Le misure di prevenzione antinfortunistiche si applicano anche ai clienti di un esercizio commerciale estranei al rapporto di lavoro.

E’ il principio di diritto ribadito dalla quarta sezione penale della cassazione con la sentenza numero 8380/2024 – depositata il 27/02/2024, decidendo il ricorso di legittimità interposto dai genitori esercenti la potestà sul figlio minore che si era infortunato all’interno di un negozio entrando in collisione con una vetrata strutturalmente inadeguata e non correttamente segnalata.

Nel caso in disamina il Giudice di pace territorialmente competenze ed il Tribunale, quale giudice dell’appello, avevano assolto l’imputata rinviato a giudizio per il reato di lesioni colpose nella qualità di titolare dell’esercizio commerciale all’interno del quale era avvenuto l’incidente. 

In particolare, i giudici del doppio grado di merito, avevano, concordemente, ritenuto che:

(i) non sussistesse alcun precetto normativo che imponesse di dotare l’esercizio commerciale di una vetrata antisfondamento e che la presenza dell’ostacolo era stata idoneamente segnalata mediante tendaggi e adesivi di vario genere collocati sulla vetrata stessa;

(ii) l’evento era da ascrivere alla condotta imprudente dei genitori del minore;

(ii) doveva essere esclusa la responsabilità per colpa specifica dell’imputata, attesa la natura non vincolante delle norme UNI 7697 e 1260 (riguardanti i criteri di sicurezza nelle applicazioni vetrarie) e la non applicabilità agli esercizi commerciali delle disposizioni contenute nel d.lgs. n.81/2008.

La difesa della parte civile interponeva ricorso per cassazione denunciando il vizio di legge della sentenza impugnata per non avere operato buon governo della disciplina antinfortunistica che il titolare della posizione di garanzia era tenuto ad osservare sia nei confronti dei propri dipendenti, sia per tutelare l’incolumità clienti. 

La Suprema Corte ha accolto il ricorso annullando con rinvio la sentenza impugnata per nuovo giudizio statuendo il principio che segue: 

“Ulteriormente, deve essere richiamato principio in base al quale le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell’interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell’impresa; conseguendone che, in caso di lesioni e di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli artt. 40e41cod.pen.

Derivandone che, in tale evenienza, quindi, dovrà ravvisarsi l’aggravante di cui agli articoli 589, comma 2, e 590, comma 3, cod .pen., nonché il requisito della perseguibilità d’ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex articolo 590 ultimo comma, cod. pen., anche nel caso di soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell’infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante e purché, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi (Sez.4, n. 14775 del 11/4/2016, Grasso, in motivazione; conf. già Sez. 4, n. 43168 del 17/06/2014, Cinque, Rv. 260947)”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA