I compensi percepiti dall’amministratore di fatto della società integrano sempre il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione.
Questo è il principio di diritto ribadito dalla Corte di cassazione sezione terza penale con la sentenza numero 19402/2025 – pronunciata il 04.04.2025 (depositata il 23.05.2025), che ha affrontato la questione dell’applicabilità all’amministratore di fatto dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità per la qualificazione giuridica della condotta dell’amministratore di diritto che dispone in suo favore il pagamento del compenso per la carica gestoria ricoperta, nonostante lo stato di insolvenza della società.
Secondo l’interpretazione dominante l’amministratore di diritto, pur in assenza di indicazione statutaria o di delibera dell’assemblea dei soci che ne quantifichi il compenso, può ottenere la derubricazione del contestato reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale nel meno grave reato di bancarotta preferenziale, se dimostra nella competente sede processuale la congruità del compenso ricevuto rispetto all’attività effettivamente svolta nell’interesse dell’Ente.
Il Collegio del diritto con la sentenza in commento si è espresso negativamente circa l’applicabilità all’amministratore di fatto del superiore principio, valorizzando la dirimente circostanza che l’imputato non era contrattualmente legato alla società fallita e, come tale, non poteva vantare alcun credito derivante da prestazioni lavorative.
- L’imputazione e l’esito dei giudizi di merito.
Nel caso in disamina i giudici del doppio grado di merito avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità dell’imputato rinviato a giudizio nella qualità di amministratore di fatto della fallita società di capitali per i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e bancarotta da reato societario.
I giudici di merito nelle due decisioni conformi avevano evidenziato che il ruolo gestorio del ricorrente è risultato comprovato dalle dichiarazioni dei quattordici lavoratori dipendenti dell’azienda, i quali, escussi nel corso del processo, si erano riferiti al ricorrente come alla persona che gestiva, tra l’altro, le assunzioni, gli aumenti e le rivendicazioni salariali.
La figura di dominus occulto nella gestione della società ascritta al giudicabile era emersa, altresì, da prove documentali acquisite agli atti e segnatamente: missive telematiche aventi a oggetto direttive impartite al personale per la vendita di macchinari aziendali; comunicazioni aventi ad oggetto rapporti con la proprietà dell’immobile in cui aveva sede la fallita; gestione personale dell’account di posta elettronica aziendale ed infine dall’avallo prestato a effetti cambiari per importi rilevanti per finanziare la società.
Per quanto di interesse per la presente nota si evidenzia che all’esito dell’istruttoria dibattimentale era stata ritenuta provata anche l’ipotesi di reato di bancarotta distrattiva per avere l’imputato disposto in suo favore dal conto della società il pagamento della somma di euro 36.000 a titolo di retribuzione per il proprio compenso.
- Il ricorso per cassazione dell’imputato.
La difesa dell’imputato interponeva ricorso per cassazione articolando plurimi motivi di impugnazione.
Si segnala che con una doglianza, in relazione al percepito compenso di euro 36.000, era stato dedotto il vizio di violazione di legge per la mancata riqualificazione del reato di bancarotta distrattiva ritenuto in sentenza in quello meno afflittivo di bancarotta preferenziale.
Secondo la difesa la Corte distrettuale avrebbe dovuto considerare la congruità del compenso rispetto al lavoro effettivamente svolto dal ricorrente e, ciò, nonostante l’assenza di una delibera assembleare o di una previsione statutaria che avessero previsto il compenso a suo favore.
- La decisione della Suprema Corte ed il principio di diritto.
Il Collegio del diritto ha ritenuto infondato il superiore motivo di ricorso per le ragioni indicate nel segmento di motivazione di seguito riportato:
[… “Infondato è il terzo motivo di ricorso, perché elusivo della pregnante replica fornita dalla Corte territoriale all’eccezione difensiva secondo cui la giustificazione dei circa 36.000 euro, erogati a favore del ricorrente, fosse da ravvisarsi nel compenso a titolo di retribuzione per l’attività lavorativa svolta dal [omissis] a favore della [omissis s.r.l.]
Premesso che l’imputato non era contrattualmente legato alla fallita società da un rapporto di lavoro subordinato (come emerso nella relazione del curatore fallimentare, richiamata in parte motiva, v. p. 4), la Corte d’appello ha ricordato che il [omissis] in quanto amministratore di fatto, non già di amministratore di diritto, della fallita, non poteva vantare alcun credito derivante da prestazioni lavorative.
Alla luce di tale principale e dirimente rilievo, la motivazione della gravata sentenza ha fondatamente respinto la tesi difensiva, basata, non a caso, sul riferimento a orientamenti di questa Corte del tutto inconferenti, in quanto riferiti alla configurabilità del delitto di bancarotta preferenziale, in luogo del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, nei casi in cui l’amministratore di diritto (o il liquidatore), non già l’amministratore di fatto, ottenga in pagamento di suoi crediti verso la società in dissesto, relativi a compensi e rimborsi spese, una somma congrua rispetto al lavoro prestato (così Sez. 5, n. 48017 del 10/07/2015, Fenili, Rv. 266311- 01; Sez. 5, n. 32378 del 12/04/2018, Fagiolo, Rv. 273576 – 01, con medesimo principio, riferito alla persona del liquidatore).
La replica della Corte d’appello – sebbene posta in via concessiva (…”a prescindere dal fatto che il era amministratore di fatto e non di diritto”: p. 9 dell’impugnata sentenza) – è a tal punto precipua da far scolorire le ulteriori argomentazioni, valorizzate ad abundantiam in motivazione, relative al fatto 1) che nello statuto della società non risultasse in alcun modo contemplata una forma di compenso a favore del (e, si aggiunge, neppure poteva esserlo, posto quanto appena osservato a proposito dell’assenza di un rapporto di lavoro contrattualmente regolato); 2) che alcuna delibera assembleare ne aveva previsto la retribuzione, né erano stati indicati eventuali parametri che consentissero forme di liquidazione del compenso a suo vantaggio.
Deve pertanto ribadirsi che all’amministratore di fatto non possono applicarsi i principi di diritto, elaborati da questa Corte con riferimento alla diversa posizione dell’amministratore di diritto, secondo cui, in determinate condizioni, al giudice di merito spetta in compito di «verificare se, in assenza di una delibera assembleare o di una quantificazione statutaria del compenso per l’attività svolta, cui ha diritto il soggetto che abbia ritualmente accettato la carica di amministratore di una società di capitali, il prelevamento da parte di quest’ultimo di denaro dalle casse della società in dissesto configuri il delitto di bancarotta preferenziale o, diversamente, quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, a seconda che il diritto al compenso sia correlato o meno a una prestazione effettiva e il prelievo sia o meno congruo rispetto all’impegno profuso» (Sez. 5, n. 36416 del 11/05/2023, Ciri, Rv. 285115 – 01)”]
Sul tema del compenso all’amministratore di diritto e del discrimine tra i reati di bancarotta distrattiva e bancarotta preferenziale si segnalano i seguenti arresti giurisprudenziali annotati:
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