Bancarotta per distrazione: quando un danno minimo può salvare l’imprenditore.
E’ il principio di diritto fissato con la sentenza numero 23155/2025 depositata il 20 giugno 2025 (udienza 14.04.2025) resa dalla Corte di cassazione, Sezione V Penale, che ha affrontato la questione giuridica della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione quando il valore dei beni distratti non appare idoneo a ledere gli interessi del ceto creditorio che rappresentano il bene giuridico protetto dal reato fallimentare.
La sentenza è interessante in chiave difensiva perché rende evidente come la difesa svolta dal legale dell’imputato, tendente a dimostrare il ridotto o inesistente valore dei beni oggetto di imputazione per bancarotta fraudolenta patrimoniale, tramite l’esame di un consulente tecnico e/o l’assunzione della prova testimoniale, può condurre ad un esito assolutorio o quanto meno attenuare la risposta sanzionatoria del Collegio giudicante, facendo leva sul principio della concreta offensività della condotta del legale rappresentante della società o impresa individuale fallita contestata come distrattiva nell’editto accusatorio.
Il capo di imputazione e l’esito dei giudizi di merito.
Nel caso di specie i giudici del primo e del secondo grado del giudizio, avevano, con giudizio concorde, condannato alla pena ritenuta l’imputato rinviato a giudizio quale amministratore della società fallita per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e bancarotta fraudolenta documentale.
Il ricorso per cassazione della difesa.
La difesa del giudicabile con il ricorso per cassazione aveva dedotto, tra i vari motivi di doglianza, per quanto di interesse per la presente nota, vizio di legge e di motivazione in relazione alla affermata responsabilità per il reato di bancarotta distrattiva.
Secondo la difesa, la Corte di appello, aveva trascurato le censure difensive elevate contro la sentenza di primo grado in ordine alla reale quantificazione del valore dei beni distratti.
In particolare, la difesa, sulla base della consulenza di parte acquisita nel corso del dibattimento, aveva sottolineato l’errore in cui era incorso il giudice di prime cure, consistito nel considerare il costo storico dei beni non rinvenuti dal curatore fallimentare che, viceversa, contabilmente, alla data della dichiarazione di fallimento, poteva essere complessivamente quantificato in un importo inferiore ad euro 1000,00, con valore di realizzo di circa euro 300,00.
La corretta valutazione del valore esiguo dei beni già sottoposta infruttuosamente al giudizio della Corte territoriale, se fosse stata correttamente apprezzata, avrebbe condotto i giudici dell’appello a ritenere la condotta dell’imputato inidonea a rappresentare un concreto pericolo per l’integrità del patrimonio sociale.
Con il secondo motivo relativo allo stesso capo della sentenza di condanna è stata censurata la sentenza della Corte di appello per non avere indagato in ordine alla sussistenza di una consapevole volontà del ricorrente di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa, non avendo neppure accertato le modalità di realizzazione della condotta distrattiva.
- La decisione della Suprema Corte ed i principi di diritto.
La Suprema Corte ha ritenuto fondata la superiore doglianza annullando con rinvio la sentenza impugnata dando continuità al principio secondo il quale la bancarotta fraudolenta è un reato di pericolo concreto.
Questo significa che, pur non essendo richiesto un nesso causale tra i fatti di bancarotta e il successivo fallimento, è comunque necessario che il fatto di bancarotta abbia determinato un depauperamento significativo ed apprezzabile del patrimonio dell’impresa con correlativo danno per la conservazione dell’integrità del patrimonio, quale garanzia per i creditori insinuati nella procedura concorsuale.
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Di seguito si riporta il segmento di motivazione di interesse per la presente nota contenente i relativi riferimenti giurisprudenziali.
3.1. La definizione della condotta materiale della bancarotta distrattiva in chiave di concreta ed effettiva offensività.
“Secondo l’ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il reato di bancarotta fraudolenta ha natura di reato di pericolo concreto, sicché – benché sia esclusa la necessità di un nesso causale tra i fatti di bancarotta e il successivo fallimento – è tuttavia necessario che il fatto di bancarotta abbia determinato un depauperamento dell’impresa e un effettivo pericolo per la conservazione dell’integrità del patrimonio della stessa (SSUU Passarelli).
In particolare, la concreta messa in pericolo della conservazione dell’integrità del patrimonio dell’impresa, che costituisce la garanzia per i creditori della medesima, funge da parametro dell’applicazione della norma incriminatrice, dovendo il giudice sempre dare conto dell’effettiva offesa alla massa dei creditori, quale portato del comportamento illecito.
Si è perciò affermato che l’offesa provocata dal reato non può ridursi al mero impoverimento dell’asse patrimoniale dell’impresa, ma si restringe alla diminuzione della consistenza patrimoniale idonea a danneggiare le aspettative dei creditori (Sez. 5, n. 16388 del 23/03/201 1, Barbato, Rv. 250108, in motivazione).
Per tale ragione, l’offensività della condotta ricorre allorquando la diminuzione della consistenza patrimoniale comporta uno squilibrio tra attività e passività e l’atto depauperativo idoneo a creare un vulnus all’integrità della garanzia dei creditori in caso di apertura della procedura concorsuale (da Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, 269562 – 01).
In definitiva, la natura della bancarotta distrattiva quale reato di pericolo concreto e la necessaria valorizzazione del principio di offensività comporta che non è sufficiente la constatazione dell’esistenza in sé dell’atto distrattivo, ma determina la necessità di verificare l’attitudine del f atto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori, alla luce della complessiva condizione in cui versa l’impresa; ad accertare, in altri termini, che il reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o interesse tutelato (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/ 2017, Sgaramella, Rv. 270763, in motivazione; Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, Zazzini, Rv. 271437 – 01).
Ciò comporta che il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva punisce non già, indifferentemente e sempre, qualsiasi atto in diminuzione del patrimonio della società, ma soltanto e tutti quelli che quell’effetto sono idonei a produrre in concreto, con esclusione, pertanto, di tutte le operazioni o iniziative di entità minima o comunque particolarmente ridotta e tali, soprattutto se isolate o realizzate quando la società era in bonis , da non essere capaci di comportare una alterazione sensibile della funzione di garanzia del patrimonio” (Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, P.G. in proc. Sistro, Rv. 261446).
3.2. La componente psicologica del reato.
“La ricostruzione del reato di bancarotta fraudolenta come reato di pericolo concreto si riverbera anche sulla configurazione dell’elemento psicologico, il quale è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, nè lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ma è sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805).
La condotta distrattiva deve pertanto essere assistita dalla consapevolezza che si stanno compiendo operazioni sul patrimonio sociale idonee a cagionare danno ai creditori.
In sostanza, richiede la rappresentazione, da parte dell’agente, della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi «come probabilità dell’effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la consapevole volontà del compimento di operazioni sul patrimonio sociale, o su talune attività, idonee a cagionare un danno ai creditori» (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, cit. in motivazione).
Entrambi gli elementi costitutivi del reato, quello oggettivo e quello soggettivo, costituiscono oggetto dell’onere motivazionale che grava sul giudice di merito, il quale deve dare conto della loro sussistenza sulla base di una puntuale analisi della fattispecie concreta, attraverso l’individuazione di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, cit.).
3.3. Il vizio di motivazione della sentenza annullata.
Valutate alla luce di tali coordinate ermeneutiche, le censure prospettate dal ricorrente con riguardo alla bancarotta fraudolenta distrattiva risultano fondate.
A fronte delle doglianze svolte avverso la sentenza di primo grado con cui si evidenziava lo scarso valore dei beni sottratti, la Corte territoriale, senza in alcun modo smentire tale dato, ed anzi espressamente prescindendo dallo stesso, ha affermato che la condotta distrattiva dei beni aziendali, posta in essere dall’imputato, aveva cagionato il depauperamento della società «indipendentemente dal loro valore reale», e pertanto integrava il reato contestato.
In tal modo, tuttavia, pur richiamando i principi affermati da questa Corte, la sentenza impugnata ha omesso di darne applicazione, in particolare non avendo proceduto a verificare, rendendo sul punto specifica motivazione, se il f atto contestato costituiva o meno un pericolo concreto e se la sottrazione di beni aziendali di un tale valore potesse arrecare un pregiudizio alla integrità della garanzia dei creditori, determinando una effettiva diminuzione patrimoniale.
Analoghe considerazioni valgono con riguardo all’elemento soggettivo, mancando nella motivazione della sentenza impugnata qualsiasi rilievo circa la sussistenza di “indici di fraudolenza”, cioè elementi indicativi di una consapevole volontà, in capo all’imputato, di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti idonei a cagionare danno ai creditori.
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Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA