Il Giudice penale può ricavare la prova della consumazione del reato di omessa dichiarazione utilizzando l’attività di investigazione tributaria anche per via presuntiva.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 36491/2019 – depositata il 28.08.2019, con la quale la Suprema Corte si è pronunciata sui criteri legali della prova necessaria e sufficiente a ritenere dimostrata la penale responsabilità  in ordine ai treati tributari, nella fattispecie scrutinata di omessa dichiarazione.

L’imputazione ed il doppio grado di merito

La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pavia che aveva condannato alla pena di anni due di reclusione ed alle correlate pene accessorie l’imputato tratto  a giudizio per i reati di cui agli artt. 81 cpv cod. pen. e 5 d.lgs 74/2000, rideterminava la pena in mesi nove di reclusione, previa riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva di cui all’art. 99, comma 1, cod. pen. e riduceva a mesi nove la durata della pena accessoria dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Contro la sentenza di secondo grado interponeva ricorso per cassazione la difesa della giudicabile per ottenerne la riforma, articolando plurimi motivi di impugnazione censurando, per quanto di interesse per l’analisi della sentenza in commento, l’utilizzo in sede processuale penale degli atti formati durante l’accertamento tributario.

Secondo la tesi difensiva tali atti transitati nel fascicolo per il dibattimento erano da considerare inutilizzabile o comunque inidonei a ritenere raggiunta la prova della penale responsabilità del giudicabile oltre ogni ragionevole dubbio.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per manifesta infondatezza delle censure elevate nei confronti della sentenza di appello.

Di seguito si riportano i passaggi estratti del compendio motivazionale  della sentenza in commento che affrontano lo specifico punto della prova presuntiva nei processi tributari:

(i) La valenza probatoria in sede penale dell’avviso di accertamento.

Questa Corte ha affermato che le patologie dell’avviso di accertamento si esauriscono nell’ambito del rapporto giuridico processual-tributario e attengono esclusivamente alla pretesa che con esso viene esercitata dall’Erario.

Tali patologie, invece, non incidono sulla attitudine dell’atto a veicolare nel processo penale le informazioni che se ne possono trarre.

 In particolare, si è osservato che in sede tributaria l’avviso di accertamento è l’atto con cui l’Erario promuove la pretesa all’esatto adempimento dell’obbligazione tributaria: esso è atto di impulso che per la sua validità deve possedere specifici requisiti il cui rispetto è presidiato dalla sanzione di nullità che paralizza la pretesa stessa. In sede penale l’avviso di accertamento subisce, però, una trasformazione genetica: esso non è più atto di impulso, ma documento che veicola informazioni (Sez.3, n.35294 dell 2/04/2016, Rv.267544, in motivazione)”.

 

(ii) L’onere difensivo che impone di specificare l‘incidenza decisiva ai fini della decisione assunta dal giudice a quo degli atti dei quali si eccepisce la inutilizzabilità.

“La Corte territoriale, nel disattendere il motivo di appello con il quale si contestava l’utilizzabilità degli atti ispettivi e dell’avviso di accertamento come prova in sede penale, ha fatto buon governo del principio di diritto suesposto ed il motivo di ricorso, pertanto, risulta manifestamente infondato.

La doglianza, peraltro, presenta un ulteriore profilo di inammissibilità per genericità, in quanto l’accertamento tributario non ha costituito l’unica fonte di prova sulla quale si è basata l’affermazione di responsabilità, avendo i Giudici di merito dato rilievo probatorio anche ai documenti contabili.

La doglianza è, quindi, priva della necessaria specificità perché formulata senza in alcun modo prospettare a questa Corte la possibile, ed in ipotesi, decisiva influenza degli elementi asseritamente inutilizzabili sulla complessiva motivazione posta a fondamento della contestata affermazione di responsabilità.

Questa Corte, infatti, con orientamento (Sez.2, n.7986 del 18/11/2016, dep.20/02/2017, Rv.269218; Sez.6,n.18764 del 05/02/2014, Rv.259452;Sez. 4, n. 18764 del 5.2.2014, Rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2.10.2014, dep. 2015, Rv. 262011) che il Collegio condivide e ribadisce, ha osservato che, nei casi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità o la nullità di una prova dalla quale siano stati desunti elementi a carico, il motivo di ricorso deve illustrare ,a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento”.

 

(iii) L’utilizzo della prova induttiva nei processi per reati tributari.

“Va richiamato il principio di diritto, secondo cui, in tema di reati tributari, ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, il giudice può legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli uffici finanziari (Sez. 3, n. 24811 del 28/04/2011, Rv. 250647; Sez. 3, n. 40992 del 14/05/2013, Rv. 257619)

E’ stato affermato, da un lato, che in tema di reati tributari, ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice può fare legittimamente ricorso ai verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, nonché ricorrere all’accertamento induttivo dell’imponibile quando le scritture contabili imposte dalla legge siano state irregolarmente tenute (Sez. 3, n. 5786 del 18/12/2007 – dep. 06/02/2008,D’Amico, Rv. 238825) e, dall’altro, che il giudice può legittimamente fondare il proprio convincimento, in tema di responsabilità dell’imputato per omessa annotazione di ricavi, sia sull’informativa della G.d F. che abbia fatto riferimento a percentuali di ricarico attraverso una indagine sui dati mercato, che sull’accertamento induttivo dell’imponibile operato dall’ufficio finanziario quando la contabilità imposta dalla legge non sia stata tenuta regolarmente.

Ciò a condizione che il giudice non si limiti a constatarne l’esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in esso evidenziati, ma proceda a specifica, autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti aliunde (Sez. 3, n. 1904 del 21/12/1999, dep. 21/02/2000, Zarbo E, Rv. 215694).

Nella specie, la Corte territoriale ha offerto sul punto articolata motivazione, basata su autonoma valutazione delle risultanze dell’accertamento induttivo in relazione ad approfondito esame del materiale probatorio acquisito (pagg 8,9 e 10 della sentenza impugnata), risultando, conseguentemente, accertato il superamento della soglia di punibilità”.

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Riferimento normativo.

Art. 5.  Omessa dichiarazione 

  1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila.

1-bis.  E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque non presenta,  essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila.

  1. Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

Quadro giurisprudenziale in tema di omessa dichiarazione.

Cassazione penale sez. III, 12/06/2019, n.36387

Il delitto di omessa presentazione della dichiarazione da parte del sostituto di imposta si consuma, ai sensi del d.lg. n. 74 del 2000, art. 5, comma 2, allo scadere del termine dei 90 giorni successivi all’originario termine tributario.

Cassazione penale sez. III, 29/03/2019, n.26196

In tema di IVA, essa è collocata in un sistema chiuso di rilevanza sovranazionale, che prevede la tracciabilità di tutte le fatture, attive e passive, emesse nei traffici commerciali, a nulla rilevando l’eventuale sussistenza di costi effettivi non registrati, i quali, invece, possono essere considerati con riferimento alle imposte dirette, non vincolate al rispetto di stringenti oneri documentali. Pertanto, ai fini della configurabilità dei reati in materia di IVA, la determinazione della base imponibile, e della relativa imposta evasa, deve avvenire solo sulla base dei costi effettivamente documentati, non rilevando l’eventuale sussistenza di costi non registrati.

Cassazione penale sez. III, 20/02/2019, n.19647

In materia di reati tributari, ai fini dell’individuazione della soglia di punibilità del delitto di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74 vigente “ratione temporis”, deve farsi riferimento al momento della consumazione del reato, che va fissato nel termine di novanta giorni dalla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all’imposta sui redditi o all’I.v.a. (In motivazione, la Corte ha precisato che la soglia di punibilità era originariamente fissata in una evasione di euro 77.000 con riferimento a taluna delle singole imposte; poi, è stata rideterminata in euro 30.000 dall’art. 2, comma 36 vicies semel, lett. f), d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. in l. 14 settembre 2011 n. 148 e, da ultimo, è stata stabilita in euro 50.000 dall’art. 5, comma 1, lett. a) d.lg. 24 settembre 2015, n. 158).

Cassazione penale sez. III, 16/01/2019, n.8700

In tema di reati tributari, il giudice, per determinare l’ammontare dell’imposta evasa, deve effettuare una verifica che, pur non potendo prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l’imponibile, risente delle limitazioni derivanti dalla diversa finalità dell’accertamento penale, con la conseguenza che occorre tenere conto dei costi non contabilizzati solo in presenza, quanto meno, di allegazioni fattuali, da cui desumere la certezza o, comunque, il ragionevole dubbio della loro esistenza. (Nella fattispecie, la Corte ha affermato che, ai fini della legittimità della deduzione, da parte di una società avente sede in Germania e con stabile organizzazione in Italia, dei costi di direzione e di quelli generali di amministrazione sostenuti in Italia, deve essere dimostrato, con idonea attestazione tecnico-contabile, il requisito dell’inerenza dei costi all’oggetto dell’attività – prescritto dalla normativa fiscale italiana e dall’art. 7 della Convenzione Italia – Germania firmata a Bonn il 18.10.1989 sul divieto di doppia imposizione fiscale, ratificata con l. n. 459 del 1992 – e l’inesistenza di duplicazione di costi).

Cassazione penale sez. III, 03/10/2018, n.53656

È’ manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 Cost. e 6 Cedu, la q.l.c. del combinato disposto degli artt. 5 d.lg. 10 marzo 2000, n. 7414 l. 24 dicembre 1993, n. 537 e 36, comma 34-bis, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, nella parte in cui queste disposizioni prevedono, al fine di non commettere il reato di omessa presentazione della dichiarazione di redditi, l’obbligo di presentare la dichiarazione all’Agenzia delle Entrate, ancorchè riguardi redditi provenienti da attività illecita, in quanto il principio del “nemo tenetur se detegere” opera esclusivamente nell’ambito di un procedimento penale già avviato e deve ritenersi recessivo rispetto all’obbligo di concorrere alle spese pubbliche previsto dall’art. 53 cost.

Cassazione penale sez. III, 28/09/2018, n.2570

Il dolo specifico dei delitti di cui agli artt. 2, 5, 8 e 10 d.lgs. n. 74/2000 in capo all’amministratore di diritto di una società che abbia le caratteristiche di un ‘prestanome’ può essere desunto dal complesso dei rapporti tra questo e l’amministratore di fatto, nell’ambito dei quali assumono una decisiva valenza la macroscopica illegalità dell’attività svolta e la consapevolezza di tale illegalità da parte dell’amministratore di fatto.

 

Cassazione penale sez. III, 24/09/2018, n.47737

Il curatore fallimentare di una società che ha ceduto beni immobili ad altra società usata come “schermo” dagli imputati è legittimato a proporre istanza di revoca del sequestro per equivalente di tali beni immobili, purché abbia un interesse concreto ed attuale alla restituzione del bene. (Nella fattispecie, la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza con cui era stata respinta l’istanza di restituzione presentata dal curatore fallimentare della società cedente, nonostante che la restituzione dei beni dalla società “schermo” a questa fosse stata disposta con sentenza irrevocabile a seguito dell’accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare).

Cassazione penale , sez. III , 13/07/2018 , n. 50151

In tema di reato di omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi di cui all’ art. 5 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , si configura la “stabile organizzazione”, da cui deriva l’obbligo fiscale di un soggetto non formalmente residente, nel caso in cui una società estera, con una sede fissa di affari nel territorio italiano, effettua in Italia la sua attività mediante un’organizzazione di persone e di mezzi (cd. estero-vestizione della residenza fiscale); si ha, invece, una “società-schermo”, nell’ipotesi in cui l’ente, anche se allocato formalmente all’estero, è privo di concreta autonomia e costituisce solo una copertura attraverso la quale agisce la persona fisica, che è la titolare effettiva dell’attività economica e che, di conseguenza, è tenuta agli adempimenti fiscali.

Cassazione penale , sez. III , 21/06/2018 , n. 43627

In tema di reati tributari, l’utilizzo in compensazione di un credito Iva derivante da una dichiarazione omessa integra il reato di indebita compensazione di crediti inesistenti. Ad affermarlo è la Cassazione che si è pronunciata sul caso di un legale rappresentante di una cooperativa, condannato per omessa presentazione della dichiarazione e indebita compensazione di crediti Iva inesistenti, ex articoli 5 e 10 quater del Dlgs 74/2000 , per aver omesso il versamento delle imposte utilizzando un credito Iva scaturente dalla dichiarazione dell’anno precedente non presentata. In particolare, con una interpretazione molto rigida della disciplina, la Corte ha affermato che possono essere utilizzati in compensazione solo i crediti Iva risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.

Cassazione penale , sez. III , 06/06/2018 , n. 32500

In tema di reati finanziari e tributari, il delitto di omessa dichiarazione a fini i.v.a. è configurabile anche nel caso in cui siano state emesse fatture per operazioni inesistenti, in quanto, secondo la normativa tributaria, l’imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effettivo incasso, con conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione.

Cassazione penale sez. III  18/12/ 2017 n. 21639  

In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del delitto di omessa presentazione di dichiarazione Iva (art. 5 d.lgs.30 ottobre 2000 n. 74 del 2000), qualora vengano accertati ulteriori ricavi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente, nelle determinazione del debito imponibile il giudice penale deve accertare l’ammontare della imposta evasa tenendo conto di tutti gli elementi – costi, ricavi, proventi e oneri – che concorrono alla sua formazione.

Cassazione penale sez. III  23/11/2017 n. 7000  

Nel delitto di omessa dichiarazione, previsto dall’ art. 5 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa ha natura di elemento costitutivo del reato e, come tale, deve formare oggetto di rappresentazione e volizione, anche a titolo di dolo eventuale, da parte dell’agente.

Cassazione penale sez. III  07/11/2017 n. 20856  

In tema di reati tributari, il reato di cui all’ art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , come modificato dal d.lgs.24 settembre 2015, n. 158 , è configurabile con la sola omissione della presentazione della dichiarazione, non essendo necessaria la dimostrazione della produzione di un effettivo danno economico per l’amministrazione finanziaria.

Cassazione penale sez. III  22/09/2017 n. 53137  

Integra il delitto previsto dall’art. 5 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, l’omessa presentazione della dichiarazione di redditi provenienti da attività illecita da parte del titolare di una ditta individuale determinata dall’esigenza di non fornire all’amministrazione prove a sé sfavorevoli, giacché, salvo specifiche previsioni di legge di segno contrario, il principio processuale del “nemo tenetur se detegere” non può dispiegare efficacia al di fuori del processo penale e pertanto non giustifica la violazione di regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva.

Cassazione penale sez. III  29/03/2017 n. 37849  

Deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali (fattispecie relativa alla contestazione nei confronti di un medico del reato di cui all’art. 5, d.lg. n. 74 del 2000, perché quale soggetto residente in Italia ai sensi dell’art. 2, d.P.R. n. 917/86, al fine di evadere le imposte sui redditi delle persone fisiche, non presentava, essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali relative a dette imposte dovute).

Cassazione penale sez. III  24/02/2017 n. 19196  

In tema di reati tributari, il termine dilatorio di novanta giorni, concesso al contribuente – ai sensi dell’art. 5, comma secondo, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – per presentare la dichiarazione dei redditi successivamente alla scadenza del termine ordinario, non si configura quale elemento di una causa di non punibilità, ma costituisce un termine ulteriore per adempiere all’obbligo dichiarativo, e per individuare il momento consumativo del reato di omessa dichiarazione previsto al comma primo del citato art. 5; detto termine è quindi privo di valenza scriminante nei confronti di chi, alla scadenza del termine ordinario, era tenuto a presentare la dichiarazione, eventualmente anche in concorso con il nuovo obbligato nei novanta giorni di proroga. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto corretta la condanna del rappresentante di una società, dimessosi appena dopo la scadenza del termine ordinario).

by Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA