La Cassazione annulla la sentenza del Tribunale cautelare che addebita al socio unico responsabilità penali ascrivibili al legale rappresentante della società di capitali.

Si segnala la sentenza n. 40239/2018 resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione e  depositata in data 10.09.2018, con la quale i giudici di Piazza Cavour hanno annullato con rinvio un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli che aveva parzialmente confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP in sede limitatamente ai delitti di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione contestati all’imputato nella qualità di socio unico di una s.r.l..

La Corte di legittimità ha accolto il ricorso della difesa che ha denunciato vizio di legge e di motivazione stigmatizzando l’erroneo convincimento del Tribunale cautelare secondo il quale sussistessero in capo al socio unico della società di capitali gli obblighi fiscali propri del legale rappresentante o dell’amministratore di fatto; ruoli che nella fattispecie sottoposta allo scrutinio del collegio di legittimità risultavano pacificamente ricoperti da soggetti diversi dal ricorrente all’epoca della commissione dei fatti di cui all’incolpazione provvisoria.

Di seguito il passaggio motivazionale di maggiore rilievo ed interesse:

Va premesso che gli artt. 4 e 5 del d.lgs. 74/2000 puniscono i reati di dichiarazione infedele ed omessa dichiarazione; si tratta di reati propri perché l’obbligo della presentazione spetta, come correttamente rilevato alla difesa, al legale rappresentante o all’amministratore di fatto. L’art. 1 comma 4 del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, richiamato dall’art. 8, prevede che «La dichiarazione dei soggetti diversi dalle persone fisiche è sottoscritta, a pena di nullità, dal rappresentante legale, e in mancanza da chi ne ha l’amministrazione anche di fatto, o da un rappresentante negoziale». Sulla natura di reato omissivo proprio del delitto ex art. 5 d.lgs. 74/2000 cfr. Cass. Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, Porzio, Rv. 265087”.

Dunque, la motivazione del Tribunale del riesame di Napoli è stata censurata perché ha ricollegato alla sola qualità di socio unico della s.r.l. (omissis) l’obbligo di presentazione delle dichiarazioni al di fuori dei soggetti incolpabili secondo il perimetro punitivo della norma, evidenziando, altresì che l’addebito non era neppure sorretto da una ipotesi di concorso di persone nel reato che ne avrebbe potuto estendere le comminatorie all’extraneus.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74/2000:

Cassazione penale sez. III  10 maggio 2018 n. 26274  

La ritenuta sussistenza del “fumus commissi delicti” ai fini dell’adozione di una misura cautelare reale in relazione al reato di dichiarazione infedele previsto dall’ art. 4 d.lg. 10 marzo 2000 n. 74 ben può fondarsi, ove trattisi di redditi derivanti dall’esercizio di professioni, sulla presunzione legale che costituiscano “ricavi”, ai sensi dell’ art. 32 d.P.R. n. 600/1973 , (pur dopo la modifica apportata dall’ art. 7 quater, comma 1, lett. a, d.l. n. 193/2016 , conv. con modif. in l. n. 225/2016 ), quelli risultanti da versamenti sui conti correnti del professionista che quest’ultimo non sia in grado di giustificare diversamente, nulla rilevando in contrario la parziale dichiarazione di incostituzionalità del citato art. 32, pronunciata con sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014 , avendo essa avuto ad oggetto l’equiparazione tra attività imprenditoriale ed attività professionale solo limitatamente ai prelevamenti dai conti correnti e non ai versamenti.

Cassazione penale sez. III  10 maggio 2018 n. 26274  

I professionisti, ai fini dell’esclusione dal computo per la determinazione del reddito di imposta, devono dimostrare, con riferimento alle sole operazioni di versamento in conto corrente, che le stesse non rientrano tra i compensi riferibili alla loro attività, potendo diversamente costituire proventi utili ai fini dell’eventuale integrazione della fattispecie di dichiarazione infedele.

Cassazione penale sez. III  26 ottobre 2017 n. 9378  

A seguito della introduzione dell’art. 10 bis l. 212/2000 (cd. Statuto del contribuente), ad opera del d.lg. n. 128/2015, che al comma 13 stabilisce che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, non è più configurabile il reato di dichiarazione infedele in presenza di condotte puramente elusive ai fini fiscali, in quanto detta disposizione esclude che operazioni esistenti e volute, anche se prive di sostanza economica e tali da realizzare vantaggi fiscali indebiti, possano integrare condotte penalmente rilevanti. La portata dell’art. 4 d.lg. 74/2000, per effetto di tale innovazione, che ha sottratto all’area del penalmente rilevante le condotte costituenti mero abuso del diritto, è stata delimitata in negativo. Conseguentemente va revocata, ex art. 673 c.p.p. la sentenza di condanna in tutti quei casi in cui le operazioni che hanno comportato l’infedeltà della dichiarazione siano state effettivamente realizzate, seppur con finalità elusive.

Cassazione penale sez. III  19 ottobre 2017 n. 4733  

In tema di reati tributari, la confisca può essere adottata anche a fronte dell’impegno assunto dal contribuente di pagamento all’erario, producendo, tuttavia, effetti solo ove si verifichi l’evento futuro e incerto costituito dal mancato pagamento del debito. Precisando ciò, la Cassazione ha accolto il ricorso contro l’applicazione della misura ablatoria su tutta la somma dovuta per dichiarazione infedele, malgrado la totale estinzione del debito fosse arrivata prima della sentenza di patteggiamento.

Cassazione penale sez. III  22 settembre 2017 n. 53137  

Integra il delitto previsto dall’art. 5 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, l’omessa presentazione della dichiarazione di redditi provenienti da attività illecita da parte del titolare di una ditta individuale determinata dall’esigenza di non fornire all’amministrazione prove a sé sfavorevoli, giacché, salvo specifiche previsioni di legge di segno contrario, il principio processuale del “nemo tenetur se detegere” non può dispiegare efficacia al di fuori del processo penale e pertanto non giustifica la violazione di regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva.

Cassazione penale sez. VII  13 luglio 2017 n. 44293  

Ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 d.lg. 74 del 2000, la mancata conoscenza, da parte dell’operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 cod. pen., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extrapenale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la condanna dall’imputato imprenditore, ritenendo non scusabile l’invocata mancata conoscenza delle prescrizioni contenute nell’art. 8 d.P.R. n. 633 del 1972 riguardanti le cessioni all’esportazione non imponibili).

Cassazione penale sez. III  29 marzo 2017 n. 37849  

Deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali (fattispecie relativa alla contestazione nei confronti di un medico del reato di cui all’art. 5, d.lg. n. 74 del 2000, perché quale soggetto residente in Italia ai sensi dell’art. 2, d.P.R. n. 917/86, al fine di evadere le imposte sui redditi delle persone fisiche, non presentava, essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali relative a dette imposte dovute).

Cassazione penale sez. III  21 aprile 2017 n. 38016  

In tema di violazioni finanziarie, ricorre il reato di dichiarazione infedele in presenza di comportamenti simulatori – nella specie negozi collegati tra loro apparentemente finalizzati a cessione di partecipazione societaria – preordinati alla “immutatio veri” del contenuto della dichiarazione ex art. 4 del d.lg. n. 74 del 2000 ed integranti una falsità ideologica che connota il fatto evasivo incidendo sulla veridicità della dichiarazione per occultare in tutto o in parte la base imponibile, sicché non si applica la disciplina dell’abuso del diritto ex art. 10-bis della l. n. 212 del 2000 che ha portata solo residuale

Cassazione penale sez. III  24 febbraio 2017 n. 19196  

In tema di reati tributari, il termine dilatorio di novanta giorni, concesso al contribuente – ai sensi dell’art. 5, comma secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario, non si configura quale elemento di una causa di non punibilità, ma costituisce un termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, e per individuare il momento consumativo del reato di omessa dichiarazione previsto al comma primo del citato art. 5; detto termine è quindi privo di valenza scriminante nei confronti di chi, alla scadenza del termine ordinario, era tenuto a presentare la dichiarazione, eventualmente anche in concorso con il nuovo obbligato nei novanta giorni di proroga. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto corretta la condanna del rappresentante di una società, dimessosi appena dopo la scadenza del termine ordinario).

Cassazione penale sez. III  19 luglio 2016 n. 48578  

Il termine di prescrizione del reato di omessa dichiarazione, di cui all’art. 5 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, decorre dal novantunesimo giorno successivo alla scadenza del termine ultimo stabilito dalla legge per la presentazione della dichiarazione annuale; termine che, con riferimento alla dichiarazione 2008 relativa al periodo di imposta 2007, deve essere individuato nel 30 settembre 2008, anzichè nell’ordinario 31 luglio, per effetto della proroga disposta dall’art. 3 del D.L. n. 97 del 2008, convertito con modificazioni dalla L. n. 129 del 2008.

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