Reati fallimentari: la condotta di ipervalutazione dei beni societari in sede di ammissione al concordato preventivo integra la fattispecie dell’art. 236 L. Fall. solo se è l’imprenditore il soggetto attivo del reato.
In tema di reati fallimentari si segnala la sentenza n. 42591/2018, depositata il 27.09.2018, nella quale Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine agli elementi della fattispecie del reato di cui all’art. 236 l. fall.
Agli imputati, tratti a giudizio nella qualità di amministratori e soci illimitatamente responsabili di una s.n.c., veniva contestato di aver sopravvalutato beni societari e essersi attribuiti crediti inesistenti nell’istanza di ammissione al concordato preventivo in guisa tale da falsare il giudizio del ceto creditorio circa l’opportunità di aderire alla procedura concordataria.
I Giudici di legittimità, pur riconoscendo che i fatti ì commessi dagli imputati siano riconducibili nell’alveo della norma incriminatrice contestata, hanno ritengono che agli stessi non possa essere ascritto il reato de quostante il tenore letterale della norma che indica quali soggetti attivi esclusivamente alcune figure specifiche dell’organizzazione aziendale.
Sulla materialità del fatto e la riconducibilità della condotta di sopravvalutazione dei cespiti nel perimetro punitivo dell’art. 236 L.F. si segnala il seguente passaggio motivazionale:
“… in merito alla rilevanza della condotta di sopravalutazione di attività ai fini della configurabilità del reato di cui al primo comma dell’art. 236 legge fall., la giurisprudenza di questa Corte – nelle rare occasioni in cui ha avuto modo di pronunziarsi – si è espressa in termini apparentemente discordanti.
Infatti, secondo Sez. 5, n. 9392 del 3 luglio 1991, D’Amico, Rv. 188188, la sopravalutazione di beni effettivamente esistenti nel patrimonio del fallito non può ritenersi tipica alla luce della lettera della citata disposizione, la quale si riferirebbe esclusivamente alla condotta dell’imprenditore, che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo (ed all’epoca anche di amministrazione controllata), si sia attribuito attività inesistenti. Successivamente Sez. 5, n. 3736 del 26 gennaio 2000, Simoncelli, Rv. 215721, ha invece ritenuto che la formula normativa ricomprenda anche l’omessa indicazione di debiti e la sopravvalutazione di immobili, e, dunque, la simulazione o la dissimulazione, anche parziale, dell’attivo o del passivo e ciò in quanto la stessa richiamerebbe in maniera sintetica il più ampio ventaglio di comportamenti fraudolenti previsti dalle disposizioni fallimentari quale presupposto della trasformazione “sanzionatoria” della procedura alternativa in fallimento.
Il principio affermato dalla sentenza D’Amico è senza dubbio condivisibile, essendo indubbio che l’errata valutazione di attività effettivamente esistenti nel patrimonio del fallito sia condotta che travalica il tenore letterale della norma incriminatrice. Va però precisato chel’attribuzione di attività inesistenti è condotta integrata anche quando la sopravalutazione si traduca nella vera e propria esposizione di poste attive sostanzialmente insussistenti, come nel caso in cui lo scostamento dal valore reale di queste ultime sia tale da far apparire come esistente un bene intrinsecamente diverso da quello realmente presente nel patrimonio dell’imprenditore. Nella ricostruzione dell’effettivo significato della locuzione normativa è infatti necessario, come opportunamente sottolineato nella sentenza Simoncelli, fare riferimento alla ratio dell’incriminazione e, dunque, alla peculiare funzione informativa che la comunicazione dell’imprenditore sulla propria consistenza patrimoniale svolge ai fini della valutazione giudiziale dell’ammissione alla procedura concordataria e di quella del ceto creditorio sull’opportunità di aderirvi.
Sulla natura del reato e l’individuazione del soggetto:
“(…)soggetto attivo del reato di cui al primo comma dell’art. 236 legge fall. è esclusivamente l’imprenditore individuale(Sez. 5, n. 14773 del 2 giugno 1989, Danesi, Rv. 182422). Invero in dottrina non si è mancato di evidenziare l’incomprensibilità della scelta legislativa, ma la lettera della disposizione citata non consente ampliamenti in via interpretativa che si risolverebbero nell’applicazione dell’analogia in malam partem, atteso che, quando il legislatore ha inteso estendere le incriminazioni previste dalla legge fallimentare ai soggetti titolari di cariche societarie, lo ha indicato in maniera espressa. Né è possibile superare i limiti esegetici della norma incriminatrice ricorrendo alla clausola di estensione della responsabilità ai soci illimitatamente responsabili di società in nome collettivo di cui all’art. 222 legge fall., posto che, espressamente, tale disposizione riguarda esclusivamente le fattispecie di bancarotta propria previste nel Capo I del Titolo IV della suddetta legge e cioè quelle previste dagli artt. 216, 217 e 218 della medesima”.
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Riferimenti normativi
Art. 236 R.D. n. 267/1942 (legge fallimentare)
Concordato preventivo e, accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, e convenzione di moratoria e amministrazione controllata
“E’ punito con la reclusione da uno a cinque anni l’imprenditore, che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo o di ottenere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari o il consenso degli intermediari finanziari alla sottoscrizione della convenzione di moratoria di amministrazione controllata, siasi attribuito attività inesistenti, ovvero, per influire sulla formazione delle maggioranze, abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti.
Nel caso di concordato preventivo o di amministrazione controllata, si applicano:
1) le disposizioni degli artt. 223 e 224 agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società;
2) la disposizione dell’art. 227 agli institori dell’imprenditore;
3) le disposizioni degli artt. 228 e 229 al commissario del concordato preventivo o dell’amministrazione controllata;
4) le disposizioni degli artt. 232 e 233 ai creditori.
Nel caso di accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari o di convenzione di moratoria, si applicano le disposizioni previste dal secondo comma, numeri 1), 2) e 4)”.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento sul reato di cui all’art. 236 l.fall.
Cassazione penale sez. V 06 ottobre 2016 n. 50675
In tema di bancarotta fraudolenta, pur dovendosi ammettere che, in linea di principio, l’avvenuta approvazione, da parte dei creditori, di una proposta di concordato preventivo con ristrutturazione del debito, e la conseguente omologa di detta proposta da parte del tribunale, non escludano l’astratta possibilità di configurazione del reato (espressamente prevista, del resto, dall’art. 236 l. fall..), ove risulti che la procedura concordataria sia stata utilizzata in frode ai creditori, tanto da poter dar luogo alla revoca prevista dall’art. 173 l. fall. (senza che, peraltro, sia necessario che questa preceda l’instaurazione del procedimento penale), non può, tuttavia, ritenersi che tale condizione possa essere riconosciuta sulla sola base di un diverso apprezzamento, pur se proveniente da fonte qualificata (quale, nella specie, il commissario giudiziale), circa il maggior valore che sarebbe stato da attribuire a cespiti di cui sia stata effettuata la cessione nell’ambito della procedura concordataria.
Cassazione penale sez. V 28 maggio 2014 n. 26444
In tema di reati fallimentari, le condotte distrattive poste in essere prima dell’ammissione al concordato preventivo rientrano, anche nel caso in cui la società non sia poi dichiarata fallita, nell’ambito previsionale dell’art. 236, comma 2, l. fall. il quale, in virtù dell’espresso richiamo all’art. 223 l. fall., punisce i fatti di bancarotta previsti dall’art. 236 l. fall., commessi da amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società fallite.
Cassazione penale sez. V 10 febbraio 2012 n. 16000
La fattispecie penale di cui all’art. 236, comma 2, n. 1, l. fall., che estende agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società le incriminazione di cui agli artt. 223 e 224 l. fall., non ha subito modifiche per effetto della riforma. E’ consentito l’ esercizio anticipato dell’azione penale , ex art. 238 l. fall., e dunque l’applicazione delle misure cautelari, anche nel caso del reato di cui all’art. 236, comma 2, n. 1, l. fall., stante l’equiparazione, quanto agli effetti penali, del decreto di ammissione al concordato preventivo, alla sentenza di fallimento. L’ equiparazione dello stato di crisi allo stato di insolvenza rende indifferente, sempre agli effetti penali, il presupposto di ammissione.
Cassazione penale sez. un. 30 settembre 2010 n. 43428
Il liquidatore nominato nel concordato preventivo con cessione dei beni non è soggetto attivo dei reati di bancarotta fraudolenta o semplice richiamati nell’art. 236 comma 2 n. 1 l. fall., in quanto non si identifica con alcuno dei soggetti espressamente indicati nella suddetta disposizione ed in particolar modo, tra questi, con i “liquidatori di società”.
Cassazione penale sez. V 26 gennaio 2000 n. 3736
Il reato previsto dall’art. 236 l. fall. punisce, con la dizione “attribuzione di attività inesistenti e simulazione di crediti in tutto o in parte inesistenti”, anche l’omessa indicazione di debiti e la sopravvalutazione di immobili, e, dunque, la simulazione o la dissimulazione, anche parziali, dell’attivo o del passivo.
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