La Cassazione annulla la sentenza di condanna dove l’alta probabilità di sopravvivenza del paziente coincide con una percentuale del 59%.

Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza n. 24922/2019 -depositata il 5.06.2019, con cui la Corte di Cassazione è tornata pronunciarsi sulla responsabilità penale del sanitario affrontando i temi della colpa mediante omissione e del nesso causale, giungendo ad una diversa pronuncia  rispetto alle posizioni di garanzia dei due medici coinvolti nel processo.

Il caso clinico, l’imputazione e il processo di merito.

La Corte di appello di Roma confermava la penale responsabilità dei due medici tratti a giudizio innanzi al Tribunale capitolino per rispondere dell’omicidio colposo della paziente.

In particolare, ai sanitari, avvicendatisi nella cura della paziente, veniva contestato di non aver correttamente individuato la causa del decadimento della condizioni cliniche della degente la quale, ad un mese dall’intervento chirurgico di asportazione di due miomi, continuava a mostrare sintomi di febbre e fuoriuscita di pus, dovuto ad una peritonite purulenta in atto causa efficiente  della morte.

Il nucleo dell’incolpazione penale secondo l’impostazione accusatoria consiste nell’avere i sanitari sottovalutato negligentemente il dato clinico della paziente, omettendo, quindi, di effettuare gli opportuni esami strumentali che avrebbero consentito di individuare la patologia e somministrare una terapia idonea a contrastare l’infezione in atto evitando il peggioramento della peritonite ed il susseguente shocksettico che ha portato al decesso della donna.

Il ricorso per cassazione.

Avverso la sentenza della Corte territoriale di Roma interponevano ricorso per cassazione le difese dei giudicabili, censurando il provvedimento de quocon plurimi motivi di doglianza per vizio motivazionale e violazione di legge impingenti il travisamento delle prova e l’errato apprezzamento della prova scientifica sul nesso causale la cui sussistenza non sarebbe stata accertata correttamente secondo lo schema logico-giuridico del giudizio controfattuale.

La decisione della Cassazione ed il principio di diritto.

La Suprema Corte ha accolto i ricorsi annullando la sentenza impugnata con effetto definitivamente assolutorio per il sanitario in quanto nel momento in cui eseguì la visita l’exitussi presentava già come irreversibile; diversamente, per il medico che aveva visitato la paziente nei giorni precedenti, è stato disposto l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio indicando i principi di diritto cui si dovrà uniformare la Corte distrettuale nello scrutinare la condotta omissiva (colpa) ed il nesso eziologico.

Di seguito si riportano i passaggi di maggiore interesse per gli operatori di diritto e gli operatori del settore sanitario, estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento:

  1. Il travisamento della consulenza tecnica del PM:

il giudice a quo non ha fatto buon governo dei principi appena delineati. La Corte d’appello ha infatti argomentato nel senso che, secondo quanto accertato dai consulenti tecnici del PM, la data del 3 dicembre era quella a partire dalla quale i medici sarebbero stati nelle condizioni di poter ipotizzare che la deiscenza della ferita stesse evolvendo in peritonite, ovvero che il pus maleodorante provenisse dalle viscere e non dalla ferita. I giudici hanno altresì affermato l’irrilevanza della condotta assunta dal (omissis)il 10 dicembre poiché, a fronte dell’irreversibilità della situazione registrata il giorno successivo, anche ove il giorno 10 fosse stata formulata una corretta diagnosi, la stessa non avrebbe potuto modificare l’evoluzione della vicenda ed impedire la morte ovvero produrre l’allungamento della vita. Hanno quindi limitato alle visite del 5, 7 e 8 dicembre il perimetro temporale della condotta colposa dei prevenuti, sostenendo appunto che nel corso di tali visite gli imputati avrebbero potuto e dovuto rendersi conto della gravità della situazione (evoluzione della ferita in peritonite) ed apprestare le cure del caso.

  1. L’errata applicazione del giudizio controfattuale sul nesso di causalità fra condotta colposa ed evento lesivo:

“Tuttavia, la motivazione è carente e non conforme ai principi di diritto dianzi accennati in tema di accertamento del nesso di causalità, con specifico riferimento all’ambito della colpa medica, nella parte in cui i giudici di merito si limitano a sostenere che una corretta diagnosi dei medici, nelle date indicate,avrebbe consentito di salvare la vita alla (omissis) in termini di «elevata probabilità ed in particolare in termini maggiori del 59%», secondo quanto riferito dai consulenti tecnici del PM.

Si tratta di un’affermazione chiaramente erronea, oltre che manifestamente illogica e contraddittoria, essendo evidente che una percentuale intorno al 59% non può costituire indice di “elevata probabilità” di sopravvivenza, non fosse altro perché residuerebbe una altrettanto elevata percentuale di morte della paziente pari al 41%.

Soprattutto, l’argomentazione adottata dalla Corte territoriale trascura di considerare i precisi insegnamenti della Suprema Corte in tema di nesso causale, riguardo alla necessità, come si ricordava innanzi, di corroborare i dati statistici provenienti dalle leggi scientifiche utilizzate, con precisi elementi fattuali, di carattere indiziario, idonei a comprovare, con elevato grado di credibilità razionale, che una tempestiva diagnosi dei medici avrebbe certamente salvato la vita della paziente.Nulla di tutto questo è presente nella sentenza impugnata, al di là di generiche considerazioni sulla giovane età, sulla “tempra forte” e sulle buone condizioni di salute della (omissis), che evidentemente non possono spostare più di tanto un dato percentuale di mortalità (intorno al 41%) particolarmente elevato.

In definitiva, l’analisi sul nesso eziologico – con particolare riguardo, nella specie, al giudizio controfattuale corrispondente al quesito: l’evento non si sarebbe verificato se la diagnosi fosse stata tempestiva? – è stata svolta dai giudici di merito in termini assolutamente erronei ed insoddisfacenti, trascurando di pervenire, fra l’altro, ad un attendibile giudizio esplicativo in ordine al momento esatto di insorgenza della malattia e al decorso della stessa, indispensabile per verificare in termini di alta probabilità logica se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato ragionevolmente evitato o differito con (umana) certezza (cfr. Sez. 4, n. 5901 del 18/01/2019, OLIVA PAOLO C/ NAVARRA GIUSEPPE, Rv. 275122).”

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Rassegna giurisprudenziale in materia di responsabilità medica omissiva e nesso eziologico tra omissione ed evento lesivo:

Cassazione penale sez. IV, 22/06/2018, n.47748:

L’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca a inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga a un inquadramento erroneo ma anche qualora si ometta, di eseguire o disporre controlli e accertamenti doverosi, ai fini di una corretta formulazione della diagnosi. D’altronde, allorché il sanitario si trovi di fronte a una sintomatologia idonea a condurre alla formulazione di una diagnosi differenziale, la condotta è colposa allorquando non si proceda alla stessa e ci si mantenga invece nell’erronea posizione diagnostica iniziale.

Cassazione penale sez. IV, 26/04/2018, n.24384

In tema di colpa, l’imprudenza consiste nella realizzazione di un’attività positiva che non si accompagni nelle speciali circostanze del caso a quelle cautele che l’ordinaria esperienza suggerisce di impiegare a tutela dell’incolumità e degli interessi propri e altrui (affermazione resa nell’ambito di procedimento a carico di un medico, cui era stata qualifica come “imprudente” la condotta che si assumeva colposa assunta nella vicenda che aveva portato al decesso una paziente; la Corte, nell’annullare con rinvio la decisione di condanna, ha osservato come impropriamente fosse stata ravvisata l’imprudenza sul rilievo che la condotta tenuta dal medico, più che un’attività positiva, era consistita – secondo la stessa corte di merito – in un’omessa o incompleta diagnosi, accompagnata da una sottovalutazione della sintomatologia che la paziente presentava, dall’omessa prescrizione di accertamenti strumentali a fini diagnostici e dalla prescrizione di un presidio terapeutico generico: situazioni che, semmai, potevano ascriversi al profilo della negligenza, in parte, e sotto altro profilo, a quello dell’imperizia).

Cassazione penale sez. IV, 10/10/2017, n.50038:

L’errore nella trasfusione di sangue di gruppo diverso al paziente è un errore di gravità tale da dover essere considerato come dotato di “esclusiva forza propria nella determinazione dell’evento” anche rispetto ad un precedente errore medico, conseguendone che il processo causale innescato dalla consegna di sangue di un particolare gruppo destinato ad un paziente diverso dalla vittima è caratterizzato esclusivamente da errori che rappresentano lo sviluppo ulteriore dell’originario iter eziologico.

Cassazione penale sez. un., 24/04/2014, n.38343:

Nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. (Fattispecie in cui la suprema Corte ha escluso il nesso causale tra la condotta omissiva consistita nella mancata realizzazione di un impianto antincendio automatico e l’aggravante di cui all’art. 437, comma 2, c.p., alla stregua del giudizio controfattuale per cui, valutate le circostanze concrete in ordine ai necessari tempi di realizzazione, l’impianto non sarebbe stato comunque ultimato in epoca antecedente alla verificazione del disastro).

Cassazione penale sez. IV, 10/05/2012, n.20650:

In tema di responsabilità omissiva del medico per la morte del paziente, la verifica dell’esistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva del sanitario e l’evento lesivo presuppone l’effettuazione del cd. “giudizio controfattuale” diretto a stabilire se l’azione o le condotte positive ritenute doverose e invece omesse, nel caso concreto, ove ipotizzate come poste in essere dall’imputato, sarebbero state idonee a evitare l’evento o a ritardarne significativamente la sopravvenienza: tale verifica deve in concreto operarsi, in termini di ragionevole certezza (“alto grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”), secondo tutte le circostanze che connotano il caso, e non già in termini di mera probabilità statistica pur rivelatrice di “serie e apprezzabili probabilità di successo” per l’azione impeditiva dell’evento, Sezioni Unite, 10 luglio 2002, Franzese. (Nella fattispecie, si contestava ai medici l’avvenuto decesso del paziente, sul rilievo che questi, pur in presenza di una sintomatologia – dolore toracico intermittente – che avrebbe dovuto indurre il sospetto di un’angina ingravescente, avevano omesso di richiedere una consulenza cardiologia e di effettuare i necessari accertamenti diagnostici – il dosaggio degli enzimi cardiaci – che avrebbero consentito di instaurare con urgenza la terapia necessaria, dimettendo anzi il paziente, poi deceduto, con l’errata diagnosi di patologia di origine gastrica: la Corte ha annullato con rinvio la decisione, rilevando come fosse mancato il suindicato giudizio controfattuale, risolto in modo apodittico e immotivato con l’affermazione che se il paziente “fosse rimasto in ospedale, anche nell’ipotesi in cui non fossero stati effettuati gli esami ematochimici… avrebbe potuto ricevere le cure necessarie e salvarsi”).

Cassazione penale sez. IV, 06/11/2007, n.840:

In tema di responsabilità professionale medica, è da ritenersi di natura commissiva e non omissiva la condotta del medico che adotti una terapia errata (e quindi ometta di somministrare quella corretta), con la conseguenza che in tale caso il giudizio controfattuale si esaurisce nella verifica delle conseguenze derivanti dall’eliminazione mentale della condotta realmente posta in essere, non dovendosi spingere alla valutazione delle conseguenze della condotta impeditiva nei fatti non realizzata (nella specie, la Corte ha ravvisato la responsabilità del medico a titolo di omicidio colposo per aver somministrato le terapie in dosaggi superiori a quelli previsti e senza tener conto della pericolosità dei fattori di accumulo).

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