Può rispondere di frode fiscale anche il lavoratore subordinato della società se sussistono a suo carico concreti indizi di colpevolezza sul ruolo gestorio per l’attività fiscale dell’impresa.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 2270.2021, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi in sede cautelare reale su un caso di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, enuncia il principio di diritto secondo il quale anche il dipendente di una società può essere chiamato a rispondere del delitto di frode fiscale, in presenza di elementi di reaità idonei a dimostrare il ruolo direttivo concretamente esercitato dal medesimo nella registrazione e nel pagamento delle fatture e nella gestione contabile dell’impresa.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, oltre agli approfondimenti sul reato tributario che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.

 

Il reato provvisoriamente contestato e la fase cautelare reale di merito

Nel caso di specie, il Tribunale di Savona confermava il decreto con il quale in GIP in sede aveva disposto il sequestro preventivo dei beni immobili intestati all’indagato, in relazione al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti previsto e punito dall’art.2 D.lgs. 74/2000 provvisoriamente contestato.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale cautelare di Savona, articolando unico motivo di impugnazione.

In particolare, il ricorrente deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, in considerazione della qualifica rivestita dall’indagato (dipendente della società, come tale privo di poteri di rappresentanza) e della mancanza di prova della sottoscrizione della dichiarazione fiscale con la quale era stato consumato il reato.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“La difesa si limita ad affermare che non vi è prova del fatto che l’indagato abbia firmato le dichiarazioni fiscali oggetto dell’imputazione, ma non richiama, neanche a fini di critica, la motivazione del provvedimento impugnato, nella quale si dà conto in modo analitico e coerente delle ragioni per le quali si è ritenuta la sussistenza di gravi indizi del reato contestato anche a carico dell’indagato.

In particolare, il Tribunale evidenzia che: a) l’indagato era il soggetto che nell’ambito della società impartiva direttive ai fini della registrazione e del pagamento delle fatture, con le relative annotazioni; b) la teste ha evidenziato un ruolo significativo dell’indagato nell’ambito della società; c) l’indagato era presente con altri coimputati ad un incontro nei quali uno di questi ammise che i lavori pagati non corrispondevano a quelli fatti; d) l’indagato era presente alle riunioni per l’approvazione dei bilanci che il teste riteneva falsi ed era stato indicato da quest’ultimo come uno degli autori della falsità; e) lo stesso [omissis] aveva precisato come [omissis] desse la colpa all’indagato e ad altri della esclusione delle impiegate addette alla contabilità da effettivi controlli sulle fatture, essendo state queste relegate ad un ruolo meramente esecutivo; f) la piena partecipazione dell’indagato alla gestione illecita emerge anche da un’intercettazione telefonica fra altri soggetti e dall’esistenza di pagamenti anomali per euro 23.810,00.

Si tratta di considerazioni che, per la loro pregnanza, confermano, in via indiziaria, una piena e diretta partecipazione dell’indagato all’illecito e rendono irrilevante – secondo la corretta valutazione del Tribunale – la circostanza che non vi sia prova dell’apposizione della firma dell’indagato sulle dichiarazioni fiscali, in quanto queste non sono presenti in atti”.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 2 D.lgs. 74/2000 – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

E’ punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni [annuali] relative a dette imposte elementi passivi fittizi.

Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi e’ inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. 

[Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro 154.937,07, si applica la reclusione da sei mesi a due anni. ] 

 

La rassegna delle più recenti massime in tema di frode fiscale ex art. 2 D.lgs. 74/2000:

Cassazione penale sez. III, 26/06/2020, n.20901

È configurabile il concorso fra la contravvenzione di cui all’art. 18 d.lg. 10 settembre 2003, n. 276 ed il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ai fini dell’i.v.a., nel caso di utilizzo di fatture rilasciate da una società che ha effettuato interposizione illegale di manodopera.

 

Cassazione penale sez. III, 19/03/2020, n.12680

In tema di reati tributari, il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’articolo 2 del Dlgs 10 marzo 2000 n. 74, rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, che deve aggiungersi alla volontà di realizzare l’evento tipico (la presentazione della dichiarazione), è compatibile con il dolo eventuale, da intendere in termini di lucida accettazione, da parte dell’agente, dell’evento lesivo, e quindi anche del fine di evasione o di indebito rimborso, come conseguenza della sua condotta. La prova del dolo va desunta dagli elementi indiziari ricavati dalla fattispecie (cfr. sezioni Unite, 24 aprile 2014, Espenhahn) (ciò che, nella specie, relativa peraltro ad applicazione di misura cautelare reale, risultava essere stato motivatamente fatto, avendo il giudice del riesame valorizzato, in particolare: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa, stante l’assenza di qualunque accertamento su fornitori che pure avevano erogato beni per importi consistenti; b) la durata e la ripetizione dell’azione, articolatasi per più forniture; c) il comportamento successivo al fatto, e cioè l’immediata cessazione in coincidenza della verifica fiscale eseguita nei confronti della società “cartiera”; d) il fine della condotta, di conseguire un “risparmio” di spesa, e la compatibilità con esso dell’accettazione di utilizzare fatture per operazioni soggettivamente inesistenti).

 

Cassazione penale sez. III, 15/11/2019, n.1998

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti sussiste sia nell’ipotesi di inesistenza oggettiva dell’operazione, cioè quando non sia stata posta mai in essere nella realtà, sia in quella di inesistenza soggettiva, ossia quando l’operazione vi sia stata ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura, sia infine nel caso di sovrafatturazione qualitativa, nel quale la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti, in quanto oggetto di repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’esposizione nella dichiarazione di dati fittizi anche solo soggettivamente implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto e l’indicazione di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura non è circostanza indifferente ai fini dell’Iva, dal momento che la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre).

 

Cassazione penale sez. III, 07/11/2019, n.8995

In tema di reati tributari, il limite alla pignorabilità fissato dal comma 1, lett. a), dell’art. 76 d.P.R. n. 602/1973 nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lett. g), del d.l. n. 69/2013 convertito, con modifiche, dalla l. n. 98/2013 si riferisce solo alle espropriazioni da parte del Fisco, e non a quelle promosse da altre categorie di creditori; non riguarda la “prima casa”, ma l’unico immobile di proprietà del debitore; non trova comunque applicazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, né al sequestro preventivo ad essa preordinato.

 

Cassazione penale sez. III, 12/02/2019, n.29977

In tema di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, i costi relativi alle stesse non sono mai deducibili, con la conseguenza che la loro indicazione in dichiarazione configura una finalità di evasione e realizza un corrispondente profitto senza che rilevi in senso contrario la circostanza che, pur avendo sostenuto tali costi nei confronti del soggetto fittiziamente interposto, il destinatario della fattura sia tenuto a corrispondere nuovamente l’Iva al soggetto che ha realmente fornito la prestazione, quale normale conseguenza di ogni interposizione fittizia.

 

Cassazione penale sez. III, 30/01/2019, n.17702

In tema di reati tributari, ai sensi dell’art. 18, comma 2, d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, i delitti in materia di dichiarazione previsti dal capo primo del titolo secondo del medesimo decreto legislativo si considerano consumati nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale, che, nel caso di impresa individuale, coincide con quello del titolare dell’impresa medesima.

 

Cassazione penale sez. III, 24/01/2019, n.16768

Il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000) è integrato, con riguardo all’evasione delle imposte sui redditi, dalla sola inesistenza oggettiva delle prestazioni, ove si ha diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre non è ravvisabile nell’ipotesi di inesistenza soggettiva, ove l’operazione oggetto di imposizione fiscale è stata effettivamente eseguita, rilevando la mancata corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato in fattura e il soggetto che abbia erogato la prestazione solo ai fini Iva.

 

Cassazione penale sez. III, 23/11/2018, n.10801

In tema di delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, la causa di non punibilità, prevista dall’art. 5-quinquies d. l. 28 giugno 1990, n. 167, che opera per l’imputato che abbia prestato collaborazione volontaria ai sensi dell’art. 5-quater del medesimo decreto legge (cd. voluntary disclosure), determina, al completamento della procedura ed al pagamento delle somme dovute, il venir meno della natura di profitto del reato delle somme derivate dalla utilizzazione delle fatture emesse per operazioni inesistenti, precludendone la confiscabilità e rendendo, conseguentemente, illegittima la protrazione di un sequestro finalizzato unicamente a detta confisca.

 

Cassazione penale sez. III, 25/10/2018, n.6360

In tema di frodi fiscali, è configurabile il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 2 d.lgs.10 marzo 2000, n. 74 del 2000, ogni qualvolta il contribuente, per effettuare una dichiarazione fraudolenta, si avvalga di fatture o altri documenti che attestino operazioni realmente non effettuate, non rilevando la circostanza che la falsità sia ideologica o materiale. (In motivazione, la Corte ha escluso che il riferimento a talune ipotesi di fatturazione, contenuto nell’art. 3, comma 3, del medesimo decreto legislativo dopo la riforma di tale disposizione operata dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, abbia inciso sul rapporto di specialità reciproca esistente tra il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 e quello di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, in quanto, accanto ad un nucleo comune costituito dalla presentazione di una dichiarazione infedele, il primo presuppone l’utilizzazione di fatture o documenti analoghi relativi ad operazioni inesistenti, mentre il secondo, una falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie nonché l’impiego di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento e il raggiungimento della soglia di punibilità).

 

Cassazione penale sez. III, 20/07/2018, n.53318

In tema di reati tributari, il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 2 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, tutela l’interesse dello Stato a riscuotere ciò che è dovuto nell’ambito e nei limiti del diritto tributario. (In motivazione la Corte ha precisato che l’utilizzazione delle fatture per operazioni inesistenti costituisce un ante factum meramente strumentale alla realizzazione dell’illecito).

 

Cassazione penale sez. III, 26/06/2018, n.53637

In tema di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, per la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa non assume rilievo la natura soggettiva o meno dell’operazione che ha portato all’emissione delle fatture, quanto, piuttosto, il principio generale dell’”effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità”, che, se superato, inibisce l’operazione deduttiva, dei costi. Per l’effetto, devono considerarsi indeducibili i costi comunque “riconducibili” alla condotta criminosa, conseguendone che i costi sostenuti per la realizzazione della frode, essendo essi stessi lo strumento per i realizzare l’evasione di imposta, sono indeducibili e non possono essere considerati per ridurre il quantum dell’imposta evasa (la Corte ha precisato anche che sul principio affermato non esplica alcuna rilevanza la disposizione di cui all’ articolo 14, comma 4 bis della legge 24 dicembre 1993, n. 537, come modificato dall’ articolo 8, comma 1, del Dl 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012 n. 44,  perché trattasi di previsione che, nel prevedere l’indeducibilità dei soli componenti negativi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di delitti non colposi, si limita a stabilire una regola per le sole procedure di accertamento tributario ai fini delle imposte sui redditi, inapplicabile quindi per la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti).

 

Cassazione penale sez. III, 19/06/2018, n.52411

In tema di reati tributari, il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 2 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, che deve aggiungersi alla volontà di realizzare l’evento tipico (la presentazione della dichiarazione), è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte dirette o dell’Iva.

 

Cassazione penale sez. III, 24/05/2018, n.46956

In tema di reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture, la sussistenza a carico del cessionario, ai sensi dell’art. 60-bis del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, di un obbligo solidale di versamento dell’IVA gravante sul cedente, peraltro riguardante le sole cessioni reali effettuate a un prezzo inferiore al valore normale e non anche le operazioni inesistenti, non esclude che, a carico del primo, sia comunque ipotizzabile il dolo specifico di evasione, atteso che il meccanismo dell’IVA, basato sulla continuità della registrazione di debiti e crediti nelle contabilità dei soggetti operanti, ammette la possibilità che l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti sia finalizzata all’evasione.

 

Cassazione penale sez. IV, 20/03/2018, n.17401

I reati di dichiarazione fraudolenta ai fini Iva mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000 commessi in epoca precedente la pronuncia della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, Taricco, dell’8 settembre 2015, anche se non ancora prescritti a tale data, rimangono soggetti alla disciplina nazionale in materia di prescrizione, pur se questa risulti in contrasto con il diritto europeo, perché idonea a pregiudicare gli obblighi imposti a tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea. Infatti, come del resto puntualizzato dalla successiva sentenza della stessa Corte di giustizia in data 5 dicembre 2017, il contrasto – quanto al regime di prescrizione – tra il diritto europeo e il diritto nazionale non può condurre alla disapplicazione della norma di diritto interno laddove essa comporti violazione del “principio di legalità” dei reati e delle pene, nei suoi aspetti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività della legge penale (la Corte, anzi, ha ritenuto tale affermazione di principio in grado di superare il vincolo formale del giudicato e, per l’effetto, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione, nonostante che il procedimento provenisse da precedente annullamento con rinvio, dove la Corte si era limitata ad annullare la sentenza in ordine al profilo sanzionatorio, onde si sarebbe dovuto considerare formato il giudicato sulla responsabilità).

 

Cassazione penale sez. fer., 31/08/2017, n.47603

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), non è necessario che le fatture o gli altri documenti siano creati da terzi compiacenti, ben potendo essi essere creati dallo stesso utilizzatore.

 

Cassazione penale sez. V, 14/07/2017, n.43976

È configurabile il concorso tra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000) e quello di bancarotta impropria mediante operazioni dolose previsto dall’art. 223, comma 2, n. 2 l. fall. (Fattispecie in cui l’evasione dell’imposta aveva determinato l’insorgenza di consistenti debiti a carico della società amministrata dovuti a sanzioni, interessi ed oneri accessori, oltre all’IVA, con conseguente incapacità della predetta società di fare fronte alle proprie obbligazioni e conseguente fallimento della stessa).

 

Cassazione penale, sez. III, 09/06/2017, n. 39541

Il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’IVA, esso comprende anche l’inesistenza soggettiva.

 

 

Cassazione penale, sez. III, 21/04/2017, n. 34534

Ai fini della configurabilità del delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti, quando risulti provata dalla pubblica accusa la fittizietà dell’intestazione delle fatture, è onere del soggetto emittente dimostrare la corrispondenza fra il dato fattuale, relativo ai rapporti giuridici che si affermano essere effettivamente intercorsi, e quello documentale, attraverso il quale tali rapporti sono attestati. (Nella specie, la Corte ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto sprovvista di prova la mera allegazione difensiva circa l’esistenza di una delegazione di pagamento intercorsa fra l’intestatario delle fatture di vendita di alcune autovetture ed i diversi soggetti che avevano versato il relativo prezzo).

 

Cassazione penale sez. III, 29/03/2017, n.37848

In tema di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 d.lg. n. 74/2000), qualora si deduca, a fronte dell’obiettiva, mancata effettuazione della prestazione fatturata, che la stessa era stata comunque pagata in anticipo, occorre, per attribuire valore a tale deduzione, che la mancata effettuazione risulti annotata, entro il prescritto termine, nel registro di cui all’art. 23 d.P.R. n. 633/1972.

 

Cassazione penale, sez. III, 19/01/2017, n. 24307

In tema di reati finanziari e tributari, il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, quando cioè l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e tuttavia non vi sia corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura od altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

 

Cassazione penale, sez. III, 30/11/2016, n. 14815

Risponde di concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lg. n. 74 del 2000) il soggetto che, d’intesa con gli autori delle dichiarazioni, fornisca ai medesimi, nell’ambito dell’attività di “esperto contabile” prestata in loro favore, le fatture per operazioni inesistenti all’uopo fatte predisporre da terzi.

 

Cassazione penale, sez. III, 19/05/2016, n. 7941

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex art. 2 d.Lg. n. 74/2000, è integrati dalla registrazione in contabilità delle false fatture o dalla loro conservazione ai fini di prova, nonché dall’inserimento nella dichiarazione di imposta dei corrispondenti elementi fittizi, condotte queste ultime tutte congiuntamente necessarie ai fini della punibilità.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA