Bancarotta fraudolenta patrimoniale: non costituisce distrazione la percezione da parte del socio di somme di denaro a titolo di compenso per la prestazione professionale svolta a favore della società fallita

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 13826.2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, esprimendosi in merito ad un caso di bancarotta fraudolenta patrimoniale, esprime il principio di diritto secondo il quale il socio unico della società che presti a favore della medesima opera professionale inquadrata dall’INPS nel lavoro autonomo, ha diritto, in quanto socio, alla percezione degli utili conseguiti dalla società, nonché, in quanto prestatore di un’opera professionale a favore della società, al compenso per il lavoro svolto, senza che ciò possa integrare condotta di distrazione.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, all’imputata, nella veste di socio unico della società fallita, in concorso con l’amministratore di diritto della stessa, era contestato il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per aver distratto le somme di denaro erogatele a titolo di retribuzione per il lavoro subordinato prestato in favore della società.

La Corte di appello di Trieste riformava parzialmente, in punto di determinazione delle pene principali e accessorie, la sentenza resa dal GUP di Udine, confermando in punto di penale responsabilità la sentenza del primo giudice che condannato la giudicabile per il reato addebitatole.

Il ricorso per  cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa della prevenuta proponeva ricorso per cassazione avverso la pronuncia di secondo grado, articolando plurimi motivi di impugnazione.

Ai fini del presente commento, riveste particolare interesse la deduzione relativa alla violazione dell’art. 2126 cod. civ. da parte della Corte territoriale, la quale ha erroneamente ritenuto che la formale immedesimazione del socio unico con la società ostasse al pagamento dell’opera prestata dal primo.

La tesi difensiva fa leva sull’accertamento ispettivo dell’INPS, che ha inquadrato la posizione del socio unico della fallita nel rapporto di lavoro autonomo, con conseguente necessità di iscrizione al regime contributivo dei lavoratori autonomi.

I Giudici di legittimità, nell’annullare la sentenza con rinvio per un nuovo esame ad altra sezione della Corte territoriale, negano la configurazione di una condotta distrattiva nella percezione di denaro da parte del socio unico, il quale, piuttosto, nella sua qualità di lavoratore autonomo presso la società, vanta il diritto di percepire il relativo compenso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento:

< Dal tenore della motivazione della sentenza impugnata, che si sofferma sulla ‘sinallagmaticità’ delle prestazioni della  [omissis] Srl. e della [omissis], la quale, in effetti, si era vista inquadrare dall’INPS l’opera prestata a favore della [omissis] Srl. in quella di un lavoratore autonomo, non sembra in discussione che la ricorrente, con il percepire le somme erogatele dalla società poi fallita, abbia inteso ripagarsi di un credito lavorativo. A fronte di tale rilievo in fatto, la Corte territoriale erra in diritto nel ritenere che il socio unico non abbia diritto a compensi per l’opera pur prestata in favore della società, in ragione di una sua generica immedesimazione in questa. Invero, deve, piuttosto, riconoscersi che il socio, in quanto tale, ha diritto agli utili (ove siano conseguiti) e, in quanto prestatore di un’opera professionale a favore della società, ha, comunque, diritto a un compenso. Tanto si trova chiaramente affermato nella giurisprudenza civile di legittimità, espressasi nel senso che ben può il socio di una società a responsabilità limitata, svolgere per la società stessa attività di lavoro autonomo, quale collaboratore coordinato e continuativo, di modo che, percependo compensi per la detta attività, è soggetto a doppia contribuzione, presso la gestione separata per i compensi di lavoro autonomo e presso la gestione commercianti per il reddito d’impresa (Sez. 6-L, n. 9803 del 14/06/2012, Rv. 622928 – 01; conf. Sez. L -, n. 5452 del 03/03/2017, Rv. 643275 – 01). Del resto, sarebbe irragionevole il ritenere che l’amministratore di una società di capitali, pacificamente legato alla società medesima da un «rapporto professionale autonomo», abbia diritto al compenso professionale (Sez. 1, n. 19714 del 13/11/2012, P.v. 624428; Sez. 1, n. 7961 del 01/04/2009, Rv. 607490) ed escludere che, a parità di attività lavorativa di tipo autonomo svolta a favore della società, lo stesso diritto spetti al socio>.

La norma incriminatrice:

Art. 216 Legge fall. – Bancarotta fraudolenta

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione civile sez. lav., 03/03/2017, n.5452       

In caso di esercizio di attività in forma d’impresa ad opera di commercianti, artigiani o coltivatori diretti, contemporaneo all’esercizio di attività autonoma per la quale è obbligatoria l’iscrizione alla gestione separata ex art. 2, comma 26, della l. n. 335 del 1995, ai sensi dell’art. 1, comma 208, della l. n. 662 del 1996, autenticamente interpretato dall’art. 12, comma 11, del d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., dalla l. n. 122 del 2010, non opera la “fictio iuris” dell’unificazione della contribuzione sulla base del parametro dell’attività prevalente, ma vale il principio della doppia iscrizione, con conseguente assoggettamento a doppia contribuzione, presso la gestione separata per i compensi di lavoro autonomo e presso la gestione commercianti per il reddito d’impresa.

Cassazione penale sez. V, 03/11/2016, n.50836

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi somme dalle casse sociali, a titolo di pagamento di competenze, ancorché su delibera del consiglio di amministrazione, in quanto la previsione di cui all’art. 2389 cod. civ. stabilisce che la misura del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora non sia stabilita nello statuto, sia determinata con delibera assembleare. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione che ha ravvisato la sussistenza del reato nella percezione, da parte del presidente del consiglio di amministrazione di una società dichiarata fallita, di somme liquidate sotto forma di corrispettivi “per attività professionali” – in realtà in larga parte coincidenti con le incombenze ed i compiti propri dell’amministratore – non autorizzate dall’assemblea né dal consiglio di amministrazione, che in un verbale si era limitato a prendere atto della situazione esistente).

Cassazione civile sez. I, 13/11/2012, n.19714

Il rapporto tra l’amministratore di una società di capitali e la società medesima va ricondotto nell’ambito di un rapporto professionale autonomo e, quindi, ad esso non si applica l’art. 36, comma 1, Cost., che riguarda il diritto alla retribuzione in senso tecnico, poiché il diverso diritto al compenso professionale dell’amministratore, avendo natura disponibile, può essere oggetto di una dichiarazione unilaterale di disposizione da parte del suo titolare (nella specie, di rinuncia).

Cassazione civile sez. VI, 14/06/2012, n.9803

In caso di esercizio di attività in forma d’impresa ad opera di commercianti, artigiani o coltivatori diretti, contemporaneo all’esercizio di attività autonoma per la quale è obbligatoria l’iscrizione alla gestione separata ex art. 2 comma 26 l. n. 335 del 1995, ai sensi dell’art. 1 comma 208 l. n. 662 del 1996, autenticamente interpretato dall’art. 12 comma 11 d.l. n. 78 del 2010, conv. in l. n. 122 del 2010, non opera la “fictio iuris” dell’unificazione della contribuzione sulla base del parametro dell’attività prevalente, ma vale il principio della doppia iscrizione. Ne consegue che il socio di una società a responsabilità limitata, che svolge per la società stessa attività di lavoro autonomo, quale collaboratore coordinato e continuativo, è soggetto a doppia contribuzione, presso la gestione separata per i compensi di lavoro autonomo e presso la gestione commercianti per il reddito d’impresa.

Cassazione civile sez. I, 01/04/2009, n.7961

In tema di società cooperativa a responsabilità limitata, il rapporto intercorrente tra la società e l’amministratore, al quale è affidata la gestione sociale, è di immedesimazione organica, e non può essere qualificato come rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione continuata e coordinata, dovendo invece essere ascritto all’area del lavoro professionale autonomo; ne consegue che il disposto dell’art. 36, comma 1, Cost., relativo al diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, pur costituendo norma immediatamente precettiva e non programmatica, non è applicabile al predetto rapporto, per cui è legittima la previsione statutaria di gratuità delle relative funzioni.

Cassazione penale sez. V, 13/04/2007, n.19557

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale – e non quello di bancarotta preferenziale – la condotta di colui che, in qualità di amministratore, prelevi somme di denaro dalle casse sociali per compensare un proprio credito vantato nei confronti della società.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA