E’ reato lo svolgimento di attività sanitarie organizzate all’interno di un centro polispecialistico in assenza dell’autorizzazione amministrativa regionale.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 47562/2019 – depositata il 22.11.2019, con la quale la Suprema Corte, chiamata a vagliare la legittimità del sequestro preventivo disposto nei confronti della struttura, operante come centro medico polispecialistico, ha confermato la misura cautelare impugnata ed i profili di responsabilità penale ascritti all’indagata perché sprovvista  dell’autorizzazione prevista dal R.D. 27/07/1934, n. 1265 per lo svolgimento di attività sanitarie avente natura ambulatoriale.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione, pur giungendo ad una declaratoria di inammissibilità del ricorso, in via incidentale ha confermato la natura di centro ambulatoriale della struttura oggetto del provvedimento ablatorio all’interno della quale erano presenti apparecchiature diagnostiche ed operavano ad orario continuato più professionisti sanitari erogando prestazioni di diversa natura.

L’incolpazione provvisoria ed il giudizio cautelare.

Il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria confermava il sequestro preventivo disposto nei confronti di un centro polispecialistico per violazione della normativa prevista dall’art 193 Regio Decreton.1265/1934 che subordina l’esercizio dell’attività ambulatoriale al rilascio dell’autorizzazione regionale.

Contro l’ordinanza di rigetto del Collegio cautelare veniva interposto ricorso ex art. 325 cod. proc. pen.

Il principio di diritto e il giudizio di legittimità.

Il Supremo Collegio ha dichiarato inammissibile il ricorso.

In particolare, la Suprema Corte, soffermandosi sul regime di obblighi previsti dalla normativa di settore ha esclude la natura di centro medico della struttura esercitabile in assenza delle predetta autorizzazione, confermando la sussistenza del reato in provvisoria contestazione.

Di seguito si riportano i passaggi estratti del compendio motivazionale della sentenza in commento, di maggiore interesse per gli operatori di diritto che si occupano del diritto penale dei professionisti sanitari.

(i) Il perimetro della incriminazione penale e la distinzione tra studio medico ed ambulatorio.

Deve rilevarsi che le censure della ricorrente esulano dai limiti fissati dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., per il ricorso in cassazione avverso misure cautelari reali, in quanto finalizzate a dolersi dell’illogicità o della contraddittorietà dell’ordinanza impugnata. In tema di misure cautelari reali, infatti, è ammesso il ricorso solo per violazione di legge, ovvero quando si tratti di errores in procedendo o in iudicando, oppure per radicale mancanza di motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009); e la ricorrente non censura l’interpretazione dell’art. 3 della legge della Regione Calabria n. 24 del 2008 o dell’art. 193 del r.d. n.1265 del 1934, ma, muovendo rilievi limitati alla motivazione del provvedimento, mostra di fare propria la consolidata distinzione tra “studio medico” e “ambulatorio”, secondo cui, per studio medico (che non necessita autorizzazione), si intende il luogo nel quale un professionista sanitario, regolarmente abilitato ed iscritto all’ordine o all’albo di competenza, esercita la propria attività professionale in forma singola od associata.

E le prestazioni effettuabili presso lo studio si caratterizzano come semplici visite senza l’utilizzo di apparecchi diagnostici complessi e senza azioni invasive che comportano un rischio per la sicurezza del paziente.

Invece, per ambulatorio (che necessita autorizzazione), si intende la struttura aperta al pubblico, con vincoli di giorni ed orari di apertura, avente individualità autonoma rispetto a quella dei professionisti che ne fanno parte, e natura giuridica d’impresa, con separazione tra attività professionale e gestione amministrativa; l’ambulatorio può essere gestito in forma individuale, associata o societaria e si avvale di professionisti sanitari. Anche a prescindere da tali assorbenti considerazioni, deve comunque rilevarsi che la motivazione del provvedimento impugnato prende in esame e confuta in modo esaustivo la prospettazione difensiva, della quale il ricorso per cassazione costituisce la sostanziale riproposizione.

 (ii) La rilevata natura di centro ambulatoriale ed il caso di specie:

“In particolare, quanto al fatto che i medici specialisti svolgessero attività sanitaria in forma privatistica, senza alcuna intermediazione prestata dalla società dell’indagata, la quale si limitava a fornire in locazione, ad ore, i locali destinati allo svolgimento di attività di studio professionale, con regolari contratti di “instant office”, il Tribunale correttamente evidenzia che «lo stesso atto costitutivo, prodotto dalla difesa, rivela che una rilevante componente organizzativa, non può che caratterizzare una società che ha ad oggetto, proprio come si desume dall’atto costitutivo, la prestazione di svariati servizi (nella predetta documentazione, infatti, non solo si fa riferimento ai servizi di instant office erogati, ma anche a servizi contabili, aziendali, tecnici, di risanamento delle aziende e di compliance aziendale)».”

“Per quel che riguarda gli elementi rappresentati dalla pluralità di attività mediche di diversa natura e tipologia, dall’orario di apertura al pubblico e dalla presenza di un ecografo multimediale, lo stesso Tribunale osserva che contribuiscono a definire la struttura come poliambulatorio, in quanto tale assoggettato al regime autorizzatorio ex art. 193 del r.d. n. 1265 del 1934, perché: all’interno dello studio de quo venivano espletate attività mediche di diversa natura e tipologia (dall’urologia, all’allergologia, alla chirurgia generale, alla reumatologia); la struttura risultava stabilmente aperta al pubblico con orario continuato (come agevolmente riscontrabile dalle indicazioni contenute nel sito Internet) e si avvaleva di un’apparecchiatura elettromedicale potenzialmente rischiosa per la salute e la sicurezza del paziente, quale un ecografo multimediale; esisteva un sistema centralizzato per la fissazione delle visite con i professionisti operanti nel centro.

Né tale ricostruzione può essere inficiata, come ben evidenziato dal Tribunale, dai contratti di locazione sottoscritti con i professionisti, perché dagli stessi emerge semplicemente che questi avrebbero esercitato la loro attività in autonomia, ma non anche quale fosse la natura – se di ambulatorio o di studio medico – di tale attività.”

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Riferimento normativo.

Art. 193 Regio decreto del 27/07/1934 – N. 1265:

Nessuno può aprire o mantenere in esercizio ambulatori, case o istituti di cura medico-chirurgica o di assistenza ostetrica, gabinetti di analisi per il pubblico a scopo di accertamento diagnostico, case o pensioni per gestanti, senza speciale autorizzazione del prefetto, il quale la concede dopo aver sentito il parere del consiglio provinciale di sanità.

L’autorizzazione predetta è concessa dopo che sia stata assicurata la osservanza delle prescrizioni stabilite nella legge di pubblica sicurezza per l’apertura dei locali ove si da alloggio per mercede.

Il contravventore alla presente disposizione ed alle prescrizioni, che il prefetto ritenga di imporre nell’atto di autorizzazione, è punito con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda da lire 1.000.000 a 2.000.000.

Il prefetto, indipendentemente dal procedimento penale, ordina la chiusura degli ambulatori o case o istituti di cura medico-chirurgica o di assistenza ostetrica ovvero delle case o pensioni per gestanti aperte o esercitate senza l’autorizzazione indicata nel presente articolo. Il prefetto può, altresì, ordinare la chiusura di quelli fra i detti istituti nei quali fossero constatate violazioni delle prescrizioni contenute nell’atto di autorizzazione od altre irregolarità. In tale caso, la durata della chiusura non può essere superiore a tre mesi. Il provvedimento del prefetto è definitivo.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento.

Tribunale Napoli sez. I, 06/11/2018, n.12166:

Anche per le contravvenzioni, come quella di esercizio di attività odontoiatrica in assenza dell’autorizzazione prevista dall’art. 193, R.D. n. 1265/34 (TULLSS), è necessario dimostrare che l’imputato abbia agito quanto meno per colpa, ovvero dimostrare una forma di negligenza o imperizia nel valutare la norma di settore e nel violarla.

Cassazione penale sez. VI, 13/11/2018, n.6129:

Integra il reato di esercizio abusivo della professione lo svolgimento dell’attività di odontoiatra da parte di soggetto che non sia iscritto al relativo albo nazionale, pur avendo conseguito l’abilitazione in altro Stato comunitario, in quanto la direttiva 2005/36/Ce sul riconoscimento delle qualifiche professionali prevede la libera prestazione dei servizi solo per attività temporanee ed occasionali, mentre per l’esercizio della professione, in modo stabile e continuativo, il d.lg. 9 novembre 2007, n.206 richiede l’iscrizione all’ordine professionale dei medici ed odontoiatri.

Consiglio di Stato sez. III, 09/01/2017, n.23:

Con riferimento alla contrapposizione tra “ambulatorio” e “studio medico”, basata sull’elemento organizzativo-strutturale, nel sistema dell’art. 193 r.d. 1265 del 1934 non sono sottoposte ad autorizzazione tutte indistintamente le attività sanitarie espletate da soggetti privati, ma solo quelle che danno luogo a una certa organizzazione di mezzi e di strutture del tipo indicato dalla norma, come ambulatori, case di cura, gabinetti di analisi.

Consiglio di Stato sez. III, 10/04/2015, n.1840:

L’art. 4, comma 1, lett. a) l. reg. Lazio n. 4 del 2003 non prevede in alcun modo che la gestione dell’attività ambulatoriale debba essere in forma societaria, limitandosi soltanto a prescrivere che sono soggette alle autorizzazioni regionali alla realizzazione all’esercizio “le strutture che erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale ivi comprese quelle riabilitative”; pertanto è illegittimo il provvedimento regionale che non conferma l’autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria in quanto la struttura non è gestita e organizzata in forma di azienda, impresa o di altro soggetto giuridico riconosciuto dalla legge.

Cassazione penale sez. VI, 13/11/2013, n.47532:

In tema di abusivo esercizio di una professione, lo svolgimento dell’attività di odontoiatra da parte dei cittadini dell’Unione europea in possesso del diploma rilasciato da uno Stato dell’Unione non configura gli estremi del reato previsto dall’art. 348 c.p. solo se l’interessato abbia presentato domanda al Ministero della sanità e questo, dopo aver accertato la regolarità dell’istanza e della relativa documentazione, abbia trasmesso la stessa all’ordine professionale competente per l’iscrizione. (Fattispecie in cui è stata confermata la condanna di un soggetto che aveva esercitato la professione di odontoiatra mentre era in corso la procedura di riconoscimento dei titoli rilasciati da altro paese membro dell’Unione europea).

Cassazione penale sez. VI, 27/06/2013, n.37422:

La gestione di una struttura dotata di una stabile organizzazione di mezzi e persone per lo svolgimento di attività tipicamente sanitaria, quale la somministrazione di farmaci e assistenza medica ed infermieristica continuativa a pazienti non autosufficienti, la colloca inequivocabilmente tra gli istituti sanitari disciplinati dal R.D. n. 1265/1934 art. 193 e la mancanza della prescritta autorizzazione configura il reato contemplato dalla suddetta disposizione.

By Claudio Ramelli @Riproduzione Riservata