Cade il reato di esercizio non autorizzato della professione se il sanitario adegua lo studio con la normativa regionale più favorevole.
Di seguito si offre in commento la sentenza n. 40079/2018, depositata in data 06.09.2018, nella quale la III Sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di autorizzazioni all’esercizio della professione medico-sanitaria in relazione alla vicenda di uno studio medico sottoposto a sequestro in quanto carente delle prescritte autorizzazioni amministrative e tuttavia restituito al titolare a seguito di modifica normativa inerente la procedura di rilascio dell’autorizzazione.
La fattispecie e la decisione assunta dalla Suprema Corte sono di estremo interesse per gli esercenti la professione sanitaria il sui studio potrebbe essere attinto da un provvedimento cautelare reale che ne inibisca l’uso con ogni intuibile conseguenza patrimoniale e professionale.
Il caso e lo svolgimento del processo
Il Gip del Tribunale di Perugia disponeva il sequestro preventivo di uno studio medico di proprietà di una s.r.l. ed in uso al medico titolare dello studio, il quale esercitava presso il predetto studio varie prestazioni sanitarie, tra cui la pratica medica dell’agopuntura in assenza delle prescritte autorizzazioni, essendo l’indagato in possesso unicamente dell’autorizzazione alla realizzazione della struttura sanitaria prevista dall’art. 1 del Regolamento Regionale n. 2 del 25.2.2000, ma non anche dell’autorizzazione dell’esercizio delle attività sanitarie di cui all’art. 4 del Regolamento Regionale n.2 del 25.2.2000, tra cui rientrava, appunto, anche la pratica dell’agopuntura.
A carico del predetto professionista veniva quindi contestata la fattispecie di reato di cui all’art. 193 del R.D. n. 1265 del 27.7.1934 in relazione all’art. 8 ter del d.lgs. 502/1992.
Il Tribunale di Perugia, Sezione Riesame, accoglieva l’istanza di riesame proposta dall’indagato, in favore del quale disponeva la restituzione dello studio quale effetto dell’adozione, da parte della Giunta Regionale Umbra, della delibera n. 904 del 28.07.2017, con cui era stata completamente modificata la procedura prevista in tema di autorizzazioni di esercizio di attività sanitarie, prevedendosi cioè (art. 9) che, una volta ottenuta l’autorizzazione alla realizzazione della struttura in ambulatorio, è sufficiente una semplice comunicazione di inizio dell’attività medica, a seguito della quale il sanitario può subito iniziare a praticare l’attività medica, con diritto di accertamento successivo da parte della Regione, per cui, avendo l’indagato comunicato alla Regione, con raccomandate del 28 giugno e del 9 agosto 2017, è stato ritenuto non più ravvisabile il pericolo di protrazione della condotta illecita.
Contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Perugia, deducendo mancanza/contraddittorietà della motivazione e inosservanza della legge penale in particolare deducendo che il provvedimento impugnato avrebbe ritenuto una disposizione regionale, fonte normativa di secondo grado, capace di incidere su di una norma penale in violazione dell’art. 117, comma 2, lett. l) Cost..
La decisione della Cassazione e il punto di diritto
La Corte ritiene il ricorso del PG inammissibile.
Per quanto concerne la doglianza del ricorrente relativa alla presunta inosservanza della legge penale Il Supremo Collegio si è pronunciata nei seguenti termini.
“Del pari inammissibile è il secondo motivo, con il quale si deduce la violazione di legge, in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato, ritenendo che una disposizione regionale di secondo grado potesse incidere sull’ambito di operatività di una norma statale presidiata da sanzione penale. Ed infatti il provvedimento impugnato ha motivatamente escluso il periculum che fu ravvisato dal giudice che dispose il sequestro nella circostanza che il medico continuasse ad esercitare la attività in discorso, senza autorizzazione, in ragione della sopravvenuta modifica relativa alle modalità di rilascio della autorizzazione, ad opera della delibera regionale n. 904 del 28 luglio 2017 e della circostanza che l’interessato avesse seguito la nuova procedura (abilitandosi a svolgere la attività subordinata alla mera denuncia e non più al rilascio di una autorizzazione).
Del pari non appare fondato il motivo con il quale si esclude che rientri nella potestà regionale la modifica del procedimento abilitativo, giacchè, pur escludendosi il potere regionale di dettare il precetto penale, nondimeno deve affermarsi la sussistenza potestà integrativa del precetto normativo valorizzata dalla stessa norma (art. 8 ter del Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502) ove si chiarisce che le regioni determinano :
- a) le modalità e i termini per la richiesta e l’eventuale rilascio della autorizzazione alla realizzazione di strutture e della autorizzazione all’esercizio di attività sanitaria e socio- sanitaria, prevedendo la possibilità del riesame dell’istanza, in caso di esito negativo o di prescrizioni contestate dal soggetto richiedente;
- b) gli ambiti territoriali in cui si riscontrano carenze di strutture o di capacità produttiva, definendo idonee procedure per selezionare i nuovi soggetti eventualmente interessati.
Né d’altra parte assume rilievo, venendo meno per norma successiva gli estremi del reato contestato, la circostanza che la norma regionale semplificativa sia entrata in vigore successivamente alla pronuncia della sentenza di appello”.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di esercizio non autorizzato della professione sanitaria e sociosanitaria:
Cassazione penale sez. VI 27 giugno 2013 n. 37422
Integra il reato previsto dall’art. 193 r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, la gestione non autorizzata di una casa di riposo per anziani nella quale vengono svolte attività tipicamente sanitarie (nella specie consistenti nella somministrazione di farmaci e nell’assistenza medica ed infermieristica continuativa a pazienti non autosufficienti), irrilevante essendo che le terapie siano praticate dai medici di famiglia dei pazienti ricoverati.
Cassazione penale sez. III 18 aprile 2007 n. 21806
Un centro estetico nel quale viene svolta attività consistente in trattamenti di medicina estetica, con l’uso di apparecchiatura laser per la depilazione, deve essere qualificato come “ambulatorio”. Per l’apertura o il mantenimento in esercizio dello stesso è quindi necessaria l’autorizzazione sanitaria prevista dall’art. 193 t.u. delle leggi sanitarie n. 1265 del 1934 (la S.C. ha precisato che l’autorizzazione in parola è richiesta per tutte le strutture che abbiano un’interna organizzazione di mezzi e personale diretta alla cura di talune malattie, anche di natura dermatologica, le quali in relazione alla loro funzione assumono un’individualità propria distinta da quella dei sanitari che vi prestano la propria opera. Sono invece esclusi dall’autorizzazione gli studi dei professionisti liberi ove il singolo sanitario esercita la propria professione e dove si accede normalmente per appuntamento.
Cassazione penale sez. III 04 aprile 2007 n. 20474
Perché sussista la necessità dell’autorizzazione prevista dall’art. 193 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 (T.u. leggi sanitarie), non è richiesto che l’attività ambulatoriale si estrinsechi in prestazioni terapeutiche, essendo, al contrario, sufficiente anche la mera attività diagnostica, allorché la stessa presenti aspetti organizzativi di assoluta prevalenza rispetto a quelli medici.
Cassazione penale sez. III 22 marzo 2005 n. 17434
In relazione alla contravvenzione prevista dall’art. 193 t.u.l. san., che punisce l’esercizio non autorizzato di un’attività sanitaria svolta con finalità speculative da operatori privati, è legittimo il sequestro probatorio di uno studio odontoiatrico e delle relative attrezzature, gestito senza la prescritta autorizzazione sanitaria. Infatti, le “istituzioni sanitarie private” svolgenti attività ambulatoriale, che devono essere autorizzate, sono gli ambulatori dotati di propria individualità e autonomia organizzativa o comunque aperti al pubblico, a eccezione degli studi privati senza dipendenti e che non presentano targhe di pubblicità sanitaria (in pratica sono esclusi dal regime autorizzatorio quegli studi privati, sovente coincidenti con l’abitazione del sanitario, dove questi, senza strutture di sorta, riceve i propri pazienti).
Cassazione penale sez. III 04 giugno 2002 n. 20509
Non integra il reato di cui all’art. 193 del t.u. delle leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934 n. 1265, e successive modificazioni, l’esercizio di un poliambulatorio specialistico da parte di una Usl, senza il previo rilascio dell’autorizzazione prevista dalla suddetta disposizione normativa, dovendosi ritenere necessaria tale autorizzazione, ora di competenza della stessa Usl, soltanto nel caso di attività svolta da soggetti privati.
Cassazione penale sez. VI 10 dicembre 1985
In tema di gestione di un laboratorio di analisi cliniche da parte di un medico, l’abilitazione all’esercizio della professione medica non comprende l’autorizzazione all’esercizio dell’attività diagnostica di ricerca, che deve affiancarsi alla prima, secondo un quadro di compatibilità, imposto da superiori esigenze di pubblico interesse. (Fattispecie in tema di apertura di un laboratorio di analisi cliniche da parte di un medico, che precedentemente era in società con altro sanitario debitamente autorizzato e che si era trasferito in altro locale).
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