Va annullato il capo della sentenza di condanna che non riduce l’importo della confisca in misura corrispondente al pagamento rateale del debito tributario.

E’ il principio di diritto ribadito dalla Corte di cassazione – sezione terza penale, con la sentenza numero 9924/2025 del 17.10.2024 (depositata il 12.03.2025), che è tornata ad affrontare la questione giuridica dell’illegittimità dell’entità della confisca disposta per equivalente sul patrimonio personale dell’imputato, quando nel corso del processo viene allegato e dimostrato dalla difesa l’avvenuto, parziale, pagamento del debito fiscale, costituente profitto del reato tributario.

 

  1. L’imputazione e l’esito dei due gradi di merito.

Nel caso di specie i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità dell’imputato, rinviato a giudizio per il reato di cui agli art. 81 cpv cod. pen. e 2 d.lgs. n. 74 del 2000.

E’ da evidenziale che la CDA, nonostante uno specifica censura articolata dall’imputato proprio sulla eccessività della confisca, aveva mantenuto inalterato l’importo della misura ablatoria, malgrado fosse stata fornita la prova dell’avvenuto pagamento rateale di un significato importo del debito tributario, conseguente alla commissione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti.

  1. Il ricorso per cassazione.

Per quanto di interesse per la presente nota si evidenzia che con un motivo di ricorso era stata dedotta la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata perché i Giudici dell’appello non avevano tenuto conto del versamento all’Erario della somma di euro 273.809,01, pari a circa 2/3 della somma dovuta, che avrebbe dovuto comportare la riduzione della confisca in misura corrispondente.

  1. la decisione della Suprema Corte ed il principio di diritto.

La Suprema Corte, ponendosi nel solco della consolidata giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto fondata la superiore doglianza, annullando con rinvio la sentenza impugnata e ricordando quanto segue:

[…E’ fondato invece il secondo motivo di ricorso.

La Corte di appello, pur riconoscendo che l’imputato ha versato all’Erario circa i 2/3 del debito tributario, ha confermato la confisca diretta o per equivalente dell’intera somma corrispondente al profitto del reato tributario.

In tema di reati fiscali, la confisca anche per equivalente del profitto, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario (accertamento con adesione, conciliazione giudiziale, transazione fiscale, attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda), non può essere mantenuta sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotta in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (Sez. 3, n. 33602 del 24/04/2015, Pastore, Rv. 265043 – 01 e Sez. 3, n. 23962 del 10/02/2023, Monghese, in motivazione al punto 4.4, sia pure con riferimento al contiguo tema del sequestro).

Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto chela sentenza impugnata vada annullata con rinvio limitatamente alla confisca mentre il ricorso è inammissibile nel resto…”].

Si segnala che lo stesso principio – oramai pacifico – trova applicazione anche nella fase cautelare reale in relazione all’avvenuto pagamento – parziale o totale – del debito tributario, come da ultimo statuito dalla Suprema Corte con la seguente pronuncia annotata:

https://studiolegaleramelli.it/2025/03/10/il-pagamento-rateale-del-debito-tributario-vale-ad-annullare-il-sequestro-preventivo-sui-beni-dellindagato/

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