La Cassazione conferma l’interdizione totale all’esercizio della professione per il sanitario che abbia costretto la paziente a subire atti sessuali durante il controllo ospedaliero.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 24653/2019 – depositata il 3.06.2019, con cui la Suprema Corte si è pronunciata sulla legittimità della misura interdittiva della sospensione della professione sanitaria disposta nei confronti di un medico accusato di violenza sessuale.

Nel caso di specie il Collegio di legittimità ha ritenuto sussistente l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato da parte del sanitario indiziato del reato di cui all’art. 609 bis cod. pen. in ragione  della potenziale minaccia che incombe sui futuri pazienti che dovessero venire in contatto con il sanitario sottoposto ad indagine penale.

L’imputazione penale e il giudizio cautelare.

Il Tribunale di Napoli, chiamato a pronunciarsi sull’appello cautelare promosso dal pubblico ministero, riformava parzialmente l’ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Benevento,disponendo l’applicazione della misura interdittiva alla professione medica, per una durata di 12 mesi  nei confronti dell’imputato che nella qualità di medico di guardia, dato il rifiuto della paziente ad essere sottoposta ad una visita ginecologica, costringeva la ragazza a subire atti sessuali contro la sua volontà.

Il ricorso per cassazione.

Avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale delle Libertà di Napoli nel giudizio di appello cautelare,  interponeva un duplice ricorso per Cassazione l’indagato, censurando il provvedimento de quosia per il profilo dei gravi indizi di colpevolezza, sia per la sussistenza delle esigenze cautelari  delle esigenze cautelari e alla colpevolezza, chiedendone consequenzialmente l’annullamento.

Il giudizio di legittimità Il giudizio di legittimità ed i principi di diritto.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano più significati passaggi estratti dal compendio motivazionale della sentyenza in commento alla cui lettura si rimanda per gli ulteriori approfondimenti:

  1. Sulla valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle risultanze probatorie nel giudizio di merito:

“il motivo è inammissibile perché rivolto ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi in considerazione dai giudici di secondo grado, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione del Tribunale di Napoli, senza offrire elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale sui punti decisivi del gravame.”

“(…) In particolare- contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa- il Tribunale- dopo aver evidenziato la piena attendibilità del racconto della persona offesa, rimasto lineare ed immutato nel tempo- si è confrontato con le risultanze della visita ginecologica effettuata dopo lo svolgimento dei fatti e ha correttamente ritenuto che, nonostante la (omissis) non avesse ancora avuto rapporti sessuali completi, l’assenza di lacerazioni interne era da imputarsi alle modalità della condotta, tradottasi nella penetrazione vaginale con le dita, oltre tutto non violenta e durata poco tempo, a causa del diniego manifestato dalla vittima. Tale argomentazione, logica e coerente, non si pone in contrasto neppure con i dolori lamentati dalla persona offesa nell’immediatezza dei fatti, conseguenza del tutto ordinaria su persona costretta a subire toccamenti delle parti intime, seppure con modalità non aggressive e dunque inidonee a lasciare evidenti segni di violenza.

Parimenti corretta si ritiene l’argomentazione relativa al profilo degli indumenti indossati dalla vittima, non così stretti da impedirne l’abbassamento da parte del medico- e al dato “prospettico”. Infatti, è del tutto plausibile- come correttamente segnalato dai giudici della cautela- che la persona offesa avesse ricostruito l’accaduto proprio punto di visuale errando, pertanto, nell’identificazione della mano con la quale l’indagato aveva proceduto all’ispezione vaginale.

Assolutamente logica, risulta poi, l’argomentazione del Tribunale di Napoli con riferimento all’elemento dirimente dell’assenza del consenso manifestato dalla vittima allo svolgimento della visita ginecologica.

E’ chiaro infatti, che la persona offesa, già scettica rispetto alla necessità di prestarsi alla visita, che poco aveva a che fare con il dolore lamentato, aveva fatto affidamento sul corretto esercizio della professione del medico.”

  1. Sulla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari per l’applicazione della misura interdittiva nei confronti del medico:

“ A tal proposito si rileva che il principio richiamato dalla difesa secondo cui per ritenere attuale il pericolo concreto di reiterazione del reato è necessario ipotizzare anche la certezza o comunque l’elevata probabilità che l’occasione per commettere il delitto si verificherà (ex multis, Sez. 3,n. 37097 del 19/05/2015) è stato correttamente applicato al Tribunale.

Secondo la corretta valutazione dell’ordinanza, è palese, infatti, che l’indagato si ritroverebbe nella possibilità di porre nuovamente in essere le condotte di violenza di cui si discute, dal momento che svolge l’attività medica ed è costantemente a contatto con pazienti di ogni età.

Certamente non va rilevato il fatto il (omissis) non sia uno specialista ginecologo, perché, nel caso di specie, ha posto in essere la condotta contestata proprio suggerendo alla persona offesa di sottoporsi ad una visita ginecologica che nulla aveva a che fare con il malessere fisico da lei lamentato. Tanto basta- a fronte delle generiche valutazioni difensive di segno contrario proposte con i ricorsi, per ritenere sussistenti le esigenze cautelari per l’applicazione della misura di interdizione dallo svolgimento dell’attività nella sua massima durata, nonché per giustificare la sua  estensione allo svolgimento dell’attività privata, per nulla diversa da quella pubblica con riferimento alla sussistenza del rischio di reiterazione della condotta contestata.”

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Quadro normativo di riferimento:

Art 609-bis c.p.p, violenza sessuale:

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità  costringe taluno a compiere o subire atti sessuali  è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Art 290 c.p.p., Divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali:

  1. Con il provvedimento che dispone il divieto di esercitare determinate professioni, imprese o uffici direttivi delle persone giuridichee delle imprese, il giudiceinterdice temporaneamente all’imputato, in tutto o in parte, le attività a essi inerenti.
  2. Qualora si proceda per un delittocontro l’incolumità pubblicao contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio ovvero per alcuno dei delitti previsti dalle disposizioni penali in materia di società e di consorzi [2621ss.] o dagli articoli 353355373380 e 381 del codice penale, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 287 comma 1.

Art. 20, codice di deontologia medica, Rispetto dei diritti della persona:

Il medico deve improntare la propria attività professionale al rispetto dei diritti fondamentali della persona.

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Riepilogo della giurisprudenza di riferimento in tema di responsabilità penale del medico e interdizione dall’esercizio della professione:

Cassazione penale, sez. IV, 03/05/2018 , n. 27420

In tema di applicazione di misure interdittive all’indagato per omicidio colposo per colpa professionale, il giudice, può desumere l’attualità e concretezza del pericolo di reiterazione del reato anche dalla condotta tenuta dall’indagato nel caso concreto. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto immune da censure l’ordinanza del tribunale per il riesame che, con riferimento alla misura interdittiva della sospensione temporanea dall’esercizio della professione medica, aveva desunto il pericolo di reiterazione del reato dalla manifestata pervicacia dell’indagato nell’applicare la terapia omeopatica, anziché antibiotica, rivelatasi inidonea a evitare la morte di un bambino, in assenza di significativi miglioramenti delle condizioni del paziente, e dalla mancanza di un vaglio critico manifestata dall’indagato dopo il fatto in ordine alla convinzione di una superiorità della medicina omeopatica rispetto a quella tradizionale).

Corte europea diritti dell’uomo sez. III, 12/01/2016, n.33427:

Il ricorrente è un medico andoregno il quale è stato condannato per abusi sessuali a cinque anni di reclusione con interdizione perpetua alla professione. Dopo circa quattro anni intervenne provvedimento di grazia, che tuttavia alcun riferimento conteneva alle pene accessorie. Da qui la lamentata violazione della Convenzione con riferimento all’art. 7 CEDU (legalità della pena).Va rilevato che il principio della retroattività della legge penale più favorevole era stata riconosciuta dal nuovo (2005) codice penale di Andorra.La Corte europea riafferma il principio della applicazione retroattiva della lex mitior .

Cassazione penale , sez. VI , 27/01/2016 , n. 6275

È confermata la misura interdittiva della sospensione dai pubblici uffici per sei mesi del direttore sanitario, nonché presidente della commissione ufficio procedimenti disciplinari dell’azienda ospedaliera per omessa assunzione di qualunque iniziativa disciplinare nei confronti del medico che non ha attestato nelle schede operatorie da lui redatte l’attiva partecipazione a due interventi chirurgici di un medico non autorizzato, nonostante le esplicite e specifiche informazioni ricevute.

Cassazione penale, sez. VI, 11/02/2013 , n. 11806

È illegittimo il provvedimento che, per fronteggiare il pericolo di recidiva, applichi la misura del divieto di accesso dell’indagato in alcuni specifici edifici ove egli svolga attività lavorativa pubblica, trattandosi di finalità al cui soddisfacimento sono preordinate le disposizioni dettate in materia di misure interdittive previste dagli art. 289 o 290 c.p.p., che stabiliscono rispettivamente la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio ovvero il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali, astrattamente applicabili nella specie, inerente a condotte addebitate ad un medico in servizio presso ente pubblico.

Cassazione penale, sez. IV, 03/11/2011, n. 42588

Ai fini dell’applicazione di una misura interdittiva (nella specie sospensione temporanea dall’esercizio dell’attività professionale nei confronti di un medico accusato di omicidio colposo) il giudice deve esaminare ed apprezzare compiutamente le concrete modalità di commissione del fatto costituente reato e tutti gli altri parametri enunciati nell’art. 133 c.p. che possono evidenziare la personalità del soggetto; occorre, inoltre, considerare il grado della colpa, valutando il grado di difformità della condotta dell’autore rispetto alle regole cautelari violate, al livello di evitabilità dell’evento ed al quantum di esigibilità dell’osservanza della condotta doverosa pretermessa.

Cassazione penale sez. VI, 06/03/1995, n.9297:

L’interdizione temporanea dall’esercizio della professione, conseguente ad ogni condanna per delitti commessi con l’abuso di una professione, riguarda nel suo complesso l’attività il cui legittimo esercizio esige una speciale abilitazione e non soltanto il settore specializzato in cui essa viene in concreto espletata. (Nella specie è stato rigettato il ricorso di un medico odontoiatra – condannato per il reato di cui agli art. 110-348 c.p., per avere consentito ad un odontotecnico l’attività di medico odontoiatra presso il proprio studio dentistico – il quale deduceva la violazione dell’art. 31 c.p. per essere stata inflitta l’interdizione temporanea dalla professione di medico-chirurgo anziché dall’attività di odontoiatra).

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