La responsabilità civile dell’esercente la professione sanitaria

Il tema della qualificazione della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria come contrattuale ex artt. 1218 e ss. c.c., ovvero extracontrattuale (o aquiliana), ex artt. 2043 e ss. c.c., è stato oggetto di contrasti giurisprudenziali, infine risolti dalla riforma Gelli Bianco (legge 24/2017), che ha chiarito definitivamente il profilo del tipo di responsabilità ascrivile ai singoli soggetti.

La necessità di qualificare in maniera espressa la responsabilità civile come contrattuale o extracontrattuale risulta ancor più stringente per quanto concerne l’ambito sanitario, in quanto il rapporto medico-paziente rientra nei cd. rapporti contrattuali di fatto, di più difficile inquadramento giuridico.

Il rapporto tra il medico operante all’interno di una struttura sanitaria ed il paziente, invero, si atteggia come contrattuale senza che, però, tra le parti vi sia un contratto vero e proprio (essendo il contratto di spedalità stipulato solo tra paziente ed ospedale).

Orientamenti giurisprudenziali e riforme Balduzzi e Gelli Bianco

In sintesi, prima e fino al 2017 si registravano due opposti orientamenti giurisprudenziali.

Secondo quello maggioritario, la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria si qualificava come contrattuale, in virtù della teoria del “contatto sociale qualificato”, in base alla quale l’operatore sanitario risultava titolare di un obbligo di protezione della salute del paziente, obbligo che trovava fondamento non già in un contratto, bensì nel cd. contatto sociale qualificato, ossia un altro tipo di rapporto che legava il medico ed il paziente ed in base al quale il primo risultava obbligato non già semplicemente a non danneggiare l’altro (in virtù del principio generale e valevole per tutti del neminem laedere), bensì a tutelare la salute del paziente e ad impiegare tutti i mezzi disponibili per assicurargli la guarigione.

Con l’entrata in vigore della legge Balduzzi ( Legge 189/2012) , il predetto contrasto non risulta sopito.

Ai sensi dell’art. 3 “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile”. Tale disposizione ha invero alimentato i dubbi interpretativi in merito al tipo di responsabilità ascrivibile in capo all’operatore sanitario. Se sul versante penale è infatti pacifico che la norma abbia importato una depenalizzazione in particolari casi chiariti dalla legge autorevilmente interpretata con la sentenza Sezioni Unite Penali n. 8770/2017  il richiamo della norma all’art. 2043 c.c. dà adito a due diverse interpretazioni: secondo la prima, l’intenzione del legislatore è stata quella di qualificare la responsabilità del professionista come extracontrattuale; secondo l’orientamento maggioritario, invece, il richiamo all’art 2043 c.c. mira semplicemente a chiarire che l’esclusione della responsabilità penale in caso di colpa lieve non vale ad elidere contestualmente anche la responsabilità civile e la necessità di risarcire il danno, con la conseguenza che la responsabilità civile del professionista sanitario rimarrebbe qualificabile come contrattuale.

Sulla materia è intervenuta in maniera definitiva la legge Gelli Bianco (Legge 24/2017), la quale qualifica la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria come extracontrattuale ex artt. 2043 c.c. e ss. e quella della struttura sanitaria come contrattuale ex art. 1218 c.c. e ss.

In particolare, l’art. 7 della legge Gelli Bianco chiarisce che:

(i) l’esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 c.c., salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente;

(ii) la struttura sanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 c.c., delle loro condotte dolose o colpose.

Si segnala, a tal proposito, che le norme sostanziali della legge Gelli Bianco, al pari dei quelle della precedente legge Balduzzi, non sono applicabili retroattivamente (con l’eccezione delle disposizioni relative alla liquidazione del danno sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138, 139 del codice delle assicurazioni private), dunque non possono applicarsi a fatti avvenuti in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge, per i quali continuerà a farsi riferimento alla legge vigente all’epoca dei fatti.

Ciò è quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, nelle celebri sentenze di “San Martino” (un decalogo di sentenze emesse nel 2019 dalla III Sezione civile in funzione nomofilattica in materia di responsabilità civile medica), in particolare: Cass. civ. Sez. III, 11/11/2019, n.28990; Cass. civ. Sez. III, 11/11/2019, n.28994.

Differenze di disciplina

Ciò chiarito, le conseguenze derivanti dall’esplicita qualificazione della responsabilità civile del professionista sanitario come extracontrattuale comporta delle differenze di disciplina rispetto alla responsabilità contrattuale della struttura sanitaria.

Tali differenze incidono su tre profili:

(i) la prescrizione della domanda di risarcimento del danno;

(ii) la ripartizione dell’onere della prova del nesso causale;

(iii) la determinazione dei danni risarcibili.

La scelta operata dalla legge Gelli Bianco di qualificare espressamente come aquiliana la responsabilità civile dell’esercente sanitario risponde all’esigenza di intervenire in senso più favorevole all’operatore sanitario, rendendo maggiormente onerosa l’attività di allegazione e di prova del danneggiato, il quale, in ogni caso, può pur sempre agire nei confronti della struttura sanitaria.

La disciplina della responsabilità extracontrattuale

La prescrizione

La qualificazione della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria come extracontrattuale implica che il termine prescrizionale del diritto al risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale sia quello breve, pari a 5 anni.

Il dies a quo per la decorrenza della prescrizione si individua nel momento in cui la condotta illecita ed il conseguente danno si manifestano all’esterno, divenendo oggettivamente percepibili e riconoscibili.

(i) in caso di illecito istantaneo, la prescrizione decorre dal momento in cui è oggettivamente percepibile la prima manifestazione del danno;

(ii) in caso di illecito permanente, la prescrizione decorre ogni giorno successivo a quello in cui il danno si manifesta;

(iii) nel caso in cui l’illecito costituisca anche reato per il quale sia previsto un termine prescrizionale più lungo, questo si applica anche all’azione civile.

L’onere della prova del nesso causale:

Al soggetto danneggiato spetta provare un doppio nesso di causalità:

(i) il nesso di causalità materiale, ossia la relazione causalistica tra la prestazione medica e l’evento dannoso (l’insorgenza di una patologia o l’aggravamento delle condizioni del paziente);

(ii) il nesso di causalità giuridica, ossia la relazione tra il danno lesivo ed il danno patrimoniale e/o non patrimoniale subito dal paziente.

Tale distinzione sul piano del nesso causale trova fondamento nella distinzione tra i concetti di:

(i) danno-evento: la lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento (nell’ambito della responsabilità medica, la lesione del diritto alla salute e all’integrità fisica)

(ii) danno-conseguenza: il pregiudizio concretamente sofferto dal paziente in conseguenza del verificarsi del danno-evento e l’oggetto del risarcimento del danneggiato.

La qualificazione della responsabilità civile dell’esercente la professione sanitaria come extracontrattuale importa l’applicazione delle regole di riparto dell’onere probatorio del nesso causale previste dalla disciplina della responsabilità extracontrattuale.

In particolare, in capo al paziente-danneggiato grava l’onere di provare:

(i) la sussistenza dell’illecito extracontrattuale;

(ii) il dolo o la colpa dell’operatore sanitario;

(iii) l’esistenza del danno di cui chiede il risarcimento;

(iv) l’esistenza del nesso causale tra il danno subìto e l’illecito extracontrattuale.

Regole di accertamento del nesso di causalità materiale

In mancanza di una specifica definizione legislativa valevole in ambito civilistico, la verifica della sussistenza della causalità materiale (tra la condotta del professionista sanitario e la lesione dell’interesse del paziente), è regolata dai principi penalistici di cui agli artt. 40, 41 c.p.

Sul piano delle regola su cui si fonda il procedimento logico-giuridico di ricostruzione del nesso di causalità, tuttavia, in ambito civilistico ci si discosta dai principi penalistici.

Invero, nel settore della responsabilità civilistica si ricorre alla regola di giudizio del “più probabile che non” (o regola della “preponderanza dell’evidenza”); laddove nell’ambito del giudizio controfattuale volto ad accertare la penale responsabilità dell’operatore sanitario, vige il principio della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio (distinzione rispondente alle diverse finalità ed esigenze che connotano i settori civile e penale, legate ai rispettivi diversi interessi in gioco).

RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28991       

Ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione.

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28992

In tema di responsabilità sanitaria incombe sul paziente creditore di provare la esistenza del nesso di causalità tra l’inadempimento e il pregiudizio alla salute, altrimenti si espunge dalla fattispecie costitutiva del diritto l’elemento della causalità materiale. Al riguardo, infatti, va osservato che la causalità relativa tanto all’evento pregiudizievole, quanto al danno consequenziale è comune a ogni fattispecie di responsabilità, contrattuale e extracontrattuale, quale portato della distinzione tra causalità e imputazione. La causalità attiene al collegamento naturalistico tra fatti accertati sulla base delle cognizioni scientifiche del tempo ovvero su basi logico-inferenziali. Essa attiene alla relazione probabilistica (svincolata da ogni riferimento alla prevedibilità soggettiva) tra condotta ed evento di danno (e fra quest’ultimo e le conseguenze risarcibili), da ricostruirsi secondo un criterio di regolarità causale, integrato, se del caso, da quelli dello scopo della norma violata e dell’aumento del rischio tipico, previa analitica descrizione dell’evento, mentre su un piano diverso si colloca la dimensione della imputazione. Questa ultima corrisponde all’effetto giuridico che la norma collega a un determinato comportamento sulla base di un criterio di valore, che è rappresentato della inadempienza nella responsabilità contrattuale e dalla colpa o il dolo in quella aquiliana (salvo i casi di imputazione oggettiva dell’evento, nell’illecito aquiliano). La causalità materiale si iscrive a pieno titolo anche nella dimensione della responsabilità contrattuale trova una testuale conferma nell’articolo 1227, comma 1, del Cc che disciplina proprio il fenomeno della causalità materiale rispetto al danno evento sotto il profilo del concorso del fatto colposo del creditore, mentre il secondo comma attiene alle conseguenze pregiudizievoli del danno evento (cosiddetta “causalità giuridica”). Ogni forma di responsabilità è dunque connotata dalla congiunzione di causalità e imputazione e su questo tronco comune intervengono le peculiarità della responsabilità contrattuale.

 

Cassazione civile sez. VI, 02/09/2019, n.21939

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell’attore, paziente danneggiato, provare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento, onere che va assolto dimostrando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno, con la conseguenza che, se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il suddetto nesso tra condotta ed evento, la domanda dev’essere rigettata (escluso, nella specie, il risarcimento in favore di una donna che aveva contratto l’epatite C in seguito ad un intervento chirurgico, atteso che le altre operazioni subite in passato dalla stessa avevano messo in discussione il nesso causale tra operazione e malattia).

Cassazione civile sez. III, 18/04/2019, n.10812

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, ove si individui in un pregresso stato morboso del paziente/danneggiato (nella specie, deficit da surfactante o sindrome da distress o delle membrane ialine) un antecedente privo di interdipendenza funzionale con l’accertata condotta colposa del sanitario (nella specie, intempestivo intervento di taglio cesareo di fronte a sofferenza fetale acuta), ma dotato di efficacia concausale nella determinazione dell’unica e complessiva situazione patologica riscontrata, allo stesso non può attribuirsi rilievo sul piano della ricostruzione del nesso di causalità tra detta condotta e l’evento dannoso, appartenendo ad una serie causale del tutto autonoma rispetto a quella in cui si inserisce il contegno del sanitario, bensì unicamente sul piano della determinazione equitativa del danno, potendosi così pervenire – sulla base di una valutazione da effettuarsi, in difetto di qualsiasi automatismo riduttivo, con ragionevole e prudente apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto – solamente ad una delimitazione del “quantum” del risarcimento.

Cassazione civile sez. III, 27/03/2019, n.8461

In tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano — ad una valutazione « ex ante » — del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell’accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del « più probabile che non », mentre nel processo penale vige la regola della prova « oltre il ragionevole dubbio ».

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, n.1043

In tema di responsabilità di una casa di cura, l’acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico e si pone come strumentale rispetto a questa, sicché anche per essa la struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218 c.c., ove tali danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 c.c., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l’ospedale si avvale, e ciò anche quando l’operatore non sia un suo dipendente.

Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, n.29853

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell’attore, paziente danneggiato, dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui si chiede il risarcimento; tale onere va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno; se al termine dell’istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata.

Cassazione civile sez. III, 21/08/2018, n.20829

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, ove si individui in un pregresso stato morboso del paziente/danneggiato (nella specie, leucomalacia periventricolare – danno alla sostanza bianca presente nel cervello-) un antecedente privo di interdipendenza funzionale con l’accertata condotta colposa del sanitario (nella specie, intempestivo intervento di taglio cesareo di fronte a sofferenza fetale acuta), ma dotato di efficacia concausale nella determinazione dell’unica e complessiva situazione patologica riscontrata, allo stesso non può attribuirsi rilievo sul piano della ricostruzione del nesso di causalità tra detta condotta e l’evento dannoso, appartenendo ad una serie causale del tutto autonoma rispetto a quella in cui si inserisce il contegno del sanitario, bensì unicamente sul piano della determinazione equitativa del danno, potendosi così pervenire – sulla base di una valutazione da effettuarsi, in difetto di qualsiasi automatismo riduttivo, con ragionevole e prudente apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto – solamente ad una delimitazione del “quantum” del risarcimento.

Cassazione civile sez. III, 21/08/2018, n.20836

In tema di responsabilità civile (nella specie: contrattuale ed extracontrattuale da attività medico-sanitaria), laddove il danneggiato, prima dell’evento, versi in pregresso stato di vulnerabilità (o di mera predisposizione) ma l’evidenza probatoria del processo, sotto il profilo eziologico, non consente di dimostrare con certezza che, a prescindere dal comportamento imputabile al danneggiante, detto stato si sarebbe comunque evoluto, anche in assenza dell’evento di danno, in senso patologico-invalidante, il giudice in sede di quantificazione del danno non deve procedere ad alcuna diminuzione del “quantum debeatur”, posto che, diversamente, darebbe applicazione all’intollerabile principio secondo cui persone che, per loro disgrazia (e non già per colpa imputabile ex art. 1227 c.c. o per fatto addebitabile a terzi), siano più vulnerabili di altre, dovrebbero irragionevolmente appagarsi di una tutela risarcitoria minore rispetto agli altri consociati affetti da cosiddetta “normalità”. (Fattispecie in cui, a fronte di riconosciuto nesso causale tra la condotta dei sanitari e della AUSL, per errata diagnosi, ed il pregiudizio psichico subito, “iure proprio” e quali eredi, dai familiari della paziente, poi deceduta, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che ha quantificato il danno psichico dei congiunti senza considerare i loro presunti processi patologici pregressi, in ipotesi originati da fattori diversi dalla reazione alla malattia della defunta).

Cassazione civile sez. III, 19/07/2018, n.19199

In materia di responsabilità sanitaria, l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se nel primo caso l’omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo l’incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell’atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall’opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l’allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell’onere della prova – che, in applicazione del criterio generale di cui all’art. 2697 c.c., grava sul danneggiato – del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito con la quale era stata respinta la domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale sul presupposto che non solo gli attori non avevano allegato il presunto dissenso del congiunto, ma dalle risultanze istruttorie erano emersi elementi, come l’assenza di soluzioni terapeutiche alternative e il fatto che in precedenza il paziente si era sottoposto ad interventi analoghi, che deponevano per la presunzione di consenso al trattamento sanitario).

Cassazione civile sez. III, 19/07/2018, n.19204

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, secondo l’orientamento consolidatosi in sede di legittimità, compete al paziente che si assuma danneggiato dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno del quale chiede il risarcimento. Ne consegue che se al termine dell’istruttoria non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta incerta, la domanda deve essere rigettata.

Cassazione civile sez. III, 21/06/2018, n.16324

In tema di responsabilità sanitaria la dimostrazione dell’assolvimento dell’obbligo (di avere posto il paziente nelle condizioni) di prestare il consenso informato, che si qualifica quale obbligo contrattuale ex articolo 1218 del codice civile grava sulla struttura ospedaliera. La violazione di tale obbligo ha potenzialmente rilievo a prescindere dall’esito favorevole o meno della prestazione medica, in quanto in grado di incidere sulla capacità di autodeterminazione del paziente. La dimostrazione – invece – di un nesso causale tra la lesione del diritto di autodeterminazione e danno effettivamente subito, spetta al paziente, rientrando tale elemento tra gli oneri in capo all’attore qui dicet.

Cassazione civile sez. III, 02/03/2018, n.4928

Il nesso eziologico tra condotta sanitaria ed evento dannoso viene a costituire onere della prova a carico del danneggiato, nel senso che questi è tenuto a prospettare detta relazione causale alla stregua di criteri rispondenti a leggi scientifiche o fondati su presunzioni logiche e dunque astrattamente idonei a fondare l’accertamento della causalità materiale ex articoli 40 e 41 del Cp, in quanto in concreto l’assunto dimostrativo dovrà essere verificato in giudizio alla stregua degli elementi istruttori acquisiti. Se la verifica avrà avuto esito positivo insorgerà allora l’onere della prova del medico convenuto, diretto a contestare il proprio inadempimento colpevole o a dimostrare la riferibilità esclusiva del danno all’esistenza di una causa determinante estranea alla sfera di controllo del medico.

Cassazione civile sez. III, 15/02/2018, n.3704

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata.

Cassazione civile sez. III, 29/01/2018, n.2061

La responsabilità per attività medico chirurgica deve essere ricondotta al paradigma di cui all’articolo 1218. Deriva da quanto precede, pertanto, che il paziente creditore (e, per esso i suoi congiunti, in caso di malpractice medica che abbia comportato il decesso del primo) ha il mero onere di provare il contratto (o il contatto sociale) intercorso con la struttura e/o con il sanitario, nonché quello soltanto di allegare il relativo inadempimento o inesatto adempimento, e cioè la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza, non essendo invece tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria, nonché la relativa gravità. Nei giudizi risarcitori, in particolare, si delinea un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile e inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto).

Cassazione civile sez. III, 07/12/2017, n.29315

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata.(Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che, tenendo conto delle risultanze della c.t.u. e degli esiti peritali del procedimento penale, aveva concluso nel senso della sussistenza di un’insuperabile incertezza sul nesso di causalità).

Cassazione civile sez. III, 14/11/2017, n.26824

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica compete all’attore, paziente danneggiato, dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento, con onere il quale va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno, per cui se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (la corte ha confermato la sentenza che aveva respinto per mancanza di nesso la domanda risarcitoria proposta dai genitori perché il figlio minore, nato prematuro, era affetto da una retinopatia all’occhio destro, in astratto e in alternativa riconducibile a tre fattori, di cui solo il terzo imputabile a responsabilità dei medici o della struttura, mentre gli altri erano preesistenti alla nascita e risultavano, ciascuno, più probabilmente che non, essere la causa della patologia).

Cassazione civile sez. III, 09/11/2017, n.26517

Nella valutazione della sussistenza di un nesso di causa tra la condotta ascritta al medico e la morte del paziente, l’eventuale concorso anche maggioritario di altri successivamente intervenuti, non potrebbe comportare alcuna riduzione dell’obbligo risarcitoriosanitari, in capo al primo, in puntuale applicazione dell’articolo 2055 c.c. Stabilire se determinati sintomi siano stati correttamente e tempestivamente interpretati dal medico, per come già si manifestavano al momento in cui il paziente si sottopose a visita, involge la valutazione della diligenza della condotta sanitaria che, a sua volta, attiene al giudizio di accertamento della colpa. Rispetto a questa, in applicazione dei principi generali sul riparto dei carichi probatori, è onere del danneggiante dimostrare la propria assenza di colpa.

Cassazione civile sez. III, 13/10/2017, n.24074

Nelle prestazioni medico-chirurgiche routinarie, grava sul professionista l’onere di provare che le complicanze sono state causate da un evento imprevisto ed imprevedibile, secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenza tecnico scientifiche del momento, per superare la presunzione contraria che dette complicanze sono ascrivibili ad una sua responsabilità. In ragione di ciò, non è sufficiente che venga accertata la sussistenza di “complicanze intraoperatorie” ma, per poter escludere la responsabilità del medico, il giudice è tenuto ad accertare che le stesse siano imprevedibili ed inevitabili, che non vi sia un nesso causale tra la metodologia di intervento impiegata dal sanitario e l’insorgenza delle complicanze, oltre che l’adeguatezza dei rimedi tecnici adoperati per far fronte alle complicanze medesime.

Cassazione civile sez. III, 13/10/2017, n.24073

In tema di responsabilità medica, il giudice, verificata l’omissione di una condotta prescritta dal protocollo operatorio chirurgico, può ritenere la sussistenza della relazione eziologica in base a un criterio di prevedibilità oggettiva (desumibile da regole statistiche o leggi scientifiche), verificando se il comportamento omesso era o meno idoneo ad impedire l’evento dannoso.

Cassazione civile sez. III, 26/07/2017, n.18392

Ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, è onere del danneggiato provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o insorgenza di nuove patologia per effetto dell’intervento) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre è onere della parte debitrice provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione (fattispecie relativa alla controversia promossa da una donna al fine di veder riconosciuto il risarcimento del danno per la morte del marito avvenuta nel corso di un intervento chirurgico).

Cassazione civile sez. III, 08/11/2016, n.22639

È fondamentale, da parte del medico, la corretta tenuta della cartella clinica, in modo completo e non lacunoso, al fine di evitare la presunzione del nesso causale in suo sfavore, in un eventuale giudizio promosso dal paziente nei suoi confronti e teso a ottenere il risarcimento del danno dallo stesso lamentato. Non è inoltre possibile modificare, ex post, il contenuto della cartella clinica senza commettere il reato di falso materiale in atto pubblico.

Cassazione civile sez. III, 09/06/2016, n.11789

L’affermazione della responsabilità del medico per i danni celebrali da ipossia patiti da un neonato, ed asseritamente causati dalla ritardata esecuzione del parto, esige la prova – che deve essere fornita dal danneggiato – della sussistenza di un valido nesso causale tra l’omissione dei sanitari ed il danno, prova da ritenere sussistente quando, da un lato, non vi sia certezza che il danno cerebrale patito dal neonato sia derivato da cause naturali o genetiche e, dall’altro, appaia più probabile che non che un tempestivo o diverso intervento da parte del medico avrebbe evitato il danno al neonato; una volta fornita tale prova in merito al nesso di causalità, è onere del medico, ai sensi dell’art. 1218 c.c., dimostrare la scusabilità della propria condotta.

 

Il risarcimento del danno

Per il sorgere della responsabilità occorre che si sia prodotto un danno risarcibile come conseguenza dell’illecito extracontrattuale. Il danno oggetto dell’obbligazione risarcitoria extracontrattuale è quindi esclusivamente il danno-conseguenza del fatto illecito (se sussiste solo l’evento lesivo, ma non vi è un danno-conseguenza, non sorge l’obbligazione risarcitoria).

La qualificazione della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria come aquiliana, implica che  il risarcimento debba ricomprendere sia i danni prevedibili, sia quelli non prevedibili, purché essi costituiscano conseguenza diretta e immediata dell’illecito extracontrattuale.

Regole di accertamento del nesso di causalità giuridica

Nell’accertamento della sussistenza della causalità giuridica (tra la lesione dell’interesse del paziente ed il danno risarcibile), la norma civilistica di riferimento è rappresentata dall’art. 1223 c.c., il quale prevede il risarcimento dei soli danni che costituiscano conseguenza immediata e diretta dell’illecito, ossia gli effetti normali e ordinari dell’illecito.

Quanto alla regola su cui si fonda il procedimento di ricostruzione di tale nesso causale, si ricorre anche in questo caso al principio del “più probabile che non”.

 

Tipologie di danno

Per danno di intende qualsiasi alterazione negativa della situazione del soggetto rispetto a quella che si sarebbe avuta nel caso in cui l’evento lesivo non si fosse verificato.

Il danno si distingue in danno patrimoniale e danno non patrimoniale, a seconda che l’evento abbia leso interessi economici o diversi da quelli economici.

In particolare, il danno patrimoniale si declina in due componenti:

(i) il danno emergente, consistente nella diminuzione patrimoniale del danneggiato;

(ii) il lucro cessante, ossia il danno futuro consistente nella mancata possibilità del guadagno che il danneggiato avrebbe presumibilmente conseguito.

Il danno non patrimoniale è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi di lesione di valori costituzionalmente protetti della persona. Esso costituisce una categoria ampia, comprensiva di varie figure di danno elaborate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, che si risolvono nella lesione di un interesse inerente alla persona che produca un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica e che superi la soglia minima di tollerabilità (si pensi al danno morale, al danno biologico, al danno esistenziale):

(i) per danno morale, secondo la giurisprudenza, si intende la sofferenza morale, il turbamento dell’anima privo di degenerazione patologica.

(ii) il danno biologico è definito come la lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito (definizione contenuta nell’art. 139 del codice delle assicurazioni private).

(iii) il danno esistenziale è definibile come il danno alla vita di relazione, in ragione dell’alterazione o del peggioramento della qualità della vita, determinato dalla necessità di modificare abitudini e stile di vita.

Nell’ambito della responsabilità medica, inoltre, si segnalano altri due tipi di danno, ad esso specificamente attinenti, quali il danno differenziale ed il danno da perdita di chance:

(i) si parla di danno differenziale quando il danno subito da un paziente in conseguenza di un errore clinico del medico nell’esecuzione di un trattamento vada ad incidere su una situazione già in parte compromessa dalla patologia per la quale il paziente era in cura;

(ii) il danno da perdita di chance rappresenta il danno derivante dalla perdita di una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato risultato utile.

Quantificazione del danno

I danni prodotti devono essere riparati integralmente ed il risarcimento può assumere due forme, a scelta del danneggiato:

(i) risarcimento per equivalente: dazione al danneggiato di una somma di denaro commisurata al danno subito;

(ii)  risarcimento in forma specifica: eliminazione diretta del pregiudizio provocato, qualora ciò sia in tutto o in parte possibile e non risulti eccessivamente onerosa per il debitore.

Per quanto concerne il risarcimento per equivalente, l’art. 1226 c.c. stabilisce che nel caso in cui il danno non sia determinato nel suo ammontare, il giudice possa procedere alla liquidazione del danno con valutazione equitativa.

A tal fine, può farsi ricorso a criteri puri, nonché a criteri predeterminati e standardizzati, tra i quali rientrano le cd. tabelle di liquidazione del danno elaborate a livello territoriale.

Tra queste, le tabelle redatte dal Tribunale di Milano sono considerate dalla Corte di Cassazione quelle statisticamente più testate e idonee ad essere assunte come criterio generale per la valutazione equitativa.

Residua comunque in capo al giudice il potere discrezionale di discostarsi dal risultato cui si perverrebbe applicando automaticamente le tabelle, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato ed entro limiti prestabiliti.

L’art. 7 della legge Gelli Bianco è intervenuta in tema di determinazione del risarcimento del danno, stabilendo, al comma 4, che “Il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo”.

Come già precisato sopra, secondo quanto stabilito dalla Suprema Corte nelle celebri sentenze di “San Martino” rese nel 2019, in funzione nomofilattica in materia di responsabilità civile medica,  le norme sostanziali della legge Gelli Bianco, al pari dei quelle della precedente legge Balduzzi, non sono applicabili retroattivamente, con l’eccezione delle disposizioni relative alla liquidazione del danno sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138, 139 del codice delle assicurazioni private (cfr. Cass. civ. Sez. III, 11/11/2019, n.28990; Cass. civ. Sez. III, 11/11/2019, n.28994).

Il Codice delle assicurazioni, nel dettare le regole per il calcolo del risarcimento del danno derivante da incidenti stradali, suddivide le lesioni in base alla gravità:

(i) l’art. 138 si riferisce alle lesioni di non lieve entità (o macropermanenti), ossia quelle che comportano una menomazione dell’integrità psico-fisica compresa tra 10 e 100 punti.

Quanto al relativo criterio di liquidazione del danno, il comma 1 dell’art.138 prevede l’istituzione di una tabella unica per tutto il territorio nazionale.

Attualmente continua a farsi riferimento alla tabella del Tribunale di Milano, in ragione della mancata attuazione dell’art. 138 D.lgs. 209/2005.

(ii) l’art. 139 si riferisce alle lesioni di lieve entità (o micropermanenti), ossia quelle lesioni meno gravi che hanno un punteggio che va da 1 a 9 punti percentuali. Se si tratta di lesioni micropermanenti derivanti da un evento diverso dal sinistro stradale, il calcolo del risarcimento del danno viene fatto prendendo come riferimento le tabelle di Milano (le stesse utilizzate anche per le lesioni macropermanenti).

Per completezza espositiva in merito al testo dell’art. 7 della riforma Gelli Bianco, si segnala che, in base al comma 3 dell’art. 7, con specifico riguardo alla posizione del professionista sanitario, il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, deve tener conto della conformità della condotta dell’operatore sanitario alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali (di cui all’art. 5 della legge Gelli Bianco e all’art. 590 sexies c.p.).

Tale disposizione tuttavia appare lacunosa, poiché non fornisce indicazioni precise sulla misura in cui la condotta conforme alle linee guida possa incidere sulla quantificazione del danno risarcibile.

Quanto alla determinazione del danno differenziale, per far sì che il professionista sanitario risponda solo dell’aggravamento causato dalla sua condotta, anziché della complessiva situazione di menomazione del paziente, è previsto che il medico legale incaricato compia una doppia valutazione:

(i) l’accertamento dell’effettivo grado di invalidità permanente di cui la vittima sia complessivamente portatrice a seguito dell’evento lesivo (attraverso la sommatoria di tutti i postumi concretamente riscontrabili nel soggetto, indipendentemente dalla relativa causa);

(ii) l’accertamento astratto e ipotetico del grado di invalidità permanente di cui la vittima era portatrice prima dell’evento lesivo.

Una volta determinati il grado di invalidità effettivo subito dalla vittima e quello ipotetico laddove l’evento non si fosse verificato, il calcolo per determinare il quantum debeatur consiste nella differenza tra il valore monetario del grado di invalidità permanente di cui la vittima era già portatrice prima dell’evento lesivo ed il grado di invalidità permanente complessivamente residuato dall’evento.

Ai fini del risarcimento del danno da perdita di chance, è necessario che la perdita di chance presenti un’elevata probabilità di avveramento, da rilevare attraverso la valutazione di elementi precisi ed oggettivi e che il danno attenga ad un pregiudizio concreto, accertato sul piano causale secondo il consueto giudizio di accertamento del nesso di causalità tra l’evento lesivo e le conseguenze dannose.

RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28989

La circostanza che, in linea generale, non sia consentito attribuire, allo stesso soggetto, una somma a titolo di danno morale soggettivo e un ulteriore risarcimento da perdita del rapporto parentale, non esclude la netta distinzione tra il danno da perdita, o lesione del rapporto parentale e l’eventuale danno biologico che detta perdita o lesione abbiano ulteriormente cagionato al danneggiato, atteso che la morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti, oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e proprio, in presenza di una effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca, l’uno e l’altro dovendo essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale, ma nondimeno suscettibili – in virtù del principio della onnicomprensività della liquidazione unitaria.

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28986

L’accertamento del danno alla salute, in presenza di postumi permanenti anteriori all’infortunio, i quali siano in rapporto di concorrenza con i danni permanenti causati da questo ultimo, richiede al medico legale di valutare innanzitutto il grado di invalidità permanente obiettivo e complessivo presentato dalla vittima, senza alcuna variazione in aumento o in diminuzione in misura standard suggerita dal baréme medico legali, e senza applicazione di alcuna formula proporzionale. Chiede al medico legale, poi, di quantificare in punti percentuali il grado di invalidità permanente della vittima prima dell’infortunio, e fornire al giudice queste due indicazioni.

 

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28988       

In presenza di un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico e la attribuzione di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale). In presenza di un danno permanente alla salute – infatti – la misura standard del risarcimento previsto dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema cosiddetto “del punto variabile”) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale e affatto peculiari. Le conseguenze dannose – in particolare – da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28993

Sul piano funzionale chance patrimoniale e chance non patrimoniale partecipano della stessa natura. La diversità morfologica tra chance patrimoniale e chance non patrimoniale da responsabilità sanitaria, va individuata nella diversità della situazione preesistente: preesistenza negativa (chance non patrimoniale); preesistenza positiva (chance patrimoniale). Tale preesistenza postula, nella chance patrimoniale, una situazione positiva (titoli professionalità, curricula, esperienze pregresse, attitudini specifiche ecc.), in quella non patrimoniale, una situazione di salute (già) patologica (i.e. negativa). Entrambe le forme di chance presuppongono: a) una condotta colpevole dell’agente; b) un evento di danno (la lesione di un diritto); c) un nesso di causalità tra la condotta e l’evento; d) una o più conseguenze dannose risarcibili, patrimoniali e non; e) un nesso di causalità tra l’evento e le conseguenze dannose. (Nella specie, ha osservato la Suprema corte, il giudice a quo, nel rigettare la domanda di danni ha concluso che la possibilità della parte di sopravvivere alla situazione ingravescente, anche se fosse stata curata con assistenza e specialisti diversi e differenti apparecchiature, tenute pure conto delle sue condizioni generali assolutamente scadute ben prima che si verificarsi i ritardi terapeutici, e dei rischi del trasferimento presso altra struttura sanitaria con procedura d’urgenza, con concreto pericolo di arresto cardiaco, fosse talmente labile e teorica da non poter essere determinata neppure in termini statistici e scientifici probabilistici e, ancora meno, equitativamente quantificata e tale accertamento si sottrae, in base ai principi sopra esposti, alle critiche formulate).

 

Cassazione civile sez. III, 28/11/2019, n.31072

Le norme di cui agli artt. 32, comma 3-ter e 3-quater, d.l. 24/1/2012 n. 1 (conv. in l. 24 marzo 2012 n. 27) – che escludono il risarcimento per danno biologico permanente se le lesioni di lieve entità cagionate da sinistri stradali (e responsabilità medica e sanitaria) non sono suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo – e 139, comma 2, secondo periodo,cod. ass. (che le ha recepite) vanno interpretate nel senso che l’accertamento del danno alla persona deve avvenire con i criteri medico legali fissati da una secolare tradizione quali l’esame obiettivo (criterio visivo), l’esame clinico e gli esami strumentali che sono fungibili ed alternativi tra loro e non già cumulativi.

Cassazione civile sez. III, 14/11/2019, n.29492

In caso di patologia ingravescente dal possibile esito letale che determini un’invalidità espressa nei gradi percentuali dei “barèmes” medico legali, l’aggravamento delle condizioni del danneggiato costituisce la mera concretizzazione del rischio, già considerato nella scala dei gradi di invalidità, di un’evoluzione peggiorativa eziologicamente riconducibile all’originaria infermità e, perciò, non integra un ulteriore danno biologico risarcibile, a meno che al tempo dell’accertamento il successivo evento dannoso, ancorché riconducibile all’originaria lesione, fosse sconosciuto alla scienza medica e, quindi, non considerato dai “barèmes”. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso il risarcimento – in aggiunta al danno biologico precedentemente accertato e liquidato – del pregiudizio derivante dal peggioramento delle condizioni di salute e, poi, dal decesso di un soggetto affetto da virus HCV contratto a seguito di emotrasfusione, trattandosi di avveramento di un prevedibile rischio di aggravamento della patologia epatica originaria).

 

Cassazione civile sez. III, 14/11/2019, n.29495

Nella liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale – diversamente da quanto statuito per il pregiudizio arrecato all’integrità psico-fisica – le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono concretizzazione paritaria dell’equità su tutto il territorio nazionale; tuttavia, qualora il giudice scelga di applicare i predetti parametri tabellari, la personalizzazione del risarcimento non può discostarsi dalla misura minima ivi prevista senza dar conto nella motivazione di una specifica situazione, diversa da quelle già considerate come fattori determinanti la divergenza tra il minimo e il massimo, che giustifichi la decurtazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, pur avendo identificato nelle tabelle milanesi il parametro equitativo, aveva inspiegabilmente quantificato il risarcimento, spettante al figlio per la perdita della madre, in una misura corrispondente a circa un terzo dell’importo minimo delle tabelle stesse).

Cassazione civile sez. III, 24/09/2019, n.23632

Va escluso il risarcimento del danno parentale allorché non siano allegate e provate circostanze idonee a ritenere che la morte del famigliare abbia comportato la perdita di un effettivo e valido sostegno morale (nella specie, la Corte ha respinto la richiesta di risarcimento avanzata dalla cognata e dai nipoti della vittima).

Cassazione civile sez. III, 30/08/2019, n.21837

In tema di danno non patrimoniale risarcibile in caso di morte causata da un illecito, il danno morale terminale e quello biologico terminale si distinguono, in quanto il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subìto dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l’intensità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo. Dai pregiudizi risarcibili “iure hereditatis” si differenzia radicalmente il danno da perdita del rapporto parentale che spetta “iure proprio” ai congiunti per la lesione della relazione parentale che li legava al defunto e che è risarcibile se sia provata l’effettività e la consistenza di tale relazione, ma non anche il rapporto di convivenza, non assurgendo quest’ultimo a connotato minimo di relativa esistenza. (Nella specie, in applicazione degli enunciati principi, la S.C. ha cassato la sentenza di appello impugnata dai congiunti della vittima, la quale aveva apoditticamente e non ben comprensibilmente affermato che non poteva reputarsi sussistente alcun danno morale in capo ai fratelli del defunto, in assenza di qualsivoglia elemento valutativo “a partire dal dato della convivenza familiare dei medesimi nel periodo compreso tra il manifestarsi della patologia e il decesso”).

Cassazione civile sez. III, 26/07/2019, n.20287

Il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta. In caso di fatto illecito plurioffensivo, ciascun danneggiato – in forza di quanto previsto dagli artt. 2,29,30 e 31 Cost., nonché degli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 1 della cd. “Carta di Nizza” – è titolare di un autonomo diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subito, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell’immediatezza dell’illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamico-relazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana). Ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare.

Cassazione civile sez. III, 25/06/2019, n.16909

La morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti oltre al danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva, anche un danno biologico vero e proprio, in presenza di un’effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca, l’uno e l’altro dovendo essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale, ma nondimeno suscettibili – in virtù del principio della “onnicomprensività” della liquidazione – di liquidazione unitaria.

Cassazione civile sez. lav., 21/05/2019, n.13645

In tema di calcolo del danno differenziale, le modifiche dell’art. 10 d.P.R. n. 1124 del 1965, introdotte dalla l. n. 145 del 2018, di natura innovativa e non meramente interpretativa, non si applicano agli infortuni sul lavoro verificatisi ed alle malattie professionali denunciate prima del 1° gennaio 2019.

Cassazione civile sez. III, 31/01/2019, n.2762

In tema di responsabilità medica, nel valorizzare, sul piano risarcitorio, attraverso il riconoscimento di una somma aggiuntiva rispetto alla liquidazione secondo i massimi tabellari il fatto che il paziente è destinato a convivere con il timore di una recidiva di un’infezione, che avrebbe, ove si verificasse, elevate probabilità di determinarne il decesso, la Corte territoriale ha fatto buon governo del principio per cui, in presenza d’un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale (ancorché trovino nella menomazione dell’integrità psico-fisica di un soggetto il loro antecedente causale) e rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione), suscettibili di una differente ed autonoma valutazione (come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 cod. ass., alla lett. e).

Cassazione civile sez. III, 31/01/2019, n.2788

In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, ai fini della c.d. “personalizzazione” del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze “ordinarie” inerenti ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente subirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione, in coerenza con le risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale in quanto caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento.

Cassazione civile sez. III, 22/01/2019, n.1553

Le tabelle milanesi di liquidazione del danno non patrimoniale si sostanziano in regole integratrici del concetto di equità, atte quindi a circoscrivere la discrezionalità dell’organo giudicante, sicchè costituiscono un criterio guida e non una normativa di diritto.

Cassazione civile sez. III, 17/01/2019, n.1043

Qualora l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione il risarcimento del danno da colpa medica per errore nell’esecuzione di un intervento chirurgico (e, quindi, per la lesione del diritto alla salute), e domandi poi in corso di causa anche il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento, da parte dello stesso medico, a dovere di informazione necessario per ottenere un consenso informato (inerente al diverso diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico), si verifica una mutatio libelli e non una mera emendatio, in quanto nel processo viene introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza.

Cassazione civile sez. III, 04/12/2018, n.31234

Se il paziente lamenta un danno alla salute, questi dovrà allegare e dimostrare che avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato.

Cassazione civile sez. III, 04/12/2018, n.31234

Laddove, in assenza di adeguato consenso informato, sia eseguito secundum leges artis un intervento chirurgico, che il paziente, se edotto, avrebbe rifiutato, la lesione al diritto di autodeterminarsi costituirà oggetto di danno risarcibile tutte le volte in cui il soggetto abbia subìto le inaspettate conseguenze dell’intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse. Se, a fronte del corretto assolvimento degli obblighi informativi a carico del sanitario, il paziente avrebbe comunque assentito all’intervento, il risarcimento del danno all’autodeterminazione è da escludersi, difettando il nesso di causalità materiale tra la condotta del medico e il pregiudizio lamentato.

Cassazione civile sez. III, 30/11/2018, n.30998

Le c.d. linee guida sono solo un parametro di valutazione della condotta del medico, ma ciò non impedisce che una condotta difforme dalle linee guida possa essere ritenuta diligente, se nel caso di specie esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle.

Cassazione civile sez. III, 19/07/2018, n.19204

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, la previsione dell’art. 1218 c.c., mentre esonera il creditore (danneggiato) dell’obbligazione asseritamente non adempiuta dall’onere di provare la colpa del debitore, non lo esonera dal dover dimostrare il nesso di causa intercorrente tra la condotta del debitore e il danno di cui chiede il risarcimento; in mancanza, qualora all’esito dell’istruttoria il predetto nesso causale non risulti provato e la causa del danno lamentato resti incerta, la domanda risarcitoria dovrà essere rigettata.

Cassazione civile sez. III, 19/07/2018, n.19151

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico -fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale (nella specie, la Corte ha riconosciuto il diritto al risarcimento nei confronti di una donna che aveva chiesto più e più volte di effettuare test clinici sul nascituro, risultato poi affetto di sindrome di Down, ma il suo ginecologo si era opposto, sconsigliando ogni pratica invasiva sul feto).

Cassazione civile sez. III, 28/06/2018, n.17018

In materia di danno non patrimoniale, i parametri delle “Tabelle” predisposte dal Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del predetto danno ovvero quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si sia pervenuti. Ne consegue l’incongruità della motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri tratti dalle “Tabelle” di Milano consenta di pervenire. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza della Corte territoriale che aveva ritenuto congruo l’importo liquidato dal giudice di primo grado, a titolo di risarcimento del danno biologico, in forza di una non motivata applicazione di una tabella diversa da quella predisposta dal tribunale di Milano, peraltro con riferimento a parametri non aggiornati alla data della decisione).

Cassazione civile sez. III, 28/06/2018, n.17018

Le tabelle di Milano rappresentano i parametri maggiormente idonei per consentire il rispetto dell’equità valutativa nella liquidazione del risarcimento dei danni subiti. In ragione di ciò nel caso in cui il giudice scelga di preferire tabelle diverse per la quantificazione del danno deve fornire una congrua motivazione per giustificare la sua decisione.

Cassazione civile sez. III, 21/06/2018, n.16336

Il medico potrà essere chiamato a risarcire il danno alla salute laddove il paziente dimostri — anche tramite presunzioni — che, ove compiutamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento terapeutico. Affinché possa essere risarcito anche il danno all’autodeterminazione è necessario dar prova che il pregiudizio abbia varcato la soglia della gravità dell’offesa e, dunque, che il relativo diritto sia stato inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, non essendo predicabile un danno in re ipsa.

Cassazione civile sez. III, 15/05/2018, n.11754

Nella liquidazione del danno non patrimoniale, in difetto di diverse previsioni normative e salvo che ricorrano circostanze affatto peculiari, devono trovare applicazione i parametri tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano successivamente all’esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008, in quanto determinano il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente tenendo conto di tutte le componenti non patrimoniali, compresa quella già qualificata in termini di “danno morale” la quale, nei sistemi tabellari precedenti veniva invece liquidata separatamente, mentre nella versione tabellare successiva all’anno 2011 viene inclusa nel punto base, così da operare non sulla percentuale di invalidità, bensì con aumento equitativo della corrispondente quantificazione. Tuttavia il giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni tabellari, può procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle, dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza di peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (più ricca, e dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari. (Nella specie, in relazione ad un’ipotesi di danno iatrogeno, la S.C. ha ritenuto meritevoli di valorizzazione, ai fini della personalizzazione del danno non patrimoniale, aspetti legati alle dinamiche emotive della vita relazionale ed interiore del soggetto leso, in quanto connotati da obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento).

Cassazione civile sez. III, 15/05/2018, n.11749

La violazione da parte del sanitario dell’obbligo di informare e acquisire il consenso al trattamento terapeutico determina la lesione del diritto fondamentale all’autodeterminazione del paziente, che è autonomamente risarcibile rispetto al danno alla salute e che — rappresentata dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di se stesso — non esige una specifica prova.

Cassazione civile sez. III, 04/05/2018, n.10608

La violazione del dovere del medico di informare preventivamente e chiaramente il paziente può comportare il danno alla salute, oppure il danno al diritto all’autodeterminazione. In particolare, nel caso di omessa informazione circa un intervento, necessario e correttamente eseguito, che non ha causato danno alla salute del paziente, il risarcimento del danno al diritto all’autodeterminazione, in via equitativa, è subordinato alla prova che il paziente abbia subìto le inaspettate conseguenze senza la necessaria consapevolezza; il danno deve superare il limite della normale tollerabilità. La prova del danno potrà essere fondata anche su presunzioni fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione.

Cassazione civile sez. III, 12/04/2018, n.9048

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, nel caso di un neonato invalido a causa di colpa medica, la quantificazione del danno patrimoniale da soppressione della capacità lavorativa patita dal danneggiato deve essere operata escludendo lo scarto temporale tra il momento in cui l’illecito si è verificato (nascita) e il momento in cui il danno inizierà a prodursi (raggiungimento dell’età lavorativa). In applicazione, infatti, dei criteri di liquidazione del danno da perdita della capacità di lavoro, allorquando quest’ultimo sia patito da persona che al momento del fatto non era in età da lavoro, la liquidazione deve avvenire: (i) sommando e rivalutando i redditi figurativi perduti dalla vittima tra il momento in cui ha raggiunto l’età lavorativa, e quello della liquidazione; (ii) capitalizzando i redditi futuri, che la vittima perderà dal momento della liquidazione in poi, in base ad un coefficiente di capitalizzazione corrispondente all’età della vittima al momento della liquidazione; (iii) se la liquidazione dovesse avvenire prima del raggiungimento dell’età lavorativa da parte della vittima, la capitalizzazione dovrà avvenire o in base ad un coefficiente corrispondente all’età della vittima al momento del presumibile ingresso nel mondo del lavoro; oppure in base ad un coefficiente corrispondente all’età della vittima al momento della liquidazione, ma in questo caso previo abbattimento del risultato applicando il coefficiente di minorazione per anticipata capitalizzazione.

Cassazione civile sez. III, 23/03/2018, n.7248

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito “secundum legem artis”, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, potrà conseguire alla allegazione del pregiudizio, la cui prova potrà essere fornita anche mediante presunzioni fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione.

 

Cassazione civile sez. III, 23/03/2018, n.7260

La violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali, determinata dal colpevole ritardo diagnostico di una patologia ad esito certamente infausto, non coincide con la perdita di “chances” connesse allo svolgimento di specifiche scelte di vita non potute compiere, ma con la lesione di un bene di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere l’assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno sulla base di una liquidazione equitativa.

Cassazione civile sez. III, 09/03/2018, n.5641

In caso di perdita di una “chance” a carattere non patrimoniale, il risarcimento non potrà essere proporzionale al “risultato perduto” (nella specie, maggiori “chance” di sopravvivenza di un paziente al quale non era stata diagnosticata tempestivamente una patologia tumorale con esiti certamente mortali), ma andrà commisurato, in via equitativa, alla “possibilità perduta” di realizzarlo (intesa quale evento di danno rappresentato in via diretta ed immediata dalla minore durata della vita e/o dalla peggiore qualità della stessa); tale “possibilità”, per integrare gli estremi del danno risarcibile, deve necessariamente attingere ai parametri della apprezzabilità, serietà e consistenza, rispetto ai quali il valore statistico-percentuale, ove in concreto accertabile, può costituire solo un criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto.

Cassazione civile sez. III, 05/02/2018, n.2675

In tema di responsabilità del medico per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni, che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento della struttura sanitaria all’obbligazione di natura contrattuale gravante sulla stessa, spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l’ordinamento, si incentrano sulla procreazione cosciente e responsabile, considerando che, agli effetti negativi della condotta del medico ed alla responsabilità della struttura ove egli opera non può ritenersi estraneo il padre che deve, perciò, considerarsi tra i soggetti “protetti” e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti, fra cui deve ricomprendersi il pregiudizio patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli. (Nella specie, era stato eseguito in maniera erronea un intervento di raschiamento uterino in seguito ad una non corretta diagnosi di aborto interno, accertata dopo la ventunesima settimana e, quindi, oltre il termine previsto dalla l. n. 194 del 22 maggio 1978, con la conseguenza che la gravidanza era proseguita e si era conclusa con la nascita indesiderata di una bambina). 

Cassazione civile sez. III, 31/01/2018, n.2369

In tema di responsabilità medica, ove l’atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito “secundum legem artis”, non sia stato preceduto dalla preventiva informazione esplicita del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, può essere riconosciuto il risarcimento del danno alla salute per la verificazione di tali conseguenze, solo ove sia allegato e provato, da parte del paziente, anche in via presuntiva, che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e sofferenze). (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, relativamente all’asseverata mancanza di consenso di una paziente rispetto ad un intervento di salpingectomia quale complicanza di un parto cesareo, aveva affermato la responsabilità del medico senza valutare se la paziente, ove adeguatamente informata dell’intervento di sterilizzazione tubarica, avrebbe rifiutato la prestazione).

Cassazione civile sez. III, 31/10/2017, n.25849

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno deve provare gli elementi costitutivi della sua pretesa e tra questi, in particolare, nel caso di specie, la sussistenza dei presupposti di legge dell’interruzione volontaria di gravidanza, vale a dire il “ grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (ex art. 6, lett. b), l. n. 194 del 1978).

Cassazione civile sez. III, 13/10/2017, n.24072

Nel caso in cui l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione il risarcimento del danno da colpa medica per errore nell’esecuzione di un intervento chirurgico (e, quindi, per la lesione del diritto alla salute), e domandi poi in corso di causa anche il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento, da parte dello stesso medico, al dovere di informazione necessario per ottenere un consenso informato (inerente al diverso diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico), si verifica una “mutatio libelli” e non una mera “emendatio”, in quanto nel processo viene introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza.

Cassazione civile sez. III, 05/07/2017, n.16503

Il paziente, che, dispiegando la relativa domanda risarcitoria, invochi l’incompletezza del consenso informato e, quindi, l’inadempimento del correlativo obbligo dei sanitari di rendere le informazioni necessarie per formarlo, allega implicitamente il danno a quella sua libera e consapevole autodeterminazione che, in base a quanto accade normalmente e per riferirsi la lesione ad un diritto personalissimo e relativo alla sfera interna del danneggiato (almeno quanto alla sofferenza ed alla contrazione della libertà di disporre di sé stesso, psichicamente e fisicamente patite dal paziente in ragione dello svolgimento sulla sua persona dell’esecuzione dell’intervento durante la sua esecuzione e nella relativa convalescenza), si ricollega quale conseguenza ineliminabile alla carenza di un quadro informativo completo e ben compreso o spiegato a chi dovrebbe valutarlo come base di una responsabile decisione. Sulla base di nozioni di comune esperienza può dirsi anche provato, essendo stato per implicito allegato attraverso la formulazione di una domanda siffatta, che con il danno-evento dell’esecuzione dell’intervento sanitario, seguito all’incompleta serie di informazioni, si sia prodotta quale danno-conseguenza, quanto meno, la lesione della libertà di autodeterminazione del paziente e la sofferenza ad essa connessa.

Cassazione civile sez. III, 19/05/2017, n.12597

In tema di responsabilità civile, la domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, derivanti da un illecito aquiliano, esprime la volontà di riferirsi ad ogni possibile voce di danno, a differenza di quella che indichi specifiche e determinate voci, sicché, pur quando in citazione non vi sia alcun riferimento, si estende anche al lucro cessante (nella specie, perdita di “chance” lavorativa), la cui richiesta non può, pertanto, considerarsi domanda nuova, come tale inammissibile. L’invocazione del danno da perdita di chance non può, infatti, ritenersi domanda nuova, essendo tale perdita solo una componente dell’unico diritto al risarcimento del danno insorto dall’illecito, e bastando la formulazione con cui nella domanda si chieda il risarcimento di tutti i danni a comprenderlo, altro essendo il problema dell’individuazione e, quindi, dell’allegazione dei fatti costitutivi di questa tipologia di danni, che, evidentemente, possono e debbono essere specificamente allegati nell’atto introduttivo, ma anche, in una situazione di incertezza, emergere dall’espletamento dell’istruzione, specie se avvenuta mediante consulenza tecnica.

Cassazione civile sez. III, 20/04/2017, n.9950

Il danno alla salute, temporaneo o permanente, in assenza di criteri legali va liquidato in base alle c. d. tabelle diffuse dal Tribunale di Milano, salvo che il caso concreto presenti specificità tali – che il giudice ha l’onere di rilevare, accertare ed esporre in motivazione che consiglino od impongano lo scostamento dai valori standard del risarcimento.

Cassazione civile sez. III, 11/04/2017, n.9251

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il nato disabile non ha diritto al risarcimento del danno, né sotto sotto il profilo dell’inserimento del nato in un ambiente familiare non preparato ad accoglierlo, né sotto quello della lesione del c.d. diritto a non nascere se non sani: in entrambi i casi la sofferenza sofferta dal nato non è comparabile con l’unica alternativa ipotizzabile, rappresentata dall’interruzione della gravidanza.

Cassazione civile sez. III, 11/10/2016, n.20381

In tema di risarcimento del danno alla salute, la sopravvenienza di nuove tabelle, tra quelle periodicamente elaborate dal tribunale di Milano per la relativa liquidazione, in un momento successivo alla camera di consiglio per la decisione della causa, non comporta l’obbligo di riconvocazione della stessa, non essendo sostenibile che sussista una fattispecie di “retrocessione” della fase decisoria.

Cassazione civile sez. VI, 30/08/2016, n.17405

Deve essere escluso il risarcimento in favore del paziente, che lamentava l’esecuzione di cure dentarie malamente eseguite, allorchè sia emerso in corso di causa che la causa del danno non era da individuarsi nell’opera del medico, ma nelle condizioni pregresse del paziente, e che il medico aveva correttamente informato il paziente, segnalandogli i possibili rischi dell’intervento.

Cassazione civile sez. III, 03/05/2016, n.8645

Il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto patologie causate da HBV, HCV o HIV per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale, che decorre, a norma degli art. 2935 e 2947 comma 1 c.c., non dal giorno in cui l’evento determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche; al riguardo, in caso di plurime e continuative trasfusioni periodiche (nella specie, essendo il soggetto leso affetto da talassemia) fin da tenerissima età, non integra negligenza la mera, quand’anche continua, frequentazione di ambienti sanitari o medici, né sussiste un onere per il danneggiato (o, nella specie, per i genitori del contagiato minorenne) di rivolgersi a soggetti tecnicamente qualificati, per acquisire idonea consapevolezza anche della rapportabilità causale della malattia alle trasfusioni, dovendo a tal fine il giudice del merito verificare, in base alla storia clinica del leso, se e in quale momento o fase del suo sviluppo siano stati acquisiti od acquisibili elementi specifici sul punto, legati alla sua situazione personale, in base a specifici ulteriori diagnosi od accertamenti clinici cui egli sia stato sottoposto nel corso della sua vita dopo il riscontro dell’avvenuto contagio.

Cassazione civile sez. III, 20/04/2016, n.7768

In materia di danno alla salute, quando in corso di causa (ivi compresa la fase di gravame) sia sopravvenuto il principio giurisprudenziale – enunciato dalla S.C. con sentenza n. 12408 del 2011 – secondo cui la mancata adozione delle cd. “tabelle” di Milano integra un vizio di violazione di legge, deve ritenersi consentito, a chi agisce per il risarcimento del danno, chiederne l’applicazione, per la prima volta, anche in fase di precisazione delle conclusioni.

Cassazione civile sez. III, 31/03/2016, n.6209

L’imperfetta compilazione della cartella clinica fa presumere la commissione di errori da parte dei sanitari e, pertanto, legittima il risarcimento del danno nei confronti del paziente.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA