La Cassazione delinea le condizioni che devono ricorrere per la condanna del presidente del CDA imputato per fatti di bancarotta.
Con la sentenza numero 14199/2025 del 18.03.2025 (depositata il 10.04.2025), la sezione quinta penale della Corte di cassazione si è espressa sul tema giuridico della responsabilità del presidente del Consiglio di amministrazione della società di capitali rinviato a giudizio per gravi reati fallimentari, precisando quale compendio probatorio deve essere acquisito nel corso del processo affinché il giudice di merito ne possa dichiarare la penale responsabilità.
- La contestazione penale e la decisione dei giudici di merito.
Nel caso in disamina La Corte d’appello aveva confermato la condanna di [omissis]per il delitto di bancarotta impropria da operazioni dolose di cui all’articolo 223, comma 2, n. 2, R.D. n. 267/1942 perché, quale amministratrice della [omissis] s.r.l dal 19/5/2005 al 28/12/2012, è stata ritenuta responsabile di aver cagionato il fallimento della società attraverso operazioni dolose, consistenti nel sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie, contributive e previdenziali.
- Il ricorso per cassazione dell’imputata.
La difesa dell’imputata interponeva ricorso per cassazione articolando plurimi motivi di impugnazione.
Per quanto di interesse per la presente nota, si segnala che con una doglianza veniva denunciato vizio di legge e di motivazione della sentenza d’appello che, secondo la difesa, non aveva adeguatamente considerato la circostanza secondo cui, fino al giugno 2009, l’imputata era sprovvista di poteri di gestione della società, sicché, anche ammesso che l’operazione dolosa risalisse al 2005, una simile condotta non avrebbe potuto comunque esserle ascritta.
Si è censurato, infatti, sotto il profilo giuridico ampio con richiamo della giurisprudenza difforme, il capo di sentenza con il quale la Corte d’appello aveva ritenuto sufficiente il mero dato formale della carica ricoperta dall’imputata – presidente del consiglio d’amministrazione – come tale titolare di una “posizione preminente rispetto ai componenti del medesimo organo”, e quindi tenuta dovuto effettuare il “controllo sull’esercizio delle deleghe”.
- La decisione della Suprema corte ed il principio di diritto.
La Corte di legittimità ha ritenuto fondata la superiore doglianza difensiva annullando con rinvio la sentenza impugnata per le ragioni indicate nel segmento di motivazione di seguito riportato:
3.1. La diversa posizione giuridica assunta dall’imputata nel corso del mandato in funzione del mutamento dei poteri associati alla carica.
“[……Tuttavia, è evidente che, seppur correttamente (come chiarito nel trattare il primo motivo di ricorso) i giudici di merito abbiano fatto riferimento all’intero periodo oggetto di imputazione, lo stesso è, però, divisibile in due parti: la prima, chiusasi nel giugno 2009, in cui la [omissis] era solo presidente del consiglio di amministrazione della fallita, senza delega alcuna e, anzi, mentre v’era delega ad occuparsi (anche) del pagamento delle imposte in capo ad un altro soggetto; la seconda, relativa al periodo immediatamente successivo, in cui l’imputata è rimasta l’unica ad amministrare la fallita.
In particolare, sia nel capo di imputazione che nelle sentenze di merito si fa riferimento, come detto, al complessivo debito cumulato dalla fallita e, soprattutto, alla (rilevante) incidenza percentuale dei debiti istituzionali su di esso.
Sennonché, a fronte della censura che rimarcava, come detto, l’assenza di poteri gestori in capo all’imputata in relazione al primo periodo anzidetto ( 2005- 2009), la sentenza d’appello ha fornito una risposta del tutto carente, rispetto ai parametri dettati da questa Corte.
3.2. La tesi seguita dalla Corte di appello della responsabilità del presidente del CDA derivante dall’assunzione della mera assunzione carica.
Secondo la Corte territoriale, infatti, la mera carica di presidente del consiglio di amministrazione dal giugno 2005 al 12/6/ 2009, pur in presenza di altri due consiglieri delegati, uno dei quali con poteri amplissimi di gestione finanziaria della società, sarebbe sufficiente a renderla responsabile delle omissioni di pagamento, sebbene in detto periodo la stessa risultasse “sprovvista di concreti poteri di gestione finanziaria della società”, trattandosi, comunque, di “posizione preminente rispetto ai componenti del medesimo organo, quindi dotata di un potere-dovere di vigilanza e controllo sull’esercizio delle deleghe”, “non potendo pertanto ignorare l’ammontare complessivo dei debiti maturati nei confronti delle istituzioni”, da un lato, né potendo ignorare ulteriormente i debiti erariali pregressi accumulati dalla società allorché, nel periodo susseguente, divenuta sua amministratrice unica, dall’altro lato (p.11 sentenza d’appello). E tanto, pur ammettendosi che, “nel periodo della ‘gestione laSocietà abbia pagato debiti erariali per una quota significativa dei debiti fiscali maturati” (come da consulenza di parte): ciò che, però, secondo la Corte d’appello, confermava il precedente “sistematico inadempimento” e, dunque, la “strategia intrapresa di ricorrere al finanziamento dell’attività sociale attraverso il mancato adempimento dei debiti erariali”, tanto da “non poter più soddisfare regolarmente gli adempimenti”, in un’unica ed integrale soluzione, si deve ritenere (così ancora la sentenza d’appello alle pagine 11-12).
3.2. Il difforme principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione: la responsabilità richiede sempre l’esercizio di poteri gestori ed il dolo richiesto dalla norma incriminatrice.
Orbene, è evidente come il ragionamento sia, in primis, del tutto carente e, comunque, in palese violazione dei principi di diritto stabiliti da questa Corte in materia di attribuzione delle responsabilità per i reati di bancarotta solo a chi risulti avere quei poteri gestori sottesi agli atti che ne costituiscano il substrato: finendo per essere, nel contempo, anche manifesta mente illogico, laddove attribuisce dette responsabilità a chi abbia, per contro, provato ad invertire il modus operandi oggetto della detta condotta criminosa, allorché ne ha acquisito il potere.
Questa Corte, invero, anche recentemente ha avuto modo di ribadire che, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il concorso per omesso impedimento dell’evento dell’amministratore privo di delega è configurabile quando, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle condotte illecite tenute dai consiglieri operativi in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere, secondo i criteri propri del dolo eventuale, l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà, nella forma del dolo indiretto, di non attivarsi per scongiurare detto evento, dovendosi infine accerta re, sulla base di un giudizio prognostico controfattuale, la sussistenza del nesso causale tra le contestate omissioni e le condotte delittuose ascritte agli amministratori con delega (Sez. 5, n. 33582 del 13/06/2022, Rv. 284175-01).
Tanto, al fine di «evitare che siano pronunciate condanne basate su una responsabilità di posizione ovvero fondate su un rimprovero per colpa anziché per dolo, come richiesto per l’integrazione delle fattispecie di bancarotta di cui agli artt. 216 e 223 L.F.»: non essendo, pertanto, sufficiente, ai fini dell’affermazione di responsabilità, «la presenza di dati (c.d. segnali d’allarme) da cui desumere un evento pregiudizievole per la società o almeno il rischio della verifica di detto evento», essendo «necessario che il consigliere privo di delega ne sia concretamente venuto a conoscenza e sia rimasto volontariamente inerte così avallando le condotte mendaci o distrattive degli amministratori dotati di deleghe».
Insomma, «la sussistenza di fattori di anomalia evidenti, se comporta in chi li colse un chiaro addebito per colpa, finanche grave, non consente di affermare, oltre ogni ragione le dubbio, che l’inerzia, ciò nonostante serbata, da parte di chi sarebbe stato tenuto ad attivarsi – nel caso di specie, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2381, comma 6, e 2392 cod. civ. – sia ex se espressiva della volontaria adesione all’evento pregiudizievole, rappresentato dalla condotta criminosa altrui, il cui concreto verificarsi si sia affacciato nella prospettiva conoscitiva del soggetto agente che ne abbia accettato il rischio» (in tal senso, ancora Sez. 5, n. 33582 del 13/06/2022, Rv. 284175-01, in motivazione, nel menzionare adesivamente Sez. 5, n. 23000 del 05/10/2012, dep. 2013, Rv. 256939-01) .
Tanto perché gli amministratori senza delega, alla luce della riforma del diritto societario, non hanno più un generale obbligo di vigilanza sulla gestione attuata dagli organi delegati, atteso che l’art. 2392, comma 2, cod. civ. non prevede più che siano «solidalmente responsabili se non hanno vigilato sul generale andamento della gestione», ma che lo siano solo ove, «a conoscenza di fatti pregiudizievoli», non abbiano «fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose».
Né ciò vale meno per il presidente del consiglio di amministrazione, il quale, salvo diversa previsione dello statuto, ai sensi dell’art. 2381, comma 1, cod. civ., «convoca il consiglio di amministrazione, ne fissa l’ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle materie iscritte all’ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri»: ovvero può ben essere, ove pure ( in ipotesi) per colpa, ignaro delle specifiche condotte illecite poste in essere da altri amministratori, a maggior ragione laddove, come nella specie, essendovi amministratori delegati, sia a loro demandata ogni concreta gestione dell’attività societaria, ivi inclusa, in particolare, quella finanziaria.
In definitiva, in tale situazione fattuale la Corte territoriale omette del tutto di chiarire in base a quali elementi probatori possa affermarsi che la [omissis] sia concretamente venuta a conoscenza che i debiti verso l’Erario venissero sistematicamente pretermessi a vantaggio di altri creditori, nel periodo in cui non aveva alcun concreto potere gestorio, appannaggio di altri soggetti.
Né specifica come e perché possa attribuirsi, ad un piano di rientro rateizzato, lo scopo di portare innanzi siffatta politica finanziaria e come, dinanzi all’enorme debito erariale cumulato dalle pregresse gestioni, l’imputata avrebbe potuto far diversamente fronte alla situazione determinatasi: essendo manifestamente illogico ritenere che la stessa fosse tenuta, salvo il suo concorso nel reato nelle more commesso da altri, a fare immediato rientro.
3.3. Il perimetro dell’accertamento demandato alla Corte di appello nel giudizio di rinvio.
Insomma, la Corte d’appello, in sede di rinvio, dovrà necessariamente far luce su tali aspetti, di modo da acclarare, e naturalmente adeguatamente motivare, se vi fosse, sulla base degli elementi in atti (analizzando, ad esempio, eventuali verbali del consiglio d’amministrazione e le tematiche emerse in siffatto consesso), in capo all’imputata e nel periodo in cui era solo presidente del consiglio d’amministrazione della società poi fallita, senza poteri gestori, l’effettiva conoscenza dei fatti in contestazione (ovvero di sistematico inadempimento nel pagamento dei debiti istituzionali) o, almeno, la sua certa percezione di segnali di allarme inequivocabili, dalla stessa volutamente ignorati, con accettazione del rischio che l’evento di bancarotta poi determinatosi si verificasse: scongiurando, così, il pericolo di un addebito per colpa (inettitudine, incapacità o imprudente fiducia dell’imputata nell’agire dei delegati) o, addirittura, per responsabilità oggettiva da posizione, pacificamente escluso dalla giurisprudenza più recente di questa Corte ( ex multis Sez. 1, n. 14783 del 09/03/ 2018, Rv. 272614-01; Sez. 5, n. 42568 del 19/06/ 2018, Rv. 273925-04; Sez. 5, n. 23000 del 05/10/ 2012, dep.2013, Rv. 256939-01, in tema di bancarotta impropria da reato societario).
Laddove non vi siano siffatti elementi, e non possano valorizzarsi gli ulteriori dati emersi (in primis, quello dell’incidenza dei crediti istituzionali sul passivo fallimentare nel periodo 2005-2012), la Corte territoriale dovrà necessariamente porsi il problema della eventuale sufficienza delle condotte tenute dall’imputata una volta divenuta amministratrice della società de qua ad integrare, comunque, il delitto contestato, in ogni suo elemento, oggettivo e soggettivo…..]
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Sullo tema giuridico della responsabilità per bancarotta fraudolenta dell’organo collegiale gestorio si segnalano i seguenti arresti giurisprudenziali annotati.
Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA