Bancarotta per distrazione per l’amministratore che giustifica i prelievi dalla cassa sociale come eseguiti per far fronte alla crisi di impresa dovuta alla pandemia.

La Corte di cassazione – sezione quinta penale, con la sentenza numero 13848/2025 del 27.03.2025, è tornata ad affrontare il tema della responsabilità penale dell’amministratore che non giustifica nella competente sede processuale la destinazione delle somme prelevate dal conto corrente della società al fisiologico svolgimento dell’attività di impresa.

 

  1. Il capo di imputazione ed i giudizi di merito.

Nel caso di specie l’imputato, secondo la concorde valutazione dei giudici di merito,  è stato ritenuto responsabile e  condannato per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva perché,  nella sua qualità di amministratore unico della [omissis] S.r.l., aveva prelevato dal conto corrente intestato alla società fallita la somma complessiva di euro 35.000,00, con causale “restituzione prestito soci”.

Il medesimo imputato è stato altresì ritenuto responsabile per il reato fallimentare di bancarotta impropria per effetto di operazioni dolose.

 

  1. Il ricorso per cassazione.

La difesa del giudicabile con il ricorso per cassazione aveva dedotto, tra i vari motivi di doglianza e per quanto di interesse per la presente nota,  la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.e, cod. proc. pen. per travisamento degli elementi di prova ed erronea qualificazione giuridica dei fatti, nonché contraddittorietà della motivazione.

In particolare, il ricorrente, ha contestato la prova del coefficiente soggettivo dei reati commessi e la mancata riqualificazione delle condotte di bancarotta fraudolenta distrattiva e per operazioni dolose in quelle di bancarotta semplice ex art. 217 l. fall.

Secondo la difesa, la somma di euro 35.000,00 era stata prelevata dall’imputato al fine di rifinanziare la società ed il prelievo non ha pregiudicato la massa dei creditori.

 

  1. La decisione della Suprema Corte ed i principi di diritto.

La Suprema corte, dando ulteriore continuità ad un orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto infondata la superiore doglianza validando l’operato dei giudici del merito per le ragioni che seguono.

 

3.1. La prova della distrazione e l’onere difensivo posto a carico dell’amministratore.

[…Ciò premesso, deve precisarsi che la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 7048 del 27/11/2008, Bianchini, Rv. 243295). I creditori ripongono la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di quest’ultima e l’art. 87, comma terzo, legge fall (anche nella sua formulazione precedente alla sua riforma) assegna al fallito obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell’interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione penale.

Osservazioni che giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova ascritta al fallito nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura e di assenza di giustificazioni a proposito (o di giustificazione resa in termini di spese, perdite ed oneri attinenti o compatibili con le fisiologiche regole di gestione).

Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile) l’artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n. 2732 del 16/12/2021, dep. 2022, Ciraolo, Rv. 282652).

 

3.1.1. Gli indici di fraudolenza della condotta.

Peraltro, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, Sentenza n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763).

Così che anche invocate “scelte imprenditoriali” che conducano ad un esito depauperativo del patrimonio della fallita acquistano rilievo penale.

Rilievo che non è escluso dal fatto che al momento delle condotte la società fosse, in ipotesi, priva di squilibri economici e finanziari, posto che si è detto come l’epoca del depauperamento può assumere rilevanza ai fini della sussistenza degli indici di fraudolenza e, dunque, del dolo, solo nel caso in cui la condotta dell’agente presenti elementi non univoci di qualificazione giuridica in termini di distrazione, ma non certo quando il depauperamento consegua ad una deliberata condotta di sottrazione, priva di un’alternativa ipotesi qualificatoria (Sez. 5, n. 45230 del 16/09/2021, Morabito, Rv. 282284; Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, Cimoli, Rv. 280550).

 

3.2. L’elemento psicologico del reato della bancarotta fraudolenta per distrazione: basta la prova il dolo generico.

Inoltre, l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico; pertanto, è sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805 – 01).

3.3. La corretta applicazione dei suesposti principi da parte della Corte di appello.

La sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici, ha chiarito la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva dal punto di vista oggettivo e soggettivo, evidenziando che, relativamente al prelievo della somma di euro 35.000,00 dal conto corrente intestato alla [omissis] S.r.l. con causale “reso prestito personale”, il ricorrente non ha giustificato l’effettiva destinazione né è stato in grado di individuare il sinallagma in entrata.

L’odierno ricorrente ha asserito di avere utilizzato le somme prelevate per contanti per far fronte alla crisi economica connessa alla emergenza sanitaria da Covid 19, ma non ha fornito prova alcuna delle sue affermazioni.

Quanto al pagamento di debiti connessi alla crisi economica conseguente alla pandemia, la giustificazione fornita appare estremamente generica, non avendo l’imputato fornito indicazioni sui soggetti creditori e quali siano stati gli importi corrisposti a ciascuno di essi, cosicché la Corte di appello ha correttamente concluso che le condotte per le quali è stata pronunciata condanna integrino altrettante distrazioni patrimoniali ai danni della società.

La sentenza impugnata ha operato buon governo del consolidato e costante principio indicato da questa Corte secondo cui integrano il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione tutte le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell’impresa, determinano, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo in danno dei creditori, anche attraverso il distacco di beni da detto patrimonio, senza immettervi alcun corrispettivo, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari (Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, Rv. 280106). I giudici del merito hanno ritenuto provato che il prelevamento integrasse distrazione di risorse economiche della società fallita non solo in virtù dell’omessa dimostrazione della destinazione delle somme, ma anche sulla base di una serie di elementi di natura logica che fanno apparire non credibile la tesi sostenuta dall’imputato.

In particolare, la Corte di appello ha evidenziato che, già a partire dal 2018, la società presentava un patrimonio netto negativo, trovandosi in difficoltà. Sulla base di tali elementi, che fanno apparire sussistenti i cosiddetti “indici di fraudolenza”, correttamente è stata ritenuta dimostrata la circostanza che le somme prelevate non siano state destinate alla soddisfazione delle esigenze imprenditoriali della società fallita, in applicazione del principio di diritto sopra esposto.

In conclusione, la Corte di Appello ha desunto la responsabilità del ricorrente dalla circostanza che il prelievo è avvenuto per attività non documentata, sicché si è trattato di incameramento di denaro diretto al depauperamento societario.

Dunque, anche in questo caso il giudice di appello ha desunto la sussistenza del dolo in capo al prevenuto dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, la corte territoriale è coerentemente risalita alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato.

La motivazione fornita dai giudici del merito appare adeguata e priva di contraddizioni o manifeste illogicità..]

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA