Legittime ed utilizzabili le intercettazioni tra il commercialista ed il cliente se il professionista è indagato per reati fiscali.

La sentenza in commento – Cass. Pen. Sez. III, n.14007/2018 – fornisce importanti precisazioni in ordine alla possibilità di disporre ed utilizzare in sede cautelare reale le intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte ed acquisite nei confronti di un commercialista indagato per reati fiscali.

Il caso e lo svolgimento del processo

Il Tribunale di Milano ha rigettato la richiesta di riesame volta ad annullare il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip in sede, presentata dalla difesa del contribuente indagato in relazione alla violazione dell’art. 11 del dlgs n. 74 del 2000 per avere sottratto al pagamento delle imposte sul reddito e sul valore aggiunti la somma di euro 2.000.000,00, da lui detenuta in attività finanziarie non dichiarate allocate all’estero, compiendo azioni tese al trasferimento di esse presso un conto corrente acceso presso un istituto di credito di Dubai, rendendo in tale modo inefficace ogni forma di riscossione delle imposte evase alla concorrenza della somma di euro 1.293.170,00, dei beni, mobili ed immobili, intestati al richiedente ed alla di lui moglie.

Secondo il Tribunale cautelare non coglierebbe nel segno la censura formulata dal ricorrente secondo la quale la condotta a lui attribuita, consistente nella omessa dichiarazione di beni da lui detenuti all’estero in sede di dichiarazione dei redditi, costituirebbe mero illecito amministrativo e non integrerebbe gli estremi del reato in provvisoria contestazione. Ad avviso del Tribunale di Milano la complessità delle operazioni finanziarie poste in essere dall’indagato, tramite la assistenza di professionisti a loro volta oggetto di indagine, non può essere ricondotta alla mera omissione della dichiarazione di taluni cespiti, ma va qualificata come compimento di atti fraudolenti sui propri beni, volti a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, sicuramente ostacolata dalla esterovestizione dei beni in questione, in tal modo risultando integrata la fattispecie astratta in provvisoria contestazione. Osserva, in particolare, il Tribunale quanto all’elemento soggettivo del reato in questione, che, secondo il disposto dell’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, convertito con modificazioni con legge n. 109 del 2009, si presumono costituiti con redditi sottratti alla tassazione tutti gli investimenti e le attività finanziarie detenute da cittadini in stati o territori a regime fiscale privilegiato; cioè i cosiddetti paradisi fiscali. Questo secondo il Tribunale, sarebbe l’indice della evasione fiscale commessa dall’indagato, presupposto per la commissione del reato in questione.

Avverso il predetto provvedimento propone ricorso l’imputato deducendo violazione di legge, in relazione all’art. 11 d.lgs. n. 74/2000 e alla configurabilità del delitto ivi disciplinato e dell’art. 271 c.p.p. in relazione alla legittimità ed utilizzabilità delle intercettazioni disposte sull’utenza in uso al commercialista indagato in quanto, secondo l’ipotesi accusatoria, ideatore del sistema di frodi volte a sottrarre ricchezza imponibile secondo la normativa fiscale italiana.

 

 

La decisione della Cassazione e il punto di diritto

La Suprema corte ha rigettato il ricorso non ritenendo meritevole di accoglimento nessuno dei motivi articolati.

Per quanto qui di interesse, in riferimento al profilo della utilizzabilità ai fini delle indagini delle intercettazioni telefoniche ed ambientali operate a carico del commercialista dell’indagato ed aventi ad oggetto conversazioni intercorse fra questo ed il predetto professionista, la Corte si è  pronunciata nei seguenti termini:

Al riguardo va rilevato che, sebbene l’art. 271, comma 2, cod. proc. pen. preveda espressamente, fra i divieti di utilizzazione, quello concernente le intercettazioni relative alle conversazioni o comunicazioni delle persone di cui all’art. 200, comma 1, cod. proc. pen., quando esse hanno ad oggetto fatti da loro conosciuti in ragione, per quanto ora interessa, della loro professione, siffatta disposizione deve essere intesa, conformemente alle condivise indicazioni interpretative rivenienti da questa Corte, nel senso che il divieto in questione è posto a tutela dei soggetti indicati nell’art. 200, comma primo, cod. proc. pen. e dell’esercizio della loro funzione professionale, ancorché non formalizzato in un mandato fiduciario, purché detto esercizio sia causa della conoscenza del fatto, ben potendo un libero professionista venire a conoscenza, in ragione della sua professione, di fatti relativi ad un soggetto dal quale non sia stato formalmente incaricato di alcun mandato professionale. Ne consegue che detto divieto sussiste ed è operativo quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate siano pertinenti all’attività professionale svolta dai soggetti indicati nell’art. 200, comma primo, cod.proc. pen. e riguardino, di conseguenza, fatti conosciuti in ragione della professione da questi esercitata (Corte di cassazione, Sezione V penale, 19 aprile 2013, n. 17979); come, infatti, la Corte ha ulteriormente precisato, in materia di intercettazioni, il divieto di utilizzazione stabilito dall’art. 271, comma secondo, cod. proc. pen., non sussiste quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate non siano pertinenti all’attività professionale svolta dalle persone indicate nell’art. 200, comma primo, cod. proc. pen., e non riguardino di conseguenza fatti conosciuti per ragione della professione dalle stesse esercitata (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 5 maggio 2015, n. 18638; idem Sezione VI penale, 18 gennaio 2008, n. 2951). Nel caso di specie le intercettazioni eseguite, lungi dal riguardare l’attività professionale svolta dal commercialista dell’indagato e riferita alla cura degli interessi patrimoniali di quest’ultimo, avevano ad oggetto un’attività in sé illecita, tale evidentemente da esulare rispetto ai limiti dello svolgimento di una incarico professionale, il quale presuppone, ove non si voglia cadere nell’insanabile contraddizione logica di ritenere tutelato dall’ordinamento lo svolgimento di un’attività criminosa, la piena liceità della condotta tenuta. Poiché, invece, nel caso che interessa i contenuti delle intercettazioni in questione erano afferenti alle indicazioni fornite dal (omissis) al (omissis) sulle modalità di perpetrazione del delitto in provvisoria contestazione, è di tutta evidenza come esse, essendo indubbiamente esuberanti rispetto al corretto esercizio di un incarico professionale o, comunque, esulando rispetto ai limiti della lecita attività professionale, non possano essere protette dalle guarentigie di cui all’art. 271, comma 2, cod. proc. pen..

(…)Nel caso di specie, emerge chiaramente la esistenza di una spiccata connessione investigativa ove si rifletta sulla circostanza che le condotte attribuite al (omissis) sono emerse a seguito, appunto, delle indagini volte alla verifica della liceità penale delle metodiche operative che il ricordato commercialista (omissis) suggeriva ai propri clienti al fine di fornire quelli che, con singolare ma significativo eufemismo, l’ordinanza impugnata riferisce essere definiti “servizi di cosiddetta ottimizzazione fiscale””.

Per quanto riguarda la configurabilità del delitto p. e p. dall’art. 11 del d.lgs n.74/2000 la Corte di Cassazione ha richiamato i noti principi sedimentati sulla predetta norma incriminatrice e di seguito si riporta il quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte:

Cassazione penale sez. III  17 novembre 2017 n. 15133.

Il delitto previsto dall’ art. 11, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , è reato di pericolo, integrato dall’uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare – secondo un giudizio “ex ante” – l’attività recuperatoria della amministrazione finanziaria, anche se il valore dei beni sottratti alla garanzia patrimoniale dell’erario è inferiore alla soglia di punibilità di 50.000 euro di imposta evasa. (Nella fattispecie, la S.C. ha annullato l’ordinanza che, in sede cautelare, aveva disposto il dissequestero di un immobile ritenuto oggetto di cessione fraudolenta, per il solo fatto che il valore dello stesso era inferiore alla soglia di rilevanza penale del reato).

Cassazione penale sez. III  27 settembre 2017 n. 232.

In tema di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, anche una singola operazione di scissione societaria può essere idonea, se valutata in relazione non soltanto al momento in cui l’atto di scissione viene posto in essere, ma anche in relazione alle vicende successive alla scisssione, a costituire quell’atto negoziale fraudolento e/o simulato idoneo ad integrare il reato in questione.

Cassazione penale sez. V, 20 giugno 2017 n. 35591.

È configurabile il concorso tra delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, alla luce della diversità del soggetto- autore degli illeciti (nel primo caso, tutti i contribuenti, nel secondo, soltanto gli imprenditori falliti) e del differente elemento psicologico tra i reati (rispettivamente, dolo specifico e dolo generico) .

Cassazione penale sez. III  16 maggio 2017 n. 10161.

Se è ben vero che l’atto dispositivo di un bene tanto mobile quanto immobile rende di per sé maggiormente difficoltosa ed incerta l’esazione del credito, essendo il denaro bene fungibile per eccellenza e quindi più facilmente occultabile, tanto da legittimare l’esperibilità dell’azione revocatoria in sede civile, non può tuttavia perciò ritenersi integrata la finalità fraudolenta sul piano penale, dovendo l’atto dispositivo essere caratterizzato da un “quid pluris”, ovverossia dalla modalità ingannevole attraverso il quale viene realizzato.

Cassazione penale sez. III  28 febbraio 2017 n. 29243.

Le operazioni compiute dall’amministratore di una società di capitali, nei cui confronti sia stato avviato un accertamento fiscale, consistenti nella cessione di quote e nel trasferimento immobiliare tramite conferimenti di rami d’azienda, possono integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, di cui all’art. 11 d.lg. n. 74 del 2000.

Cassazione penale sez. III  23 novembre 2016 n. 3095.

In tema di reati tributari, i beni immobili appartenenti a soggetto indagato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, alienati per far venir meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario, sono suscettibili di sequestro preventivo per la successiva confisca ai sensi dell’art. 240, comma primo, cod. pen., in quanto costituiscono lo strumento per mezzo del quale è stato commesso il reato, a nulla rilevando la loro qualificazione anche come prezzo o profitto di tale delitto.

Cassazione penale sez. III  04 aprile 2012 n. 21013.

In tema di reati tributari, la costituzione di un fondo patrimoniale integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in quanto è atto idoneo ad ostacolare il soddisfacimento di una obbligazione tributaria. Né è necessario secondo l’indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità, ai fini della sussistenza degli elementi costitutivi di detto reato, che sia già in atto una procedura di riscossione, essendo sufficiente che l’atto sia di per sé solo idoneo ad impedire il soddisfacimento totale o parziale del fisco.

Cassazione penale sez. III  18 maggio 2011 n. 36290.

Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è reato di pericolo e non di danno, sicché, ai fini del perfezionamento, non è richiesta la sussistenza di una procedura di riscossione in atto.

Cassazione penale sez. III  10 giugno 2009 n. 38925.

Ai fini della integrazione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte non è necessario che sia in corso una procedura di riscossione ma è sufficiente l’idoneità dell’atto simulato o qualificato come fraudolento a rendere inefficace, in tutto o in parte, una procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato (nella specie, è stato ritenuto atto idoneo a limitare le ragioni del fisco la costituzione di un fondo patrimoniale avente ad oggetto tutti i beni mobili ed immobili della società).

Cassazione penale sez. III  06 marzo 2008 n. 14720.

In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74) commesso mediante simulazione contrattuale, è idonea a configurare gli “atti fraudolenti” richiesti dalla norma non solo la simulazione oggettiva sotto forma della veridicità e congruità del prezzo pattuito, ma anche la simulazione soggettiva intesa quale interposizione fittizia di persona. (Fattispecie di vendita simulata mediante stipula di un apparente contratto di sale and lease back) .

Cassazione penale sez. III  04 aprile 2006 n. 17071.

Per la sussistenza del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non occorre che nei confronti del contribuente sia stata avviata un’azione esecutiva.

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