L’imprenditore si salva dalla condanna per bancarotta documentale solo se prova rigorosamente l’incolpevole affidamento riposto nell’operato del consulente contabile.

E’ il principio di diritto ricordato dalla settima sezione penale della Cassazione con la sentenza numero 10577/2024 – depositata il 13/03/2024, che ha affrontato il tema giuridico della prova liberatoria che l’imprenditore deve allegare in dibattimento per superare la presunzione a suo carico di condotta inadempiente rispetto agli obblighi prescritti dagli artt. 2214 e 2241 cod. civ. da cui è discesa la contestazione del reato fallimentare. 

Nel caso in disamina Suprema Corte  ha ritenuto manifestamente infondato il denunciato vizio di legittimità afferente il difetto di motivazione in ordine alla prova dell’elemento psicologico del reato di bancarotta documentale statuendo quanto segue: 

“……deve ricordarsi come per pacifica giurisprudenza di questa Corte «A norma degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., l’imprenditore che esercita un’attività commerciale è obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda. 

Egli può avvalersi dell’opera di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resta sempre responsabile per l’attività da essi svolta nell’ambito dell’impresa. In caso di fallimento, quindi, risponde penalmente dell’attività e delle omissioni delle persone da lui incaricate che non hanno tenuto, in assoluto, o non hanno tenuto regolarmente i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge. 

Il principio opera nel caso di inquadrabilità della condotta sia in reati punibili per dolo o colpa (bancarotta semplice), sia in delitti punibili soltanto a titolo di dolo (bancarotta fraudolenta documentale). 

In tale ultima ipotesi, l’imprenditore non va esente da responsabilità per aver affidato a un collaboratore le operazioni contabili, dovendosi presumere che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni e i documenti forniti dall’imprenditore medesimo. 

Trattasi, peraltro, di una presunzione “iuris tantum”, che può essere vinta da rigorosa prova contraria» (Sez. 5, n. 709 del 01/10/1998, dep. 1999, Rv. 212147), prova che nei termini indicati non è stata offerta dal ricorrente;”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA