Bancarotta per distrazione: per evitare la condanna è l’amministratore che deve provare l’inutilizzabilità dei beni non rinvenuti.

Questo è il principio di diritto ribadito con la sentenza numero 23188/2025 depositata il 20 giugno 2025 (udienza 14.04.2025) resa dalla Corte di cassazione – Sezione V Penale, che ha affrontato il tema della prova processuale della contestata condotta distrattiva contestata dal PM, della ripartizione dei relativi oneri e, soprattutto, del contenuto di quella a discarico cui la difesa deve assolvere per evitare la condanna per il reato fallimentare.

La sentenza in commento, ponendosi nel solco della dominante giurisprudenza di legittimità, dà ulteriore continuità al principio secondo il quale, la penale responsabilità per il reato punito dall’art. 216 legge fallimentare, può essere accertata e dichiarata dal giudice del merito anche solo sulla base della mancata giustificazione da parte dell’imprenditore della destinazione impressa ai beni facenti parte del patrimonio sociale, individuati dal curatore fallimentare contabilmente ma, di fatto, sottratti alla disponibilità materiale dei creditori insinuati nella procedura concorsuale con conseguente pregiudizio economico.

Si può quindi affermare che secondo quanto statuito dal Collegio del diritto in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’amministratore – di diritto o di fatto – risponde penalmente del mancato rinvenimento di beni risultanti dalle scritture contabili, qualora non fornisca prova adeguata della loro distruzione, alienazione lecita, assoluta inutilizzabilità, oppure di valore nullo o trascurabile,  gravando su di lui l’onere di dimostrare l’assenza di pregiudizio per la massa dei creditori.

 

Il capo di imputazione e l’esito dei giudizi di merito.

Nel caso di specie i giudici del primo e del secondo grado del giudizio avevano, con giudizio concorde, condannato alla pena ritenuta l’imputato rinviato a giudizio quale legale rappresentante ed amministratore della società fallita per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e bancarotta fraudolenta documentale.

In particolare, per quanto concerne la bancarotta patrimoniale, l’imputazione era riferita alla distrazione di plurimi beni per un valore di euro 4.086,68 ed alle risorse della società, consentendo al figlio di esercitare attività imprenditoriale in locali utilizzati in precedenza dalla società fallita, assumendone i costi relativi per oltre due anni.

Il ricorso per cassazione della difesa.

La difesa dell’imputato con il ricorso per cassazione di legittimità aveva dedotto, tra i vari motivi di doglianza, per quanto di interesse per la presente nota, vizio di legge e di motivazione in relazione all’affermata responsabilità per la distrazione dei beni, secondo il ricorrente obsoleti e di nessun apprezzabile valore.

 

  1. La decisione della Suprema Corte ed i principi di diritto.

La Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondata la superiore doglianza rigettando il ricorso.

Di seguito si riporta il segmento di motivazione di interesse per la presente nota contenente i relativi riferimenti giurisprudenziali.

 

3.1. La nozione di distrazione.

“.Va ricordato che la distrazione è nozione che la giurisprudenza di legittimità ricollega al distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore   poi  fallito  (con  conseguente  depauperamento   in  danno  dei creditori), che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso  l’esperimento  delle azioni apprestate a favore della curatela (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, Quattrocchi, Rv. 241830; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, Di Febo, Rv. 260486), essendo stata privilegiata una prospettiva che attribuisce alla nozione di distrazione una funzione anche “residuale”, tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto diverso dall’occultamento, dalla dissimulazione, etc. determinante la fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito in modo da impedirne l’apprensione da parte degli organi del fallimento (Sez.  5  n.  8431  del 01/02/2019, Rv. 276031).

3.2. La Prova della distrazione e l’onere posto a carico dell’imputato.

“Deve, inoltre, considerarsi che la  prova  della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore (sia egli di fatto o di diritto), della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre  2015, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n.  19896 del 7 marzo 2014,Ranon, Rv 259848;  Sez.  5,  n. 11095  del  13 febbraio 2014, Ghirardelli, Rv.262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, Zanettin, RV. 255385; Sez. 5, n.7048/09 del 27 novembre 2008, Bianchini, Rv. 243295; Sez. 5, n. 4 3400/05 del 15 dicembre 2004, Sabino, Rv.231411) .

E’ stato, difatti, rimarcato (Sez. 5, n. 22894 del 17/ 04/2013, Zanettin, Rv. 255385) come le condotte descritte all’art. 216, comma primo, n. 1 legge fall. abbiano (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto della garanzia che sul medesimo grava in vista della conservazione delle ragioni creditorie.

Ed è in funzione di siffatta garanzia che si spiega, del resto, l’onere dimostrativo posto a carico del fallito, nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura (Sez. 5, n. 669 del 04/10/2021, dep.2022) Rv. 282643 – 01).

 

3.2. l’applicazione dei superiori principi al caso in esame.

Nella fattispecie in esame la difesa non contesta il mancato rinvenimento di beni che avrebbero dovuto trovarsi nel patrimonio aziendale limitandosi a sostenere la tesi della inutilizzabilità dei beni in quanto obsoleti e sulla loro ubicazione all’interno della sua abitazione, in modo, tuttavia, assertivo e senza il supporto di alcuna evidenza probatoria.

 

  1. Conclusioni.

La sentenza annotata  rende evidente che nell’attuale quadro giurisprudenziale se la difesa mira a dimostrare l’assenza di concreta offensività della condotta contestata come distrattiva deve dimostrare tramite prova testimoniale o documentale l’effettiva distruzione dei beni già risultanti dal bilancio o dalle scritture contabili, oppure per mezzo di un consulente tecnico  la svalutazione del loro valore commerciale  al fine di dimostrare che il mancato rinvenimento da parte del curatore non ha provocato alcun pregiudizio economicamente apprezzabile ai creditori.

In questo senso è interessante la disamina di un altro arresto giurisprudenziale in precedenza commentato (https://studiolegaleramelli.it/2025/06/24/bancarotta-per-distrazione-quando-un-danno-minimo-puo-salvare-limprenditore/ ) riferito ad un annullamento con rinvio da parte della Cassazione dovuto alla carente motivazione della sentenza impugnata in quanto la Corte territoriale  non aveva risposto adeguatamente alle censure elevate con i motivi di appello mediante i quali il difensore aveva eccepito il valore esiguo dei cespiti non rinvenuti sulla base degli esiti di una consulenza tecnica assunta nel corso del dibattimento.

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Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA