Bancarotta per effetto delle operazioni dolose per l’amministratore della società cooperativa che accumula debiti non versando sistematicamente imposte e contributi.
E’ il principio di diritto fissato dalla quinta sezione della cassazione con la sentenza numero 11096/2024 – depositata il 15/03/2024, chiamata allo scrutinio di legittimità in ordine al reato previsto e punito dall’art. 223, secondo comma, n.2 legge fallimentare, nel caso di specie contestato ad un soggetto che aveva ricoperto la carica di amministratore della società cooperativa per un arco temporale precedente la dichiarazione di fallimento dell’Ente.
La Suprema Corte nel rigettare il ricorso di legittimità e richiamando principi già elaborati in ordine agli elementi costitutivi della bancarotta per effetto delle operazioni dolose, ha ritenuto destituite di fondamento le censure difensive, stigmatizzando come l’uso strumentale ed anti concorrenziale della società cooperativa che accumula debiti ed offre sul mercato mano d’opera a prezzi inferiori a quelli di mercato, integri a pieno l’illiceità penale sanzionata dal reato fallimentare in parola:
“Nel caso in esame, le sentenze di merito hanno posto in luce come sia stato accertato, all’esito del dibattimento, che la società fallita aveva maturato una esposizione debitoria nei confronti dell’Erario e degli enti previdenziali per un ammontare di 1.722.970,56 euro, ovvero per la quasi totalità dell’intero passivo, pari a 1.925.403,92 euro; e come il totale e sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie e contributive avesse determinato il dissesto della società cooperativa.
Quest’ultima, secondo la ricostruzione della sentenza di primo grado, non oggetto di specifiche censure in questa sede, lungi dal perseguire lo scopo mutualistico tra uguali e dallo svolgere la parte essenziale della propria attività a favore dei consoci, si era sostanzialmente caratterizzata per essere un serbatoio di manodopera a prezzi concorrenziali, praticabili grazie alla possibilità di utilizzare il modello cooperativo per ottenere un costo del lavoro inferiore.
E ciò anche perché, fin dall’inizio, l’obiettivo realmente perseguito era stato quello di utilizzare l’ente mutualistico come una «bara erariale a tempo», atteso che non venivano pagati i tributi e gli oneri previdenziali e che si era proceduto, dopo pochi anni, alla cancellazione della società cooperativa dal registro delle imprese, per poi procedere alla creazione di un’altra cooperativa identica ad opera degli stessi soggetti, con passaggio indiretto dei soci lavoratori, chiamati a svolgere lo stesso lavoro, nello stesso posto e per lo stesso cliente”.
By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.