Responsabilità degli Enti (231/2001): La Cassazione Annulla la condanna senza prova di interesse o vantaggio per l’ente.
Questo è il principio di diritto applicato dalla Terza Sezione Penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 19333/2025, depositata il 3 maggio 2025, che si è pronunciata sulla questione giuridica dell’indefettibile prova dell’effettivo interesse o vantaggio conseguito dall’Ente al quale viene ascritta la responsabilità amministrativa a seguito del reato commesso da uno dei soggetti indicati dall’art. 5 del D.lgs. n. 231/2001.
La sentenza è interessante perché riporta, con sintesi chiara ed efficace, gli approdi della più recente giurisprudenza di legittimità formatasi intorno al concetto di interesse (da valutare ex ante) e a quello di vantaggio (da indagare con giudizio ex post), con la precisazione che nei reati colposi il giudizio deve essere espresso sulla condotta e non sull’evento del reato non voluto.
Il fatto contestato
Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che il comandante di un battello motopesca aveva cagionato per colpa il versamento in mare di un ingente quantitativo di idrocarburi contenuti nel serbatoio dell’imbarcazione.
Le imputazioni a carico del comandante e della società armatrice
La Procura della Repubblica ha esercitato l’azione penale contro il comandante per il reato contravvenzionale di cui agli artt. 4 e 9 del D.lgs. n. 202/2007 – punibile anche a titolo di colpa – e contro la società armatrice per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-undecies, comma 5, lett. a), del D.lgs. n. 231/2001.
La decisione del giudice di merito
Il Tribunale ha ritenuto fondata la duplice contestazione e, conseguentemente, ha affermato la responsabilità penale dell’imputato condannandolo alla pena di € 8.000,00 di ammenda, e ha condannato la società al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria di € 10.300,00 in relazione alla contravvenzione ascritta al comandante.
Il ricorso per Cassazione
Con il ricorso, la difesa dell’Ente ha denunciato vizio di legge per errata applicazione degli artt. 5 e 25-undecies, comma 5, lett. a), del D.lgs. 231/2001 e la mancanza di motivazione con riferimento all’interesse o al vantaggio conseguito dall’Ente dalla commissione del reato.
È stata, in particolare, censurata la decisione del primo giudice nella parte in cui aveva desunto la responsabilità amministrativa in modo automatico, quale conseguenza dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, comandante dell’imbarcazione di proprietà dell’Ente stesso, senza alcuna indicazione del vantaggio o dell’interesse, richiesti espressamente dall’art. 5 del D.lgs. 231/2001 per la configurabilità della responsabilità amministrativa. Secondo la difesa, dalla condotta illecita contestata al comandante era in realtà derivato un danno economico per l’Ente, che aveva dovuto provvedere alla bonifica a proprie spese dello specchio di mare involontariamente inquinato.
La decisione della Cassazione e i principi di diritto
La Corte di legittimità ha ritenuto fondata la doglianza per le ragioni indicate nel segmento di motivazione, riportato nella sentenza, con i relativi riferimenti giurisprudenziali.
L’interesse o vantaggio dell’Ente quale indefettibile presupposto della responsabilità amministrativa.
“L’art. 5 del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che disciplina la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300, prevede la responsabilità degli enti forniti di personalità giuridica, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica “per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
- a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso.
- b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a)”, stabilendo anche, al secondo comma, che “l’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.
Le distinte nozioni di interesse o vantaggio
“Quanto alla imputazione della responsabilità, e, in particolare, alla nozioni di vantaggio e interesse per l’ente, necessari per poter ravvisare detta responsabilità, la giurisprudenza di legittimità ha elaborato un criterio di compatibilità secondo cui nei reati colposi le nozioni di interesse o vantaggio per l’ente, di cui all’art. 5, non devono riferirsi alla realizzazione dell’evento del reato, ma devono riguardare unicamente la condotta, perché è al momento della condotta che si realizza l’intento di procurare un vantaggio all’ente, necessario per poterlo ritenere responsabile, pur essendo l’evento del reato non voluto (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhan, Rv. 261115 – 01).
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che si tratta di criteri diversi e alternativi, trattandosi di concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse “a monte” per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, conseguente all’illecito, da un vantaggio obbiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato ex ante, sicché l’interesse e il vantaggio sono in concorso reale (Sez. 4, n. 22586 del 17/04/2024, T., Rv. 286586 – 01; Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda, S.c.a., Rv. 274320 – 02; Sez. 4, n. 2544 del 17/12/2015, dep. 2016, Gastoldi, Rv. 268065 – 01; Sez. 5, n. 10265 del 28/11/2013, dep. 2014, Banca Italease Spa, Rv. 258575 – 01; Sez. 2, n. 3615 del 20/12/2005, D’Azzo, Rv. 232957 – 01).
Si tratta, dunque, di criteri distinti, operanti su piani diversi, uno (l’interesse) su quello soggettivo e l’altro (il vantaggio) su quello oggettivo.
Così, l’interesse è il criterio soggettivo (indagabile ex ante) consistente nella prospettazione finalistica, da parte del reo-persona fisica, di giovare all’interesse all’ente mediante il compimento del reato, a nulla valendo che poi tale interesse sia stato concretamente raggiunto o meno.
Il vantaggio, al contrario, è il criterio oggettivo (da valutare ex post), consistente nell’effettivo godimento, da parte dell’ente, di un vantaggio concreto dovuto alla commissione del reato.
In altri termini, il richiamo all’interesse dell’ente valorizza una prospettiva soggettiva della condotta delittuosa posta in essere dalla persona fisica da apprezzare ex ante, mentre il riferimento al vantaggio evidenzia un dato oggettivo che richiede sempre una verifica ex post (Sez. 5, n. 10265 del 28/11/2013, dep. 2014, Banca Italease Spa, Rv. 258575 – 01, cit.).
Tali criteri sono stati ritenuti compatibili con i reati colposi, dovendo essere riferiti alla condotta anziché all’evento, cosicché ricorre il requisito dell’interesse qualora l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente, mentre sussiste il requisito del vantaggio qualora la persona fisica ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto (Sez. 4, n. 2544 del 17/12/2015, dep. 2016, Gastoldi, Rv. 268065 – 01, cit.)”.
L’omessa disamina da parte del Tribunale dell’interesse o vantaggio dell’Ente
Nel caso in esame tali aspetti, necessari per la configurabilità della responsabilità amministrativa dell’ente, non sono in alcun modo stati considerati dal Tribunale, che si è limitato ad affermare la responsabilità dell’ente come necessaria conseguenza della responsabilità dell’imputato, quale dipendente dell’ente medesimo, senza nulla d’altro specificare, tantomeno a proposito dell’interesse o del vantaggio dell’ente, né riguardo a una sua eventuale colpa di organizzazione, con la conseguente insufficienza della motivazione sul punto, in quanto inidonea a dare giustificazione della affermazione della configurabilità della responsabilità amministrativa dell’ente.
Implicazioni pratiche: prevenzione e strategie difensive
Il principio di diritto ribadito dalla sentenza n. 19333/2025, letto in chiave difensiva, consente due valutazioni:
L’importanza sempre crescente per le imprese di dotarsi – in via preventiva – di un modello organizzativo, ai sensi del D.lgs. 231/2001, adeguato all’attività concretamente svolta e realmente attuato. Ciò consente di escludere la colpa organizzativa, opponendone l’efficacia scriminante, sia nella fase delle indagini preliminari sia in quella processuale.
Qualora l’Ente sia sprovvisto di tale modello al momento in cui si consuma il fatto-reato presupposto della responsabilità amministrativa, è strategico concentrarsi sulla distinzione tra responsabilità penale (personale) della figura apicale e responsabilità dell’Ente, per evitare l’effetto espansivo della prima sulla seconda – come avvenuto all’esito del giudizio di primo grado nel caso esaminato, poi annullato dalla Cassazione.
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Avv. Claudio Ramelli – riproduzione riservata