Risponde di interruzione di pubblico servizio colui che introduca nella sala del consiglio un apparecchio portatile ed effettui la registrazione della seduta comunale in assenza di autorizzazione del Sindaco
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 28950.2020, depositata il 20 ottobre 2020, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi in merito ad un caso di interruzione di pubblico servizio.
In particolare, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, enuncia il principio di diritto secondo il quale la registrazione della seduta del Consiglio comunale in assenza dell’autorizzazione del Sindaco (prevista dal regolamento ai fini della tutela della privacy) causa e ragione dell’interruzione della adunanza, configura a carico dell’agente il reato di interruzione di pubblico servizio.
Il reato contestato e la doppia conforme di merito.
Nel caso di specie all’imputato era contestato il delitto di interruzione di pubblico servizio previsto e punito dall’art. 340 c.p., per aver effettuato una registrazione della seduta comunale con un apparecchio portatile, in violazione del regolamento comunale e disattendendo l’ordine del Sindaco di spegnere il registratore.
La seduta consiliare a seguito dell’intervento dall’Autorità di PS era stata sospesa con conseguente consumazione del reato di interruzione di pubblico servizio.
La Corte di appello di Brescia confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Bergamo aveva condannato il prevenuto per il reato ascrittogli.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.
La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione resa dalla Corte territoriale, deducendo la violazione di legge in ordine alla configurazione dell’elemento soggettivo del reato contro la Pubblica Amministrazione.
Secondo la tesi difensiva, la volontà del ricorrente di recare disturbo al regolare svolgimento della seduta comunale non risultava integrata e la mancata acquisizione dell’autorizzazione per eseguire la registrazione dipendeva dalla convinzione dell’imputato che questa non fosse necessaria, riferendosi la norma del regolamento comunale esclusivamente alle registrazioni effettuate per scopo professionale e non anche a quelle realizzate a fini privati.
La Suprema Corte, nell’annullare senza rinvio la sentenza impugnata per estinzione del reato per prescrizione e nel confermare le statuizioni civili, dopo aver analizzato la normativa comunale in materia di registrazioni, peraltro conforme alle direttive impartite dal Garante per la protezione dei dati personali, si esprime in merito alla configurazione del delitto di interruzione di pubblico servizio.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della decisione in commento:
(i) Elemento materiale del reato.
<Quanto al primo profilo, va osservato che la norma dello Statuto comunale escludeva ogni forma di registrazione audio della seduta consiliare, indipendentemente cioè dal mezzo adoperato e dal soggetto che le effettuava, prevedendo in ogni caso il potere autorizzativo da parte del Consiglio. Quindi a fronte della pubblicità dell’udienza, che consentiva la partecipazione del pubblico, la norma statutaria regolava lo svolgimento della seduta.
Tale potere discende dall’art. 38, comma 3, Testo Unico degli Enti Locali, che attribuisce ai Comuni autonomia funzionale ed organizzativa. La limitazione derivante dallo Statuto in esame si poneva inoltre in sintonia con le direttive date dal Garante per la protezione dei dati personali con nota del 23 aprile 2003 in ordine alla registrazione delle sedute dei consigli comunali per finalità non istituzionali: là dove sia effettuata per fini esclusivamente personali, i dati non devono essere destinati alla comunicazione sistematica o alla diffusione, mentre quando invece è effettuata per scopi diversi, gli interessati devono essere posti previamente in condizione di essere informati. La ripresa televisiva della seduta del Consiglio Comunale si configura quindi, come poi ha precisato l’art. 4, comma 1, lett. a) e b), del Codice sul trattamento dei dati personali, approvato con d.lgs. 30 giugno 2006 n. 196, quale “trattamento di dati personali”, ossia quale “operazione … concernente la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo” di ” informazioni relative a persone fisiche, persone giuridiche, enti od associazioni, identificati o identificabili”. Ne consegue che la previa autorizzazione del Consiglio, prevista dallo Statuto, veniva a tutelare la diffusione incontrollata di dati personali e giustificava la interruzione da parte del Sindaco della seduta, una volta emersa la circostanza dell’uso non autorizzato di un registratore da parte dell’imputato (uso ammesso in sede di esame dallo stesso imputato). […] Pertanto, non è censurabile la sentenza impugnata là dove ha ritenuto che l’imputato avesse violato il regolamento comunale introducendo nella sala del Consiglio “un registratore portatile”.
(ii) Elemento psicologico del reato.
Quanto al dolo, la Corte di appello ha ragionevolmente disatteso la critica difensiva. Va ribadito che, ai fini della configurabilità dell’elemento psicologico del delitto di cui all’art. 340 cod. pen., è sufficiente che il soggetto attivo sia consapevole che il proprio comportamento possa determinare l’interruzione o il turbamento del pubblico ufficio o servizio, accettando ed assumendone il relativo rischio (Sez. 6, n. 39219 del 09/04/2013). La sentenza impugnata ha dimostrato, con ragionamento lineare e coerente alle evidenze processuali esposte nella motivazione, la consapevolezza del ricorrente di continuare a registrare nonostante l’invito del Sindaco a spegnere l’apparecchio e la sua persistenza nel voler – senza alcuna autorizzazione – tenere il comportamento non consentito. Né potevano rilevare le motivazioni poste alla base dell’esigenza della registrazione, in quanto la norma statutaria lasciava comunque aperta la possibilità, nella specie neppure esplorata, di ottenere una autorizzazione>.
La norma incriminatrice:
Art. 340 c.p. – Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità.
Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge [331, 431, 432, 433], cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico [358] o di un servizio di pubblica necessità [359] è punito con la reclusione fino a un anno.
Quando la condotta di cui al primo comma è posta in essere nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, si applica la reclusione fino a due anni.
I capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni.
Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Cassazione penale sez. fer., 01/08/2019, n.37456
Ferma la rilevanza di un’alterazione anche temporanea del servizio, essa deve tuttavia rivestire un’oggettiva significatività, risultando così esclusi dalla sfera di operatività della fattispecie incriminatrice in questione i casi in cui la condotta di interruzione di un pubblico servizio si sia risolta nell’interruzione o nell’alterazione della regolarità di “un singolo atto …, senza che tale comportamento abbia inciso in modo apprezzabile sulla funzionalità complessiva dell’ufficio”.
Cassazione penale sez. VI, 12/12/2018, n.1334
La norma incriminatrice di cui all’articolo 340 del Cp, avendo riguardo al dato testuale e tenuto conto dell’interesse tutelato, sanziona non solo la condotta che abbia comportato l’interruzione del servizio pubblico di cui si tratti, bensì anche il comportamento che abbia inciso semplicemente sul regolare svolgimento dell’ufficio o servizio pubblico. Con la precisazione che, ferma quindi la rilevanza di un’alterazione anche temporanea del servizio, essa deve tuttavia rivestire un’oggettiva significatività, risultando così esclusi dalla sfera di operatività della fattispecie incriminatrice i casi in cui la condotta contestata si sia risolta nell’interruzione o nell’alterazione della regolarità di “Un singolo atto”, senza che tale comportamento abbia inciso in modo apprezzabile sulla funzionalità complessiva dell’ufficio (compete quindi al giudice, precisa la Corte, nella doverosa valutazione dell’effettiva offensività del facere del soggetto agente, considerare la sua ricaduta sullo specifico servizio colpito dalla condotta contestata in esame, ma non anche sulla totalità in assoluto del servizio, perché, diversamente, ove si tratti di servizi di ampio respiro – come nel caso del trasporto pubblico oggetto della vicenda esaminata – ben difficilmente si potrebbe pervenire all’affermazione della rilevanza penale della condotta interruttiva).
Cassazione penale sez. VI, 09/04/2013, n.39219
Ai fini della configurabilità dell’elemento psicologico del delitto di cui all’art. 340 cod. pen., è sufficiente che il soggetto attivo sia consapevole che il proprio comportamento possa determinare l’interruzione o il turbamento del pubblico ufficio o servizio, accettando ed assumendone il relativo rischio.
Cassazione penale sez. VI, 02/05/2005, n.22422
Nel reato di cui all’art. 340 c.p., l’elemento soggettivo non consiste solo nella specifica intenzionalità diretta a provocare l’interruzione o il turbamento del pubblico ufficio o servizio, essendo sufficiente che l’agente operi con la consapevolezza che il proprio comportamento possa determinare quegli effetti, accettandone ed assumendosi il relativo rischio.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA