Va assolto dal peculato il medico ospedaliero che riceve compensi da pazienti privati non prenotati tramite il SSN.

La Corte di Cassazione – Sezione VI Penale, con la sentenza n.18240/2025 del 3 dicembre 2024, depositata il 13 aprile 2025, si è espressa su un caso di peculato riguardante un medico autorizzato a svolgere attività in regime di intramoenia.

La Corte ha chiarito che, per condannare, il giudice deve accertare se il medico rivesta una qualifica pubblicistica nel momento in cui riceve il compenso dal paziente.

Questa pronuncia si inserisce nella consolidata giurisprudenza di legittimità e offre importanti spunti per una difesa efficace, basata sulla funzione concreta svolta dal medico pubblico rispetto ai fatti contestati, sulla qualità soggettiva del paziente (ad esempio, se si tratta di un parente o di un conoscente) e sul rapporto legale tra medico e paziente.

Tali elementi possono dimostrare che le somme ricevute non sono legate alla funzione pubblica e quindi non configurano il delitto contro la pubblica amministrazione.

  1. Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso specifico, l’imputata, medico ospedaliero strutturato, era stata rinviata a giudizio per il reato di peculato (art. 314 cod. pen.) perché, secondo l’accusa, aveva incassato dagli assistiti compensi per visite senza emettere fattura né versare le somme all’Azienda Sanitaria Provinciale, come previsto dalla convenzione in essere.

I giudici di primo e secondo grado avevano ritenuto provata la condotta illecita e avevano inflitto al medico la pena di giustizia.

  1. Il ricorso per cassazione.

La difesa ha presentato ricorso, contestando tra l’altro la sussistenza del reato. In particolare, si è sostenuto che le somme ricevute dai pazienti erano da considerarsi regalie personali e non denaro dovuto all’Azienda Sanitaria, pertanto non dovevano essere retrocesse.

  1. La decisione della Cassazione e il principio di diritto

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondata questa argomentazione e ha annullato con rinvio la sentenza di condanna.

Invero, secondo i Giudici di legittimità, il  peculato si configura solo se il medico, in quanto pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, si appropria di somme che gli sono state affidate nell’esercizio della sua funzione pubblica, cioè quando le visite sono state prenotate tramite il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e quindi le somme devono essere versate all’Azienda sanitaria.

Se invece il medico riceve compensi da pazienti che si rivolgono a lui privatamente, senza passare dal SSN, e senza alcun legame contrattuale con l’Azienda, non si può parlare di peculato.

In questo caso, il medico viola eventualmente la convenzione con l’ente pubblico, rilevando tale condotta sul piano giuslavoristico, ma non si appropria indebitamente di denaro pubblico.

Di seguito si riporta il segmento di motivazione di interesse per la presente nota estratto dalla sentenza 18240/2025 con i relativi richiami giurisprudenziali:

…. il tema che assume rilievo è quello del se queste visite fossero “passate” dall’Azienda sanitaria, cioè fossero visite prenotate “attraverso” il Servizio nazionale sanitario e poi eseguite dai medici in regime di convenzione.

La Corte di cassazione ha già chiarito che integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, omette poi di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene, a condizione che la disponibilità del denaro sia legata all’esercizio dei poteri e dei doveri funzionali del medesimo, e non derivi da un affidamento devoluto solo “intuitu personae” ovvero da una condotta “contra legem” (Sez. 6, n. 24717 del 24/04/2024, Lombardo, Rv. 286666 in cui, in applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata per non aver chiarito se l’imputata, svolgendo le prestazioni sanitarie presso il proprio studio professionale, avesse previamente attivato la procedura di “intra moenia” allargata, cui era autorizzata, trattenendo quanto aveva riscosso in ragione del proprio ufficio, ovvero avesse operato al di fuori del rapporto con l’amministrazione, in violazione delle norme contrattuali e disciplinari ad esso inerenti).

In tal senso anche Sez. 6, n. 35988 del 21/05/2015, Berti, Rv. 264578 con cui si è affermato che «nello schema normativo della fattispecie di peculato la locuzione “ragione del suo ufficio o servizio” esprime una caratterizzazione giuridica del potere che deve sussistere in capo al soggetto attivo: per commettere il delitto di peculato, dunque, il pubblico ufficiale, ovvero l’incaricato di pubblico servizio, deve appropriarsi del denaro o della cosa mobile di cui dispone per una ragione legata all’esercizio di poteri o doveri funzionali, in un contesto che consenta al soggetto di tenere nei confronti della cosa quei comportamenti uti dominus in cui consiste l’appropriazione, dovendosi ritenere incompatibile con la presenza della ragione funzionale un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo intuitu personae (Sez. 6, n. 34884 del 07/03/2007, Rv. 237693), ovvero scaturito da una situazione contra legem o evidentemente abusiva, senza alcuna relazione legittima con l’oggetto materiale della condotta» (In tal senso anche, Sez. 6, n. 23792 del 10/03/2024, Negro, in motivazione).

Ciò che deve dunque essere accertato, ai fini dell’affermazione della responsabilità, è che il medico autorizzato a svolgere attività intramoenia con un rapporto di esclusività con l’Azienda non si sia limitato a violare solo l’esclusività esercitando un’attività non consentita, ma si sia invece appropriato delle somme che, in ragione della riferibilità della sua attività all’ente, avrebbe dovuto versare a questo.

È possibile che il medico violi il rapporto di esclusività, e, ad esempio, visiti privatamente senza “passare” dalla Azienda, cioè in ragione di un rapporto personale con il paziente che, dunque, a lui si rivolge non tramite l’Azienda; in tali casi il medico viola la convenzione con l’ente di riferimento, ma non si appropria delle somme che il paziente eventualmente corrisponde e che il pubblico ufficiale detiene non “in ragione” del suo ufficio”.

La Corte territoriale sul punto è silente e non precisa il rapporto professionale intercorso tra il paziente e l’imputata: se, cioè, la [omissis] fosse “arrivata” allo studio medico della [omissis] a seguito dell’attivazione della procedura di “intra moenia” allargata, ovvero se ella avesse effettuato le visite e gli esami al di fuori di detto rapporto (e dunque violando il rapporto contrattuale con l’Amministrazione), atteso che, in questo caso non sarebbe integrabile l’appropriazione di somme di cui l’agente disponeva e che avrebbero dovuto essere versate all’Azienda sanitaria, in ragione del rapporto pubblicistico sottostante.

Ne consegue che sul punto la sentenza deve essere annullata; la Corte, applicherà i principi indicati e verificherà se e in che termini sia possibile configurare nei riguardi della ricorrente il delitto contestato..

Per approfondimenti sullo stesso tema:

  1. https://studiolegaleramelli.it/2023/03/04/la-visita-nello-studio-privato-del-medico-che-opera-in-intra-moenia-allargata-non-esclude-il-delitto-di-peculato-se-il-sanitario-non-versa-alla-struttura-pubblica-la-quota-di-compenso-dovuta/
  2. https://studiolegaleramelli.it/2023/03/04/la-visita-nello-studio-privato-del-medico-che-opera-in-intra-moenia-allargata-non-esclude-il-delitto-di-peculato-se-il-sanitario-non-versa-alla-struttura-pubblica-la-quota-di-compenso-dovuta/

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