Non sussiste reato tributario ma peculato per il legale rappresentante della struttura alberghiera che omette o ritarda il versamento dell’imposta di soggiorno.

Con la sentenza n. 32058/2018 depositata il 12.07.2018, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il delitto di peculato resa in appello nei confronti del legale rappresentante di una struttura alberghiera il quale ha ritardato il versamento della imposta di soggiorno per un importo complessivo di 15.000 Euro.

Di seguito i passaggi motivazionali più rilevanti.

La qualifica assunta dai gestori delle strutture ricettive esula pertanto dall’ambito della responsabilità d’imposta, sicché il gestore è un terzo rispetto all’obbligazione tributaria ed il suo coinvolgimento avviene ad altro titolo, ossia quale destinatario di obblighi formali e strumentali all’esazione del tributo comunale.

Ne discende che il rapporto tributario intercorre esclusivamente tra il Comune (come soggetto attivo) e colui che alloggia nella struttura ricettiva (soggetto passivo), mentre il Comune si rapporta con il gestore non come soggetto attivo del rapporto tributario, bensì quale destinatario giuridico delle somme incassate dal gestore a titolo di imposta di soggiorno, nell’ambito di un rapporto completamente avulso dal rapporto tributario, sebbene ad esso funzionalmente orientato e correlato.

(…) il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che ha ricevuto denaro per conto della pubblica amministrazione realizza l’appropriazione sanzionata dal delitto di peculato nel momento stesso in cui egli ne ometta o ritardi il versamento, cominciando in tal modo a comportarsi “uti dominus” nei confronti del bene del quale ha il possesso per ragioni d’ufficio. Integra pertanto il delitto di peculato, che è un reato a consumazione istantanea (Sez. 6, n. 12141 del 19/12/2008, dep. 2009, Lombardino, Rv. 243054), la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che omette o ritarda di versare ciò che ha ricevuto per conto della P.A., in quanto tale comportamento costituisce un inadempimento non ad un proprio debito pecuniario, ma all’obbligo di consegnare il denaro al suo legittimo proprietario, con la conseguenza che, sottraendo la “res” alla disponibilità dell’ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile, egli realizza una inversione del titolo del possesso “uti dominus” (Sez. 6, n. 53125 del 25/11/2014, Renni, Rv. 261680). Nel caso di specie, come posto correttamente in risalto dai Giudici di merito, i versamenti sono stati effettuati a distanza di diversi mesi dalla scadenza del termine previsto, sebbene le somme di denaro ricevute dai soggiornanti fossero entrate nella diretta disponibilità della pubblica amministrazione non appena versate a colui che, per legge, era stato incaricato di riscuoterle.

(…) riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio l’amministratore e legale rappresentante di una società privata che, anche in assenza di un preventivo, specifico incarico da parte della pubblica amministrazione, proceda effettivamente e materialmente alla riscossione della imposta di soggiorno, in considerazione della natura prettamente pubblicistica della sua attività, sì come direttamente disciplinata dalle norme di diritto pubblico istitutive della relativa imposta”.

Si segnala, poi, la rilevanza del principio di diritto statuito dalla Suprema Corte e dalla giurisprudenza contabile della Corte dei Conti, richiamato nella motivazione della sentenza in commento, secondo il quale il gestore alberghiero, già dal momento dell’incasso dell’imposta di soggiorno, è qualificabile come agente contabile nei confronti del Comune in forza del rapporto di servizio instaurato con l’Ente pubblico territoriale che prevede l’attività di riscossione e versamento di denaro, dunque implicante la disponibilità materiale di denaro pubblico.

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