Sez. 5 n. 19806 del 28/02/2003, Rv. 224947).
Secondo l’indirizzo di questa Corte, poiché l’amministratore ha un obbligo di fedeltà nei confronti della società, ogni violazione di questo integra, sussistendone le altre condizioni, un’operazione dolosa ai sensi dell’art. 223 co. 2 n. 2 L.F., che può, pertanto, consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria dell’impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa, questo perché l’”operazione” è termine semanticamente più ampio dell’ “azione”, intesa come mera condotta attiva, e ricomprende l’insieme delle condotte, attive od omissive, coordinate alla realizzazione di un piano; sicché, può ben essere integrata dalla violazionе – deliberata, sistematica e protratta nel tempo dei doveri degli amministratori concernenti il versamento degli obblighi contributivi e previdenziali, con prevedibile aumento dell’esposizione debitoria della società (ex plurimis, Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Rv. 260492, Sez. 5 n. 24752 del 01/06/2018, Rv. 273337), come ripetutamente affermato da questa Corte (Sez. 5 -, n. 43562 del 11/06/2019, Vigna, Rv. 277125; Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, De Matta e altri, Rv. 273337; Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Bottiglieri, Rv. 270046; in senso analogo, Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Beller, Rv. 260492; Sez. 5 n. 12426 del 29/11/21013, dep. 2014, Rv. 259997).
3.1.2. L’elemento psicologico del reato.
Posto, quindi, che la nozione di operazioni dolose, di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, del RD 16 marzo 1942 n. 267, prevede il comportamento degli amministratori che cagionino il dissesto con abusi o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero con atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa, l’elemento soggettivo richiesto non è la volontà diretta a provocare lo stato di insolvenza, essendo sufficiente la coscienza e volontà del comportamento sopra indicato (Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998, dep. 1999, Carrino G, Rv. 212613).
Ai fini della configurabilità della bancarotta impropria da operazioni dolose non deve, quindi, risultare dimostrato il dolo specifico diretto alla causazione del fallimento, ma solo il dolo generico, ossia la coscienza e volontà delle singole operazioni e la prevedibilità del dissesto come conseguenza della condotta antidoverosa. (Sez. 5- n. 16111 del 08/02/2024,Rv. 286349)….]
3.1.3. L’applicazione dei superiori principi al caso oggetto di scrutinio.
[….Calando tali principi nella vicenda in esame, si osserva che la Corte territoriale non ha considerato che la dolosa, protratta, inosservanza celle obbligazioni fiscali e previdenziali ha determinato un debito di indubbia rilevanza, e che, a fronte dello stato di insolvenza sussistente al momento cella presentazione dell’istanza di rateizzazione, non risultano assunte doverose iniziative finalizzate a risollevarne le sorti, in tal senso non potendosi valorizzare, a fronte dell’ingente, non sostenibile, debito già prodottosi, la mera presentazione dell’ istanza di rateizzazione, invece, rivelatasi un escamotage per proseguire l’attività economica, continuando a generare passività.
Tanto è sufficiente per ritenere integrato l’elemento soggettivo del reato, come correttamente ritenuto dal primo giudice, che ha compiutamente ricostruito le vicende finanziarie della fallita, evidenziando che l’inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, protrattosi dal 2004, era stato il frutto di una consapevole scelta gestionale dell’imputato amministratore, e ha considerato il mero pagamento rateale del debito erariale una forma di elusione dell’inadempimento fiscale, ravvisando nel reiterato ricorso a uno strumento lecito l’intento di realizzare la diversa (illecita) finalità di ritardare la declaratoria di fallimento e di aggravare il dissesto.
In effetti, la dolosa inosservanza delle obbligazioni fiscali e previdenziali, andando ad aumentare ingiustificatamente l’esposizione della società nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali, anche in ragione dell’inevitabile carico di interessi e di sanzioni, rendeva prevedibile, proprio per l’ampiezza del fenomeno, per la sua sistematicità, e per l’entità degli importi evasi, il conseguente dissesto.
Mentre, come sottolineato dal primo giudice, l’insostenibilità del debito prodotto da tale inadempimento rendeva evidente il carattere anomalo o inadeguato, rispetto all’operazione economica intrapresa, della forma giuridica impiegata, rivelandosi l’istanza di rateizzazione una modalità di manipolazione e di alterazione dello strumento giuridico lecito.
Del tutto ragionevolmente, quindi, il primo giudice ha escluso che il non si sia rappresentato l’evento del dissesto come conseguenza di cale condotta, anzi, individuando “una non secondaria intensità del dolo” anche in ragione della condotta coeva con la quale il ricorrente continuò a pagare regolarmente i dipendenti e i fornitori, decidendo di far gravare solo sull’Erario le conseguenze delle proprie scelte imprenditoriali.
Ai richiamati, consolidati, principi espressi da questa Corte in terna di elemento soggettivo nella bancarotta impropria da operazioni dolose – erroneamente applicati da Giudice di secondo grado – obliterati dalla Corte di appello, dovrà attenersi il Giudice del rinvio nel rinnovato giudizio di merito..]
Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA