Non ricorre il falso ideologico quando il medico del pronto soccorso attesta una lesione effettivamente esistente anche se in realtà non è prodotta dall’evento dichiarato dal paziente.
Con sentenza 7397/2025 – depositata il 24 marzo 2025, la quinta sezione penale della Corte di cassazione è intervenuta per chiarire quale sia la corretta qualificazione giuridica da attribuire al certificato rilasciato dal medico del pronto soccorso che attesta l’effettiva malattia diagnosticata al paziente all’esito della visita riconducendola, tuttavia, per errore indotto dall’altrui dichiarazione mendace, ad un evento dannoso in realtà non accaduto.
- L’indagine penale, il reato contestato e l’esito dei giudizi di merito.
Secondo quanto è dato ricavare dalla lettura della sentenza in commento il processo ha avuto origine da un’indagine della locale Procura che aveva fatto emergere l’esistenza di un’associazione volta alla commissione di truffe assicurative realizzate provocando volontariamente lesioni fisiche a soggetti consenzienti, tra cui gli imputati ricorrenti, simulando poi che le stesse fossero conseguenza di un infortunio stradale.
Si legge sempre nella sentenza che i soggetti partecipi di questo illecito sistema, dopo avere procurato le lesioni ai loro complici, compensati con esigue somme di denaro, li accompagnavano al pronto soccorso, ove essi dichiaravano ai sanitari di avere subito un sinistro stradale, ottenendo una certificazione medica che veniva, poi, utilizzata per istruire la pratica assicurativa e riscuotere il risarcimento del danno alla persona.
I giudici del doppio grado di merito affermavano, concordemente, la penale responsabilità dei giudicabili per i reati contro la fede pubblica di cui agli artt. 479 – 479 e 48 cod. pen., per avere indotto i medici del pronto soccorso ad attestare falsamente l’esistenza delle lesioni refertate (clinicamente riscontrate) come conseguenza di incidenti stradali secondo il narrato dei pazienti.
- Il ricorso per cassazione.
Contro la sentenza di appello gli imputati interponevano ricorso per cassazione articolando plurimi motivi di impugnazione.
Per quanto di interesse per la presente nota si segnala che con una doglianza i prevenuti hanno lamentato l’inosservanza o erronea applicazione degli artt. 48, 479 cod. pen. in riferimento all’art. 476, secondo comma, cod. pen..
Secondo la difesa degli imputati il delitto di falsità ideologica commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefaciente sarebbe nella specie insussistente in quanto l’atto in questione, costituito dal certificato medico, sarebbe destinato ab initio alla prova e, dunque, a garanzia della pubblica fede, unicamente della diagnosi ivi riportata.
Pertanto, la refertazione non riguarderebbe l’eziologia del trauma, ma la sua sussistenza e consistenza, nonché la sua compatibilità con le dichiarazioni del paziente; di modo che, la veridicità della dichiarazione del paziente, concernente appunto l’occasione del trauma, che il sanitario si limiterebbe a recepire pedissequamente, senza avere su di essa alcun dovere o potere di verifica o controllo, sarebbe estranea all’esercizio del potere certificativo.
Dunque, secondo la tesi dei ricorrenti, il fatto contestato avrebbe dovuto essere qualificato nel diverso reato contro il patrimonio delle compagnie assicuratrici previsto e punito dall’art. 642 cod. pen., in relazione al quale, nella specie, le persone offese non avevano sporto querela.
- La decisione della Cassazione ed i principi di diritto.
La Suprema Corte ha ritenuto fondate le censure mosse alla sentenza di primo grado con il superiore motivo di ricorso annullando senza rinvio la sentenza impugnata con la formula perché il fatto non sussiste, in quanto il fatto andava riqualificato nella fattispecie di reato indicata dalla difesa (art. 642 cod. pen. – fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona), improcedibile per difetto dell’istanza di punizione.
Di seguito si riportano i passaggi della motivazione che riguardano la natura giuridica dei certificati emessi dai medici del pronto soccorso oggetto della contestazione penale.
3.1. La struttura del reato di falso ideologico per induzione: artt.479 – 48 cod. pen.
[……Va premesso che l’art. 479 cod. pen. sanziona il fatto del pubblico ufficiale che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che il fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto e destinato a provare la verità.
Nel caso in esame, il falso, materialmente realizzato dal sanitario che aveva redatto il referto, sarebbe stato in realtà integrato da ciascuno degli imputati attraverso le dichiarazioni mendaci che avrebbero indotto in errore il pubblico ufficiale, secondo lo schema delineato dall’art. 48 cod. pen., a mente del quale le disposizioni in materia di errore sul fatto che costituisce il reato si applicano anche se esso è determinato dall’altrui inganno; ma, in tal caso, «del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l’ha determinata a commetterlo».
Lo schema normativo risultante dalla combinazione degli articoli indicati viene, così, a configurare una fattispecie particolare di falsità ideologica, che vede capovolto il normale rapporto tra falso e inganno, in quanto è il secondo a precedere il primo.
In questi casi, infatti, un soggetto (autore immediato), indotto in errore da altri (autore mediato), si forma ed esterna una falsa rappresentazione della realtà, dando corpo agli estremi oggettivi di un delitto di falso ideologico, di cui non risponde per mancanza di dolo, ma che viene addebitato all’autore dell’inganno.
E poiché, sovente, lo stesso inganno consiste di una falsa dichiarazione compiuta dall’autore mediato e supposta vera dall’autore immediato, ne consegue che questa peculiare fattispecie richiede una falsità, quella commessa dall’autore mediato), che sia causa di un’altra falsità, quella commessa, inconsapevolmente, dall’autore immediato (per questa ricostruzione v. Sez. 5, n. 17810 del 07/04/2022, Jaupi, non massimata; per il richiamo all’operatività dell’art. 48 cod. pen., cfr. Sez. 5, n. 11597 del 12/02/2010, Deda, Rv. 246711 – 01; Sez. 5, n. 40785 del 11/07/2013, Meraviglia, Rv. 257202 – 01).
Come evidenziato anche dalle Sezioni Unite, dunque, «stante il rapporto di causa-effetto quel fatto attestato dal privato, quale presupposto dell’emanazione dell’atto del pubblico ufficiale, e il contenuto dispositivo di quest’ultimo e stante, altresì la stretta connessione logica tra l’uno e l’altro, la falsità del primo si riverbera sul secondo e diventa essa stessa falsità di questo, sicché la recepita falsa attestazione del decipiens acquista la ulteriore veste di falsa attestazione del pubblico ufficiale deceptus, sui fatti falsamente dichiarati dal primo e dei quali l’atto pubblico e destinato a provare la verità. Si configurano perciò, anche sotto il profilo naturalistico, due condotte riconducibili decipiens: una prima condotta consistente nella redazione della falsa attestazione e una seconda concretatasi nell’induzione in errore del pubblico ufficiale mediante la produzione della stessa ai fini dell’integrazione di un presupposto dell’atto pubblico emanato, con conseguente configurabilità del concorso materiale tra i due reati legati anche da connessione teleologica» (Sez. U., 28/06/2007, n. 35488, Scelsi, in motivazione).
3.2. I poteri certificatori del sanitario e la natura di atto pubblico fidefaciente del documento prodotto.
Orbene, nel caso esaminato, è pacifico che il sanitario, nell’atto di redigere il referto, fosse un pubblico ufficiale nell’esercizio di un potere certificativo e che l’atto redatto avesse natura pubblica fidefacente. E’ parimenti non contestabile, né in effetti contestato, è la circostanza che le lesioni refertate fossero effettivamente esistenti nonché che l’eziologia delle stesse fosse differente da quella riferita dai due pazienti e riportata nel certificato medico.
In particolare, quanto al primo profilo va ribadito che il concetto di atto pubblico è, agli effetti della tutela penale, più ampio di quello desumibile dall’art. 2699 cod. civ., dovendo rientrare nella relativa nozione non soltanto i documenti redatti da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, ma anche quelli formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato, nell’esercizio delle loro funzioni, per uno scopo diverso da quello di conferire ad essi pubblica fede, purché aventi l’attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione (Sez. 5, n. 17089 del 17/02/2022, Stifanelli, Rv. 283007 – 01; Sez. 5, n. 37880 del 08/09/2021, Musso, Rv. 282028 – 01; Sez. 5, n. 3542 del 17/12/2018, dep. 2019, Esposito, Rv. 275415 – 01; Sez. 5, n. 9358 del 24/04/1998, Tisato, Rv. 211440 – 01).
Sono atti pubblici, quindi, anche gli atti interni e quelli preparatori di una fattispecie documentale complessa, e relative alla dimostrazione di stati, qualità personali o fatti che siano nella diretta conoscenza dell’interessato dichiarante, compreso il possesso di requisiti per ottenere un determinato beneficio (Sez. 5, n. 15901 del 15/02/2021, Pizzuto, in motivazione).
3.3. I poteri certificatori del sanitario e la natura di atto pubblico fidefaciente del documento prodotto.
Tanto premesso, osserva nondimeno il Collegio che il delitto di falsità ideologica commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefacente viene integrato, come detto, quando il pubblico ufficiale, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che il fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto e destinato a provare la verità.
Dunque, esso presuppone, per quanto di rilievo in questa sede (essendo le restanti ipotesi del tutto eccentriche ai fatti oggetto del presente giudizio), che la falsa rappresentazione della realtà riguardi un contenuto dell’atto che quest’ultimo sia diretto ad attestare con fede privilegiata.
Ciò ricorre, ai sensi degli artt. 2699 e 2700 cod. civ., in relazione alla provenienza dell’atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché ai fatti appartenenti all’attività compiuta dal pubblico ufficiale o caduti (come nel caso delle dichiarazioni di terzi) sotto la sua percezione sensoriale, destinati ab initio alla prova ossia precostituiti a garanzia della pubblica fede e, dunque, ad assumere anche un rilievo giuridico esterno rispetto alla mera indicazione sanitaria o terapeutica (così Sez. 5, n. 7921 del 16/01/2007, Amoruso, Rv. 236518 – 01; Sez. 5, n. 12213 del 13/02/2014, Amoroso, Rv. 260208 – 01, quest’ultima relativa a casi di referti medici attestanti traumi da falsi sinistri stradali per consentire lucro a danno delle compagnie assicuratrici, ma in cui i sanitari che li redigevano erano consapevoli della falsità di quanto attestato).
E, tra essi, rientra certamente la diagnosi, che pur costituendo un’attività valutativa, può essere certamente oggetto di una falsa attestazione, secondo quanto ormai ritenuto dalla consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 12401 del 01/12/2010, dep. 2011, Langella, Rv. 249633 – 01).
Si è, infatti, affermato, proprio con riferimento alle diagnosi e alle valutazioni compiute dal medico, che anche tali giudizi di valore, al pari degli enunciati in fatto, possono essere non veritieri; sicché, nell’ambito di contesti che implicano l’accettazione di parametri valutativi normativamente determinati o tecnicamente indiscussi, le valutazioni formulate da soggetti cui la legge riconosce una determinata perizia possono non solo configurarsi come false, ma posso rientrare altresì nella categoria della falsità ideologica che allochi il giudizio e faccia riferimento a criteri predeterminati, in modo da rappresentare la realtà al pari di una descrizione o di una costatazione, sicché è ideologicamente falsa la valutazione che contraddica criteri indiscussi o indiscutibili e sia fondata su premesse contenenti false attestazioni (Sez. 5, n. 15773 del 24/01/2007, Marigliano, Rv. 236550 – 01; v. anche, in ambiti diversi da quello sanitario, Sez. 5, n. 18521 del 13/01/2020, Primerano, Rv. 279046 -02; Sez. 3, n. 46239 del 12/07/2018, Mordano, Rv. 274207 – 01; Sez. 3, n. 30025 del 04/12/2017, dep. 2018, Scrudato, Rv. 273691 – 01; Sez. F, n. 39843 del 04/08/2015, Di Napoli, Rv. 264364 – 01; Sez. 1, n. 45373 del 10/06/2013, Capogrosso, Rv. 257895 – 01; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, Platamone, Rv. 254305 – 01; Sez. 5, n. 39360 del 15/07/2011, Gulino, Rv. 251533 – 01; Sez. 6, n. 23978 del 13/02/2008, Di Bello, Rv. 241702 – 01; Sez. 5, n. 49025 del 12/11/2004, Margarino, Rv. 231284 – 01; Sez. 6, n. 8588 del 06/12/2000, dep. 2001, Ciarletta, Rv. 219039 – 01; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215744 – 01; Sez. 5, n. 3552 del 09/02/1999, Andronico, Rv. 213366 – 01; Sez. 5, n. 1575 del 11/11/1997, dep. 1998, Marinone, Rv. 209993 – 01).
Tuttavia, nel caso in esame, la falsa rappresentazione non riguarda l’esistenza e consistenza delle lesioni, né la compatibilità del trauma con le dichiarazioni del paziente, che le sentenze non hanno messo in dubbio, né tantomeno il fatto storico che i pazienti avessero reso le dichiarazioni indicate nel referto, anch’esse, a quanto emerge dal testo dei provvedimenti, riportate in maniera fedele. Essa, al contrario, concerne il dato relativo all’eziologia del trauma, certamente non rientrante nel potere certificativo del medico.
In proposito, la casistica giurisprudenziale ha condivisibilmente ritenuto integrato il delitto previsto dall’art. 479 cod. pen. nel caso del soggetto che, lamentando patologie inesistenti, tragga in inganno i sanitari sulla veridicità di quanto viene loro esposto, inducendoli a redigere certificati medici che, in quanto riportanti sintomi idonei a fondare una diagnosi errata, devono ritenersi ideologicamente falsi (così Sez. 6, n. 896 del 01/07/2014, dep. 2015, Panarello, Rv. 262047 – 01, in tema di simulazione di disturbi di rilevanza psichiatrica e Sez. 1, n. 3030 del 09/12/2022, dep. 2023, Babalyan, Rv. 283953 – 01 e Sez. 5, n. 31514 del 06/05/2021, Bottari, non massimata, in tema di simulazione di sintomi per ottenere una certificazione di malattia rispettivamente per sottrarsi all’obbligo di rilevanza ai fini dell’inquadramento patologico e terapeutico (ove quest’ultimo rilevi, ad esempio, sulla certificazione della durata dello stato di malattia).
Consegue alle considerazioni che precedono che il delitto contestato non può, nella specie, ritenersi sussistente, dovendo condividersi il rilievo, formulato dalla Difesa e disatteso in sede di merito, secondo cui i fatti, ove peraltro contestati in maniera più puntuale, avrebbero potuto essere qualificati ai sensi dell’art. 642, secondo comma, cod. pen., che punisce la condotta di colui il quale, al fine di conseguire per sé o per altri l’indennizzo di una assicurazione o comunque un vantaggio derivante da un contratto di assicurazione, cagiona a sé stesso una lesione personale o aggrava le conseguenze della lesione personale prodotta da un infortunio o denuncia un sinistro non accaduto ovvero distrugge, falsifica, altera o precostituisce elementi di prova o documentazione relativi al sinistro; delitto per il quale, in relazione alla posizione degli odierni imputati, nel caso di specie manca la querela richiesta.
3.4. L’insussistenza nel caso di specie del falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico (art.483 cod. pen.).
Viceversa, la sentenza impugnata ha correttamente escluso la riconducibilità delle condotte ascritte agli imputati all’ipotesi di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico prevista dall’art. 483 cod. pen.
Detta fattispecie, infatti, ricorre sussiste qualora l’atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati e cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all’atto documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente (cosi Sez. U, n. 6, del 17/02/1999, Lucarotti, Rv. 212782 – 01 e Sez. U, n. 28 del 15/12/1999, dep. 2000, Gabrielli, Rv. 215413 – 01; nella giurisprudenza più recente Sez. 5, n. 22859 del 17/04/2019, Di Domenico, Rv. 276632 – 01; Sez. 5, n. 5365 del 15/01/2018, Guidi, Rv. 272110 – 01; Sez. 5, n. 39215 del 4/06/2015, Cremonese, Rv. 264841 – 01; Sez. 5, n. 18279 del 2/04/2014, Scalici, Rv. 259883 – 01).
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