La responsabilità della struttura sanitaria

Il tema della qualificazione della responsabilità della struttura sanitaria come contrattuale ex artt. 1218 e ss. c.c., ovvero extracontrattuale (o aquiliana), ex artt. 2043 e ss. c.c., è stato oggetto di contrasti giurisprudenziali, infine risolti dalla riforma Gelli Bianco (legge 24/2017), che ha chiarito definitivamente il profilo della responsabilità ascrivile ai soggetti che possono essere evocati in giudizio per il risarcimento del danno – patrimoniale e non patrimoniale – connesso alla inesatta prestazione da parte del medico e del personale paramedico ovvero della struttura.

Orientamenti giurisprudenziali e riforma Gelli Bianco

Prima dell’intervento chiarificatore operato dalla legge Gelli Bianco, la giurisprudenza era chiamata a ricostruire la responsabilità civile della struttura sanitaria in chiave di responsabilità contrattuale o aquiliana.

Secondo l’orientamento maggioritario, la responsabilità ascrivibile in capo all’ente ospedaliero era di tipo contrattuale, risultando essa fondata sul cd. contratto di spedalità, ossia il contratto in forza del quale la struttura sanitaria si obbliga a fornire al paziente una complessa prestazione di assistenza sanitaria (consistente nella predisposizione degli spazi necessari, di personale sanitario sufficiente ed efficiente e di attrezzature e macchinari adeguati).

Ricondotta l’obbligazione della struttura sanitaria al contratto di spedalità, la giurisprudenza configurava la relativa responsabilità civile come contrattuale ex artt. 1218 c.c. e ss.

In particolare, la struttura può essere chiamata a rispondere:

(i) per fatto proprio, derivante dal rapporto che si instaura in maniera diretta con il paziente, nel caso in cui il danno al paziente sia derivato da disfunzioni e carenze strutturali o organizzative inerenti alla struttura stessa (dal punto di vista degli spazi, o del personale o delle attrezzature);

(ii) per fatto proprio del personale sanitario: in questa sede, l’ente risponde direttamente della negligenza ed imperizia del personale dipendente nell’ambito dell’esecuzione della prestazione. Dunque la struttura sanitaria risponde dell’attività sanitaria posta in essere dall’operatore sanitario dipendente, laddove nella relativa condotta sia ravvisabile quanto meno il profilo della colpa.

Da quest’ultimo punto di vista, il tipo di obbligazione assunta la struttura sanitaria, coincidendo con quella dell’esercente la professione sanitaria (dal momento che l’ente ospedaliero si impegna, tramite gli operatori sanitari alle proprie dipendenze, a fornire una prestazione sanitaria), si configura come obbligazione di mezzi, anziché come obbligazione di risultato.

Ne consegue che la struttura o il professionista sanitario sono tenuti a svolgere la propria attività utilizzando i mezzi scientifici più idonei a raggiungere il risultato favorevole al paziente-creditore, mentre non è richiesto l’effettivo raggiungimento di un determinato risultato, nella specie la guarigione.

L’inadempimento all’obbligazione, pertanto, deve essere desunto non già semplicemente dal mancato raggiungimento del risultato, bensì dalla diligenza richiesta ai fini dell’esecuzione della prestazione professionale.

La diligenza deve essere valutata con riguardo alla natura dell’attività esercitata (ai sensi dell’art. 1176 c.c.) e, ai sensi dell’art. 2236 c.c., qualora la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave (norma che lascia intendere che l’operatore sanitario, in caso di causazione di un danno al paziente, sia tenuto al relativo risarcimento anche in caso di mera colpa lieve).

La legge Gelli Bianco è intervenuta in tale contesto, chiarendo in maniera espressa quanto già sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, qualificando la responsabilità della struttura sanitaria come contrattuale ex art. 1218 c.c. e ss. (laddove, la medesima legge, qualifica quella dell’esercente la professione sanitaria come extracontrattuale ex artt. 2043 c.c. e ss.).

In particolare, l’art. 7 della legge Gelli Bianco chiarisce che:

(i) la struttura sanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 c.c., delle loro condotte dolose o colpose;

(ii) l’esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 c.c., salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente.

Si segnala, a tal proposito, che le norme sostanziali della legge Gelli Bianco, al pari dei quelle della precedente legge Balduzzi, non sono applicabili retroattivamente (con l’eccezione delle disposizioni relative alla liquidazione del danno sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138, 139 del codice delle assicurazioni private), dunque non possono applicarsi a fatti avvenuti in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge, per i quali continuerà a farsi riferimento alla legge vigente all’epoca dei fatti. Ciò è quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, nelle celebri sentenze di “San Martino” (un decalogo di sentenze emesse nel 2019 dalla III Sezione civile in funzione nomofilattica in materia di responsabilità civile medica), in particolare: Cass. civ. Sez. III, 11/11/2019, n.28990; Cass. civ. Sez. III, 11/11/2019, n.28994.

 

Differenze di disciplina

Ciò chiarito, le conseguenze derivanti dall’esplicita qualificazione della responsabilità civile della struttura sanitaria come contrattuale, comporta delle differenze di disciplina rispetto alla responsabilità extracontrattuale dell’esercente la professione sanitaria. Tali differenze incidono su tre profili:

(i) la prescrizione della domanda di risarcimento del danno;

(ii) la ripartizione dell’onere della prova del nesso causale;

(iii) la determinazione dei danni risarcibili.

La disciplina della responsabilità contrattuale

La prescrizione

La qualificazione della responsabilità della struttura sanitaria come contrattuale implica che il termine prescrizionale del diritto al risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale sia quello ordinario di dieci anni.

L’onere della prova del nesso causale

La qualificazione della responsabilità civile della struttura sanitaria come contrattuale importa l’applicazione delle regole di riparto dell’onere probatorio del nesso causale previste dalla disciplina della responsabilità contrattuale. In particolare:

(i) il debitore-struttura sanitaria ha l’onere di provare il corretto adempimento, ovvero l’impossibilità di adempiere all’obbligazione contrattuale;

(ii) il creditore-paziente è chiamato a provare:

-il proprio credito;

-il danno da inadempimento contrattuale di cui richiede il risarcimento;

-l’esistenza del nesso di causalità tra l’inadempimento contrattuale e il danno subito.

Nell’ambito della responsabilità contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c., il debitore deve sempre rispondere delle conseguenze dannose dell’inadempimento, salvo che l’inadempienza sia stata determinata da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore.

Come già anticipato, inoltre, trattandosi di obbligazione di mezzi, il debitore va esente da responsabilità nel caso in cui abbia impiegato la diligenza richiesta nell’esecuzione della prestazione professionale. L’art. 2236 c.c. aggiunge che nel caso in cui la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il debitore risponde dei danni causati solo in caso di dolo o colpa grave.

Regole di accertamento del nesso di causalità giuridica

Come già detto, la disciplina della responsabilità contrattuale implica che il paziente, in quanto creditore, debba provare il cd. nesso di causalità giuridica, ossia la relazione tra l’inadempimento contrattuale ed il danno patrimoniale e/o non patrimoniale subito dal paziente.

Nell’accertamento della sussistenza della causalità giuridica la norma civilistica di riferimento è rappresentata dall’art. 1223 c.c., il quale prevede il risarcimento dei soli danni che costituiscano conseguenza immediata e diretta dell’illecito, ossia gli effetti normali e ordinari dell’illecito.

Quanto alla regola su cui si fonda il procedimento di ricostruzione di tale nesso causale, si ricorre al principio del “più probabile che non”, o regola della “preponderanza dell’evidenza” , in base al quale il giudice civile potrà affermare l’esistenza del nesso causale anche soltanto sulla base di una prova che lo renda probabile, a nulla rilevando che tale prova non sia idonea a garantire la certezza al di là di ogni ragionevole dubbio, come necessario in sede di accertamento della responsabilità penale (tale distinzione tra le regole di adottate nel settore civile e penale risponde alle diverse finalità ed esigenze che li connotano, legate ai rispettivi diversi interessi in gioco).

LA RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE

Cassazione civile sez. VI, 02/09/2019, n.21939

In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare – secondo il criterio del “più probabile che non” – l’esistenza del nesso causale tra l’azione o l’omissione dei sanitari e l’evento di danno (aggravamento della patologia esistente o insorgenza di una nuova malattia).

Cassazione civile sez. III, 23/10/2018, n.26700

In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla paziente e dai suoi stretti congiunti, in relazione a un ictus cerebrale che aveva colpito la prima a seguito di un esame angiografico, sul rilievo che era mancata la prova, da parte degli attori, della riconducibilità eziologica della patologia insorta alla condotta dei sanitari, ed anzi la CTU espletata aveva evidenziato l’esistenza di diversi fattori, indipendenti dalla suddetta condotta, che avevano verosimilmente favorito l’evento lesivo).

Cassazione civile sez. III, 13/07/2018, n.18567

In tema di responsabilità sanitaria, il principio della vicinanza della prova, fondato sull’obbligo di regolare e completa tenuta della cartella clinica, le cui carenze e omissioni non possono andare a danno del paziente, non può operare in pregiudizio del medico per la successiva fase di conservazione: dal momento in cui l’obbligo di conservazione si trasferisce sulla struttura sanitaria, l’omessa conservazione è imputabile esclusivamente a essa. La violazione dell’obbligo di conservazione non può riverberarsi direttamente sul medico determinando un’inversione dell’onere probatorio.

Cassazione civile sez. III, 21/06/2018, n.16324

In tema di responsabilità sanitaria la dimostrazione dell’assolvimento dell’obbligo (di avere posto il paziente nelle condizioni) di prestare il consenso informato, che si qualifica quale obbligo contrattuale ex articolo 1218 del codice civile grava sulla struttura ospedaliera. La violazione di tale obbligo ha potenzialmente rilievo a prescindere dall’esito favorevole o meno della prestazione medica, in quanto in grado di incidere sulla capacità di autodeterminazione del paziente. La dimostrazione – invece – di un nesso causale tra la lesione del diritto di autodeterminazione e danno effettivamente subito, spetta al paziente, rientrando tale elemento tra gli oneri in capo all’attore qui dicet.

Cassazione civile sez. III, 31/05/2018, n.13752

In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari.

Cassazione civile sez. III, 29/01/2018, n.2061

La responsabilità per attività medico chirurgica deve essere ricondotta al paradigma di cui all’articolo 1218. Deriva da quanto precede, pertanto, che il paziente creditore (e, per esso i suoi congiunti, in caso di malpractice medica che abbia comportato il decesso del primo) ha il mero onere di provare il contratto (o il contatto sociale) intercorso con la struttura e/o con il sanitario, nonché quello soltanto di allegare il relativo inadempimento o inesatto adempimento, e cioè la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza, non essendo invece tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria, nonché la relativa gravità. Nei giudizi risarcitori, in particolare, si delinea un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile e inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto).

Cassazione civile sez. III, 13/10/2017, n.24073

In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo invece a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.

Cassazione civile sez. III, 26/07/2017, n.18392

In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione assistenziale, l’onere di provare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa imprevedibile, inevitabile e non imputabile alla stessa sorge solo ove il danneggiato abbia provato la sussistenza del nesso causale tra la condotta attiva od omissiva dei sanitari e il danno sofferto.

Cassazione civile sez. III, 06/05/2015, n.8995

In materia di responsabilità contrattuale (nella specie, per attività medico-chirurgica), una volta accertato il nesso causale tra l’inadempimento e il danno lamentato, l’incertezza circa l’eventuale efficacia concausale di un fattore naturale non rende ammissibile, sul piano giuridico, l’operatività di un ragionamento probatorio “semplificato” che conduca ad un frazionamento della responsabilità, con conseguente ridimensionamento del “quantum” risarcitorio secondo criteri equitativi. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice di merito, in relazione al danno celebrale patito da un neonato, aveva posto l’obbligo risarcitorio interamente a carico della struttura sanitaria in cui egli era stato ricoverato immediatamente dopo il parto – avvenuto in altra struttura – e presso la quale aveva contratto un’infezione polmonare, e ciò sebbene le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio non avessero escluso la possibilità che un contributo concausale al pregiudizio lamentato fosse derivato da una patologia sviluppata in occasione della nascita).

Cassazione civile sez. III, 12/09/2013, n.20904

Allorquando la responsabilità medica venga invocata a titolo contrattuale, cioè sul presupposto che fra il paziente ed il medico e/o la struttura sanitaria sia intercorso un rapporto contrattuale (o da “contatto”), la distribuzione, “inter partes”, dell’onere probatorio riguardo al nesso causale deve tenere conto della circostanza che la responsabilità è invocata in forza di un rapporto obbligatorio corrente fra le parti ed è dunque finalizzata a far valere un inadempimento oggettivo. Ne consegue che, per il paziente/danneggiato, l’onere probatorio in ordine alla ricorrenza del nesso di causalità materiale – quando l’impegno curativo sia stato assunto senza particolari limitazioni circa la sua funzionalizzazione a risolvere il problema che egli presentava – si sostanzia nella prova che l’esecuzione della prestazione si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di danno, rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui era stata richiesta la prestazione, o dal suo aggravamento, fino ad esiti finali costituiti dall’insorgenza di una nuova patologia o dal decesso del paziente.

 

Il risarcimento del danno

La qualificazione della responsabilità civile della struttura sanitaria come contrattuale e quella dell’esercente la professione sanitaria come extracontrattuale implica un’importante differenza di disciplina in tema di risarcimento del danno. In particolare, il risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale si commisura sulla base dei soli danni prevedibili al tempo dell’obbligazione, salvo in caso di dolo (sempreché tali danni costituiscano conseguenza diretta e immediata dell’inadempimento contrattuale).

Per il resto, per il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale e per il risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale, valgono le medesime regole civilistiche:

Regole di accertamento del nesso di causalità giuridica

Nell’accertamento della sussistenza della causalità giuridica (tra l’inadempimento contrattuale da parte della struttura sanitaria ed il danno subito dal paziente), la norma civilistica di riferimento è rappresentata dall’art. 1223 c.c., il quale prevede il risarcimento dei soli danni che costituiscano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, ossia gli effetti normali e ordinari del medesimo.

Quanto alla regola su cui si fonda il procedimento di ricostruzione di tale nesso causale, si ricorre anche in questo caso al principio del “più probabile che non”.

 

Tipologie di danno

Il creditore può chiedere il risarcimento del danno di cui il debitore non sia riuscito a fornire la prova della ricorrenza di una causa di giustificazione dell’inadempimento.

Il danno si distingue in danno patrimoniale e danno non patrimoniale, a seconda che l’evento abbia leso interessi economici o diversi da quelli economici.

In particolare, il danno patrimoniale si declina in due componenti:

(i) il danno emergente, consistente nella diminuzione patrimoniale del danneggiato;

(ii) il lucro cessante, ossia il danno futuro consistente nella mancata possibilità del guadagno che il danneggiato avrebbe presumibilmente conseguito.

Il danno non patrimoniale è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi di lesione di valori costituzionalmente protetti della persona. Esso costituisce una categoria ampia, comprensiva di varie figure di danno elaborate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, che si risolvono nella lesione di un interesse inerente alla persona che produca un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica e che superi la soglia minima di tollerabilità (si pensi al danno morale, al danno biologico, al danno esistenziale):

(i) per danno morale, secondo la giurisprudenza, si intende la sofferenza morale, il turbamento dell’anima privo di degenerazione patologica.

(ii) il danno biologico è definito come la lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito (definizione contenuta nell’art. 139 del codice delle assicurazioni private).

(iii) il danno esistenziale è definibile come il danno alla vita di relazione, in ragione dell’alterazione o del peggioramento della qualità della vita, determinato dalla necessità di modificare abitudini e stile di vita.

Nell’ambito della responsabilità medica, inoltre, si segnalano altri due tipi di danno, ad esso specificamente attinenti, quali il danno differenziale ed il danno da perdita di chance:

(i) si parla di danno differenziale quando il danno subito da un paziente in conseguenza di un errore clinico del medico nell’esecuzione di un trattamento vada ad incidere su una situazione già in parte compromessa dalla patologia per la quale il paziente era in cura;

(ii) il danno da perdita di chance rappresenta il danno derivante dalla perdita di una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato risultato utile.

Quantificazione del danno

I danni prodotti devono essere riparati integralmente ed il risarcimento può assumere due forme, a scelta del creditore:

(i) risarcimento per equivalente: dazione al danneggiato di una somma di denaro commisurata al danno subito;

(ii)  risarcimento in forma specifica: eliminazione diretta del pregiudizio provocato, qualora ciò sia in tutto o in parte possibile e non risulti eccessivamente onerosa per il debitore.

Per quanto concerne il risarcimento per equivalente, l’art. 1226 c.c. stabilisce che nel caso in cui il danno non sia determinato nel suo ammontare, il giudice possa procedere alla liquidazione del danno con valutazione equitativa.

A tal fine, può farsi ricorso a criteri puri e a criteri predeterminati e standardizzati, tra i quali rientrano le cd. tabelle di liquidazione del danno elaborate a livello territoriale. Tra queste, le tabelle redatte dal Tribunale di Milano sono considerate dalla Corte di Cassazione quelle statisticamente più testate e idonee ad essere assunte come criterio generale per la valutazione equitativa.

Residua comunque in capo al giudice il potere discrezionale di discostarsi dal risultato cui si perverrebbe applicando automaticamente le tabelle, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato ed entro limiti prestabiliti.

L’art. 7 della legge Gelli Bianco è intervenuta in tema di determinazione del risarcimento del danno, stabilendo, al comma 4, che “Il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo”.

Come già precisato sopra, secondo quanto stabilito dalla Suprema Corte nelle celebri sentenze di “San Martino” rese nel 2019 in funzione nomofilattica in materia di responsabilità civile medica,  le norme sostanziali della legge Gelli Bianco, al pari dei quelle della precedente legge Balduzzi, non sono applicabili retroattivamente, con l’eccezione delle disposizioni relative alla liquidazione del danno sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138, 139 del codice delle assicurazioni private (cfr. Cass. civ. Sez. III, 11/11/2019, n.28990; Cass. civ. Sez. III, 11/11/2019, n.28994).

Il Codice delle assicurazioni, nel dettare le regole per il calcolo del risarcimento del danno derivante da incidenti stradali, suddivide le lesioni in base alla gravità:

(i) l’art. 138 si riferisce alle lesioni di non lieve entità (o macropermanenti), ossia quelle che comportano una menomazione dell’integrità psico-fisica compresa tra 10 e 100 punti. Quanto al relativo criterio di liquidazione del danno, il comma 1 dell’art.138 prevede l’istituzione di una tabella unica per tutto il territorio nazionale. Attualmente continua a farsi riferimento alla tabella del Tribunale di Milano, in ragione della mancata attuazione dell’art. 138 D.lgs. 209/2005.

(ii) l’art. 139 si riferisce alle lesioni di lieve entità (o micropermanenti), ossia quelle lesioni meno gravi che hanno un punteggio che va da 1 a 9 punti percentuali. Se si tratta di lesioni micropermanenti derivanti da un evento diverso dal sinistro stradale, il calcolo del risarcimento del danno viene fatto prendendo come riferimento le tabelle di Milano (le stesse utilizzate anche per le lesioni macropermanenti).

Quanto alla determinazione del danno differenziale, per far sì che il professionista sanitario risponda solo dell’aggravamento causato dalla sua condotta, anziché della complessiva situazione di menomazione del paziente, è previsto che il medico legale incaricato compia una doppia valutazione:

(i) l’accertamento dell’effettivo grado di invalidità permanente di cui la vittima sia complessivamente portatrice a seguito dell’evento lesivo (attraverso la sommatoria di tutti i postumi concretamente riscontrabili nel soggetto, indipendentemente dalla relativa causa);

(ii) l’accertamento astratto e ipotetico del grado di invalidità permanente di cui la vittima era portatrice prima dell’evento lesivo.

Una volta determinati il grado di invalidità effettivo subito dalla vittima e quello ipotetico laddove l’evento non si fosse verificato, il calcolo per determinare il quantum debeatur consiste nella differenza tra il valore monetario del grado di invalidità permanente di cui la vittima era già portatrice prima dell’evento lesivo ed il grado di invalidità permanente complessivamente residuato dall’evento.

Ai fini del risarcimento del danno da perdita di chance, è necessario che la perdita di chance presenti un’elevata probabilità di avveramento, da rilevare attraverso la valutazione di elementi precisi ed oggettivi e che il danno attenga ad un pregiudizio concreto, accertato sul piano causale secondo il consueto giudizio di accertamento del nesso di causalità tra l’evento lesivo e le conseguenze dannose.

RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28989

La circostanza che, in linea generale, non sia consentito attribuire, allo stesso soggetto, una somma a titolo di danno morale soggettivo e un ulteriore risarcimento da perdita del rapporto parentale, non esclude la netta distinzione tra il danno da perdita, o lesione del rapporto parentale e l’eventuale danno biologico che detta perdita o lesione abbiano ulteriormente cagionato al danneggiato, atteso che la morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti, oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e proprio, in presenza di una effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca, l’uno e l’altro dovendo essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale, ma nondimeno suscettibili – in virtù del principio della onnicomprensività della liquidazione unitaria.

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28986

L’accertamento del danno alla salute, in presenza di postumi permanenti anteriori all’infortunio, i quali siano in rapporto di concorrenza con i danni permanenti causati da questo ultimo, richiede al medico legale di valutare innanzitutto il grado di invalidità permanente obiettivo e complessivo presentato dalla vittima, senza alcuna variazione in aumento o in diminuzione in misura standard suggerita dal baréme medico legali, e senza applicazione di alcuna formula proporzionale. Chiede al medico legale, poi, di quantificare in punti percentuali il grado di invalidità permanente della vittima prima dell’infortunio, e fornire al giudice queste due indicazioni.

 

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28988       

In presenza di un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico e la attribuzione di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale). In presenza di un danno permanente alla salute – infatti – la misura standard del risarcimento previsto dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema cosiddetto “del punto variabile”) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale e affatto peculiari. Le conseguenze dannose – in particolare – da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28993

Sul piano funzionale chance patrimoniale e chance non patrimoniale partecipano della stessa natura. La diversità morfologica tra chance patrimoniale e chance non patrimoniale da responsabilità sanitaria, va individuata nella diversità della situazione preesistente: preesistenza negativa (chance non patrimoniale); preesistenza positiva (chance patrimoniale). Tale preesistenza postula, nella chance patrimoniale, una situazione positiva (titoli professionalità, curricula, esperienze pregresse, attitudini specifiche ecc.), in quella non patrimoniale, una situazione di salute (già) patologica (i.e. negativa). Entrambe le forme di chance presuppongono: a) una condotta colpevole dell’agente; b) un evento di danno (la lesione di un diritto); c) un nesso di causalità tra la condotta e l’evento; d) una o più conseguenze dannose risarcibili, patrimoniali e non; e) un nesso di causalità tra l’evento e le conseguenze dannose. (Nella specie, ha osservato la Suprema corte, il giudice a quo, nel rigettare la domanda di danni ha concluso che la possibilità della parte di sopravvivere alla situazione ingravescente, anche se fosse stata curata con assistenza e specialisti diversi e differenti apparecchiature, tenute pure conto delle sue condizioni generali assolutamente scadute ben prima che si verificarsi i ritardi terapeutici, e dei rischi del trasferimento presso altra struttura sanitaria con procedura d’urgenza, con concreto pericolo di arresto cardiaco, fosse talmente labile e teorica da non poter essere determinata neppure in termini statistici e scientifici probabilistici e, ancora meno, equitativamente quantificata e tale accertamento si sottrae, in base ai principi sopra esposti, alle critiche formulate).

 

Cassazione civile sez. III, 28/11/2019, n.31072

Le norme di cui agli artt. 32, comma 3-ter e 3-quater, d.l. 24/1/2012 n. 1 (conv. in l. 24 marzo 2012 n. 27) – che escludono il risarcimento per danno biologico permanente se le lesioni di lieve entità cagionate da sinistri stradali (e responsabilità medica e sanitaria) non sono suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo – e 139, comma 2, secondo periodo,cod. ass. (che le ha recepite) vanno interpretate nel senso che l’accertamento del danno alla persona deve avvenire con i criteri medico legali fissati da una secolare tradizione quali l’esame obiettivo (criterio visivo), l’esame clinico e gli esami strumentali che sono fungibili ed alternativi tra loro e non già cumulativi.

Cassazione civile sez. III, 14/11/2019, n.29492

In caso di patologia ingravescente dal possibile esito letale che determini un’invalidità espressa nei gradi percentuali dei “barèmes” medico legali, l’aggravamento delle condizioni del danneggiato costituisce la mera concretizzazione del rischio, già considerato nella scala dei gradi di invalidità, di un’evoluzione peggiorativa eziologicamente riconducibile all’originaria infermità e, perciò, non integra un ulteriore danno biologico risarcibile, a meno che al tempo dell’accertamento il successivo evento dannoso, ancorché riconducibile all’originaria lesione, fosse sconosciuto alla scienza medica e, quindi, non considerato dai “barèmes”. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso il risarcimento – in aggiunta al danno biologico precedentemente accertato e liquidato – del pregiudizio derivante dal peggioramento delle condizioni di salute e, poi, dal decesso di un soggetto affetto da virus HCV contratto a seguito di emotrasfusione, trattandosi di avveramento di un prevedibile rischio di aggravamento della patologia epatica originaria).

 

Cassazione civile sez. III, 14/11/2019, n.29495

Nella liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale – diversamente da quanto statuito per il pregiudizio arrecato all’integrità psico-fisica – le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono concretizzazione paritaria dell’equità su tutto il territorio nazionale; tuttavia, qualora il giudice scelga di applicare i predetti parametri tabellari, la personalizzazione del risarcimento non può discostarsi dalla misura minima ivi prevista senza dar conto nella motivazione di una specifica situazione, diversa da quelle già considerate come fattori determinanti la divergenza tra il minimo e il massimo, che giustifichi la decurtazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, pur avendo identificato nelle tabelle milanesi il parametro equitativo, aveva inspiegabilmente quantificato il risarcimento, spettante al figlio per la perdita della madre, in una misura corrispondente a circa un terzo dell’importo minimo delle tabelle stesse).

Cassazione civile sez. III, 24/09/2019, n.23632

Va escluso il risarcimento del danno parentale allorché non siano allegate e provate circostanze idonee a ritenere che la morte del famigliare abbia comportato la perdita di un effettivo e valido sostegno morale (nella specie, la Corte ha respinto la richiesta di risarcimento avanzata dalla cognata e dai nipoti della vittima).

Cassazione civile sez. III, 30/08/2019, n.21837

In tema di danno non patrimoniale risarcibile in caso di morte causata da un illecito, il danno morale terminale e quello biologico terminale si distinguono, in quanto il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subìto dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l’intensità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo. Dai pregiudizi risarcibili “iure hereditatis” si differenzia radicalmente il danno da perdita del rapporto parentale che spetta “iure proprio” ai congiunti per la lesione della relazione parentale che li legava al defunto e che è risarcibile se sia provata l’effettività e la consistenza di tale relazione, ma non anche il rapporto di convivenza, non assurgendo quest’ultimo a connotato minimo di relativa esistenza. (Nella specie, in applicazione degli enunciati principi, la S.C. ha cassato la sentenza di appello impugnata dai congiunti della vittima, la quale aveva apoditticamente e non ben comprensibilmente affermato che non poteva reputarsi sussistente alcun danno morale in capo ai fratelli del defunto, in assenza di qualsivoglia elemento valutativo “a partire dal dato della convivenza familiare dei medesimi nel periodo compreso tra il manifestarsi della patologia e il decesso”).

Cassazione civile sez. III, 26/07/2019, n.20287

Il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta. In caso di fatto illecito plurioffensivo, ciascun danneggiato – in forza di quanto previsto dagli artt. 2,29,30 e 31 Cost., nonché degli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 1 della cd. “Carta di Nizza” – è titolare di un autonomo diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subito, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell’immediatezza dell’illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamico-relazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana). Ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare.

Cassazione civile sez. III, 25/06/2019, n.16909

La morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e proprio, in presenza di un’effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca, l’uno e l’altro dovendo essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale, ma nondimeno suscettibili – in virtù del principio della “onnicomprensività” della liquidazione – di liquidazione unitaria.

Cassazione civile sez. lav., 21/05/2019, n.13645

In tema di calcolo del danno differenziale, le modifiche dell’art. 10 d.P.R. n. 1124 del 1965, introdotte dalla l. n. 145 del 2018, di natura innovativa e non meramente interpretativa, non si applicano agli infortuni sul lavoro verificatisi ed alle malattie professionali denunciate prima del 1° gennaio 2019.

Cassazione civile sez. III, 31/01/2019, n.2762

In tema di responsabilità medica, nel valorizzare, sul piano risarcitorio, attraverso il riconoscimento di una somma aggiuntiva rispetto alla liquidazione secondo i massimi tabellari il fatto che il paziente è destinato a convivere con il timore di una recidiva di un’infezione, che avrebbe, ove si verificasse, elevate probabilità di determinarne il decesso, la Corte territoriale ha fatto buon governo del principio per cui, in presenza d’un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale (ancorché trovino nella menomazione dell’integrità psico-fisica di un soggetto il loro antecedente causale) e rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione), suscettibili di una differente ed autonoma valutazione (come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 cod. ass., alla lett. e).

Cassazione civile sez. III, 31/01/2019, n.2788

In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, ai fini della c.d. “personalizzazione” del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze “ordinarie” inerenti ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente subirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione, in coerenza con le risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale in quanto caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento.

Cassazione civile sez. III, 22/01/2019, n.1553

Le tabelle milanesi di liquidazione del danno non patrimoniale si sostanziano in regole integratrici del concetto di equità, atte quindi a circoscrivere la discrezionalità dell’organo giudicante, sicchè costituiscono un criterio guida e non una normativa di diritto.

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, n.1043

Qualora l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione il risarcimento del danno da colpa medica per errore nell’esecuzione di un intervento chirurgico (e, quindi, per la lesione del diritto alla salute), e domandi poi in corso di causa anche il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento, da parte dello stesso medico, a dovere di informazione necessario per ottenere un consenso informato (inerente al diverso diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico), si verifica una mutatio libelli e non una mera emendatio, in quanto nel processo viene introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza.

Cassazione civile sez. III, 04/12/2018, n.31234

Se il paziente lamenta un danno alla salute, questi dovrà allegare e dimostrare che avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato.

Cassazione civile sez. III, 04/12/2018, n.31234

Laddove, in assenza di adeguato consenso informato, sia eseguito secundum leges artis un intervento chirurgico, che il paziente, se edotto, avrebbe rifiutato, la lesione al diritto di autodeterminarsi costituirà oggetto di danno risarcibile tutte le volte in cui il soggetto abbia subìto le inaspettate conseguenze dell’intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse. Se, a fronte del corretto assolvimento degli obblighi informativi a carico del sanitario, il paziente avrebbe comunque assentito all’intervento, il risarcimento del danno all’autodeterminazione è da escludersi, difettando il nesso di causalità materiale tra la condotta del medico e il pregiudizio lamentato.

Cassazione civile sez. III, 30/11/2018, n.30998

Le c.d. linee guida sono solo un parametro di valutazione della condotta del medico, ma ciò non impedisce che una condotta difforme dalle linee guida possa essere ritenuta diligente, se nel caso di specie esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle.

Cassazione civile sez. III, 19/07/2018, n.19204

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, la previsione dell’art. 1218 c.c., mentre esonera il creditore (danneggiato) dell’obbligazione asseritamente non adempiuta dall’onere di provare la colpa del debitore, non lo esonera dal dover dimostrare il nesso di causa intercorrente tra la condotta del debitore e il danno di cui chiede il risarcimento; in mancanza, qualora all’esito dell’istruttoria il predetto nesso causale non risulti provato e la causa del danno lamentato resti incerta, la domanda risarcitoria dovrà essere rigettata.

Cassazione civile sez. III, 19/07/2018, n.19151

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico -fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale (nella specie, la Corte ha riconosciuto il diritto al risarcimento nei confronti di una donna che aveva chiesto più e più volte di effettuare test clinici sul nascituro, risultato poi affetto di sindrome di Down, ma il suo ginecologo si era opposto, sconsigliando ogni pratica invasiva sul feto).

Cassazione civile sez. III, 28/06/2018, n.17018

In materia di danno non patrimoniale, i parametri delle “Tabelle” predisposte dal Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del predetto danno ovvero quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si sia pervenuti. Ne consegue l’incongruità della motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri tratti dalle “Tabelle” di Milano consenta di pervenire. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza della Corte territoriale che aveva ritenuto congruo l’importo liquidato dal giudice di primo grado, a titolo di risarcimento del danno biologico, in forza di una non motivata applicazione di una tabella diversa da quella predisposta dal tribunale di Milano, peraltro con riferimento a parametri non aggiornati alla data della decisione).

Cassazione civile sez. III, 28/06/2018, n.17018

Le tabelle di Milano rappresentano i parametri maggiormente idonei per consentire il rispetto dell’equità valutativa nella liquidazione del risarcimento dei danni subiti. In ragione di ciò nel caso in cui il giudice scelga di preferire tabelle diverse per la quantificazione del danno deve fornire una congrua motivazione per giustificare la sua decisione.

Cassazione civile sez. III, 21/06/2018, n.16336

Il medico potrà essere chiamato a risarcire il danno alla salute laddove il paziente dimostri — anche tramite presunzioni — che, ove compiutamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento terapeutico. Affinché possa essere risarcito anche il danno all’autodeterminazione è necessario dar prova che il pregiudizio abbia varcato la soglia della gravità dell’offesa e, dunque, che il relativo diritto sia stato inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, non essendo predicabile un danno in re ipsa.

Cassazione civile sez. III, 15/05/2018, n.11754

Nella liquidazione del danno non patrimoniale, in difetto di diverse previsioni normative e salvo che ricorrano circostanze affatto peculiari, devono trovare applicazione i parametri tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano successivamente all’esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008, in quanto determinano il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente tenendo conto di tutte le componenti non patrimoniali, compresa quella già qualificata in termini di “danno morale” la quale, nei sistemi tabellari precedenti veniva invece liquidata separatamente, mentre nella versione tabellare successiva all’anno 2011 viene inclusa nel punto base, così da operare non sulla percentuale di invalidità, bensì con aumento equitativo della corrispondente quantificazione. Tuttavia il giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni tabellari, può procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle, dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza di peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (più ricca, e dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari. (Nella specie, in relazione ad un’ipotesi di danno iatrogeno, la S.C. ha ritenuto meritevoli di valorizzazione, ai fini della personalizzazione del danno non patrimoniale, aspetti legati alle dinamiche emotive della vita relazionale ed interiore del soggetto leso, in quanto connotati da obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento).

Cassazione civile sez. III, 15/05/2018, n.11749

La violazione da parte del sanitario dell’obbligo di informare e acquisire il consenso al trattamento terapeutico determina la lesione del diritto fondamentale all’autodeterminazione del paziente, che è autonomamente risarcibile rispetto al danno alla salute e che — rappresentata dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di se stesso — non esige una specifica prova.

Cassazione civile sez. III, 04/05/2018, n.10608

La violazione del dovere del medico di informare preventivamente e chiaramente il paziente può comportare il danno alla salute, oppure il danno al diritto all’autodeterminazione. In particolare, nel caso di omessa informazione circa un intervento, necessario e correttamente eseguito, che non ha causato danno alla salute del paziente, il risarcimento del danno al diritto all’autodeterminazione, in via equitativa, è subordinato alla prova che il paziente abbia subìto le inaspettate conseguenze senza la necessaria consapevolezza; il danno deve superare il limite della normale tollerabilità. La prova del danno potrà essere fondata anche su presunzioni fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione.

Cassazione civile sez. III, 12/04/2018, n.9048

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, nel caso di un neonato invalido a causa di colpa medica, la quantificazione del danno patrimoniale da soppressione della capacità lavorativa patita dal danneggiato deve essere operata escludendo lo scarto temporale tra il momento in cui l’illecito si è verificato (nascita) e il momento in cui il danno inizierà a prodursi (raggiungimento dell’età lavorativa). In applicazione, infatti, dei criteri di liquidazione del danno da perdita della capacità di lavoro, allorquando quest’ultimo sia patito da persona che al momento del fatto non era in età da lavoro, la liquidazione deve avvenire: (i) sommando e rivalutando i redditi figurativi perduti dalla vittima tra il momento in cui ha raggiunto l’età lavorativa, e quello della liquidazione; (ii) capitalizzando i redditi futuri, che la vittima perderà dal momento della liquidazione in poi, in base ad un coefficiente di capitalizzazione corrispondente all’età della vittima al momento della liquidazione; (iii) se la liquidazione dovesse avvenire prima del raggiungimento dell’età lavorativa da parte della vittima, la capitalizzazione dovrà avvenire o in base ad un coefficiente corrispondente all’età della vittima al momento del presumibile ingresso nel mondo del lavoro; oppure in base ad un coefficiente corrispondente all’età della vittima al momento della liquidazione, ma in questo caso previo abbattimento del risultato applicando il coefficiente di minorazione per anticipata capitalizzazione.

Cassazione civile sez. III, 23/03/2018, n.7248

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito “secundum legem artis”, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, potrà conseguire alla allegazione del pregiudizio, la cui prova potrà essere fornita anche mediante presunzioni fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione.

 

Cassazione civile sez. III, 23/03/2018, n.7260

La violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali, determinata dal colpevole ritardo diagnostico di una patologia ad esito certamente infausto, non coincide con la perdita di “chances” connesse allo svolgimento di specifiche scelte di vita non potute compiere, ma con la lesione di un bene di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere l’assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno sulla base di una liquidazione equitativa.

Cassazione civile sez. III, 09/03/2018, n.5641

In caso di perdita di una “chance” a carattere non patrimoniale, il risarcimento non potrà essere proporzionale al “risultato perduto” (nella specie, maggiori “chance” di sopravvivenza di un paziente al quale non era stata diagnosticata tempestivamente una patologia tumorale con esiti certamente mortali), ma andrà commisurato, in via equitativa, alla “possibilità perduta” di realizzarlo (intesa quale evento di danno rappresentato in via diretta ed immediata dalla minore durata della vita e/o dalla peggiore qualità della stessa); tale “possibilità”, per integrare gli estremi del danno risarcibile, deve necessariamente attingere ai parametri della apprezzabilità, serietà e consistenza, rispetto ai quali il valore statistico-percentuale, ove in concreto accertabile, può costituire solo un criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto.

Cassazione civile sez. III, 05/02/2018, n.2675

In tema di responsabilità del medico per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni, che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento della struttura sanitaria all’obbligazione di natura contrattuale gravante sulla stessa, spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l’ordinamento, si incentrano sulla procreazione cosciente e responsabile, considerando che, agli effetti negativi della condotta del medico ed alla responsabilità della struttura ove egli opera non può ritenersi estraneo il padre che deve, perciò, considerarsi tra i soggetti “protetti” e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti, fra cui deve ricomprendersi il pregiudizio patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli. (Nella specie, era stato eseguito in maniera erronea un intervento di raschiamento uterino in seguito ad una non corretta diagnosi di aborto interno, accertata dopo la ventunesima settimana e, quindi, oltre il termine previsto dalla l. n. 194 del 22 maggio 1978, con la conseguenza che la gravidanza era proseguita e si era conclusa con la nascita indesiderata di una bambina). 

Cassazione civile sez. III, 31/01/2018, n.2369

In tema di responsabilità medica, ove l’atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito “secundum legem artis”, non sia stato preceduto dalla preventiva informazione esplicita del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, può essere riconosciuto il risarcimento del danno alla salute per la verificazione di tali conseguenze, solo ove sia allegato e provato, da parte del paziente, anche in via presuntiva, che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e sofferenze). (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, relativamente all’asseverata mancanza di consenso di una paziente rispetto ad un intervento di salpingectomia quale complicanza di un parto cesareo, aveva affermato la responsabilità del medico senza valutare se la paziente, ove adeguatamente informata dell’intervento di sterilizzazione tubarica, avrebbe rifiutato la prestazione).

Cassazione civile sez. III, 31/10/2017, n.25849

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno deve provare gli elementi costitutivi della sua pretesa e tra questi, in particolare, nel caso di specie, la sussistenza dei presupposti di legge dell’interruzione volontaria di gravidanza, vale a dire il “ grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (ex art. 6, lett. b), l. n. 194 del 1978).

Cassazione civile sez. III, 13/10/2017, n.24072

Nel caso in cui l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione il risarcimento del danno da colpa medica per errore nell’esecuzione di un intervento chirurgico (e, quindi, per la lesione del diritto alla salute), e domandi poi in corso di causa anche il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento, da parte dello stesso medico, al dovere di informazione necessario per ottenere un consenso informato (inerente al diverso diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico), si verifica una “mutatio libelli” e non una mera “emendatio”, in quanto nel processo viene introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza.

Cassazione civile sez. III, 05/07/2017, n.16503

Il paziente, che, dispiegando la relativa domanda risarcitoria, invochi l’incompletezza del consenso informato e, quindi, l’inadempimento del correlativo obbligo dei sanitari di rendere le informazioni necessarie per formarlo, allega implicitamente il danno a quella sua libera e consapevole autodeterminazione che, in base a quanto accade normalmente e per riferirsi la lesione ad un diritto personalissimo e relativo alla sfera interna del danneggiato (almeno quanto alla sofferenza ed alla contrazione della libertà di disporre di sé stesso, psichicamente e fisicamente patite dal paziente in ragione dello svolgimento sulla sua persona dell’esecuzione dell’intervento durante la sua esecuzione e nella relativa convalescenza), si ricollega quale conseguenza ineliminabile alla carenza di un quadro informativo completo e ben compreso o spiegato a chi dovrebbe valutarlo come base di una responsabile decisione. Sulla base di nozioni di comune esperienza può dirsi anche provato, essendo stato per implicito allegato attraverso la formulazione di una domanda siffatta, che con il danno-evento dell’esecuzione dell’intervento sanitario, seguito all’incompleta serie di informazioni, si sia prodotta quale danno-conseguenza, quanto meno, la lesione della libertà di autodeterminazione del paziente e la sofferenza ad essa connessa.

Cassazione civile sez. III, 19/05/2017, n.12597

In tema di responsabilità civile, la domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, derivanti da un illecito aquiliano, esprime la volontà di riferirsi ad ogni possibile voce di danno, a differenza di quella che indichi specifiche e determinate voci, sicché, pur quando in citazione non vi sia alcun riferimento, si estende anche al lucro cessante (nella specie, perdita di “chance” lavorativa), la cui richiesta non può, pertanto, considerarsi domanda nuova, come tale inammissibile. L’invocazione del danno da perdita di chance non può, infatti, ritenersi domanda nuova, essendo tale perdita solo una componente dell’unico diritto al risarcimento del danno insorto dall’illecito, e bastando la formulazione con cui nella domanda si chieda il risarcimento di tutti i danni a comprenderlo, altro essendo il problema dell’individuazione e, quindi, dell’allegazione dei fatti costitutivi di questa tipologia di danni, che, evidentemente, possono e debbono essere specificamente allegati nell’atto introduttivo, ma anche, in una situazione di incertezza, emergere dall’espletamento dell’istruzione, specie se avvenuta mediante consulenza tecnica.

Cassazione civile sez. III, 20/04/2017, n.9950

Il danno alla salute, temporaneo o permanente, in assenza di criteri legali va liquidato in base alle c. d. tabelle diffuse dal Tribunale di Milano, salvo che il caso concreto presenti specificità tali – che il giudice ha l’onere di rilevare, accertare ed esporre in motivazione che consiglino od impongano lo scostamento dai valori standard del risarcimento.

Cassazione civile sez. III, 11/04/2017, n.9251

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il nato disabile non ha diritto al risarcimento del danno, né sotto sotto il profilo dell’inserimento del nato in un ambiente familiare non preparato ad accoglierlo, né sotto quello della lesione del c.d. diritto a non nascere se non sani: in entrambi i casi la sofferenza sofferta dal nato non è comparabile con l’unica alternativa ipotizzabile, rappresentata dall’interruzione della gravidanza.

Cassazione civile sez. III, 11/10/2016, n.20381

In tema di risarcimento del danno alla salute, la sopravvenienza di nuove tabelle, tra quelle periodicamente elaborate dal tribunale di Milano per la relativa liquidazione, in un momento successivo alla camera di consiglio per la decisione della causa, non comporta l’obbligo di riconvocazione della stessa, non essendo sostenibile che sussista una fattispecie di “retrocessione” della fase decisoria.

Cassazione civile sez. VI, 30/08/2016, n.17405

Deve essere escluso il risarcimento in favore del paziente, che lamentava l’esecuzione di cure dentarie malamente eseguite, allorchè sia emerso in corso di causa che la causa del danno non era da individuarsi nell’opera del medico, ma nelle condizioni pregresse del paziente, e che il medico aveva correttamente informato il paziente, segnalandogli i possibili rischi dell’intervento.

Cassazione civile sez. III, 03/05/2016, n.8645

Il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto patologie causate da HBV, HCV o HIV per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale, che decorre, a norma degli art. 2935 e 2947 comma 1 c.c., non dal giorno in cui l’evento determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche; al riguardo, in caso di plurime e continuative trasfusioni periodiche (nella specie, essendo il soggetto leso affetto da talassemia) fin da tenerissima età, non integra negligenza la mera, quand’anche continua, frequentazione di ambienti sanitari o medici, né sussiste un onere per il danneggiato (o, nella specie, per i genitori del contagiato minorenne) di rivolgersi a soggetti tecnicamente qualificati, per acquisire idonea consapevolezza anche della rapportabilità causale della malattia alle trasfusioni, dovendo a tal fine il giudice del merito verificare, in base alla storia clinica del leso, se e in quale momento o fase del suo sviluppo siano stati acquisiti od acquisibili elementi specifici sul punto, legati alla sua situazione personale, in base a specifici ulteriori diagnosi od accertamenti clinici cui egli sia stato sottoposto nel corso della sua vita dopo il riscontro dell’avvenuto contagio.

Cassazione civile sez. III, 20/04/2016, n.7768

In materia di danno alla salute, quando in corso di causa (ivi compresa la fase di gravame) sia sopravvenuto il principio giurisprudenziale – enunciato dalla S.C. con sentenza n. 12408 del 2011 – secondo cui la mancata adozione delle cd. “tabelle” di Milano integra un vizio di violazione di legge, deve ritenersi consentito, a chi agisce per il risarcimento del danno, chiederne l’applicazione, per la prima volta, anche in fase di precisazione delle conclusioni.

Cassazione civile sez. III, 31/03/2016, n.6209

L’imperfetta compilazione della cartella clinica fa presumere la commissione di errori da parte dei sanitari e, pertanto, legittima il risarcimento del danno nei confronti del paziente.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA